Biblioteca:Igino, Fabulae 14

Giasone, figlio di Esone e Alcimede, figlia di Climene, condottiero dei Tessali.
Orfeo, indovino e citaredo, figlio di Eagro e della musa Calliope, tracio, nato nella città di Flevia, che si trova sul monte Olimpo, presso il fiume Enipeo.
Asterio, figlio di Piremo e di Antigone, figlia di Fere, giunse da Pellene (altri lo dicono figlio di Iperasio, proveniente dalla città di Piresia che si trova alle falde del monte Filleo in Tessaglia, dove i due fiumi Apidano ed Enipeo confluiscono).
Polifemo, figlio di Elato e di Ippea, figlia di Antippo, dalla città tessala di Larissa: un uomo dal passo lento.
Ificlo, figlio di Filaco e di Climene, figlia di Minia, dalla Tessaglia, zio materno di Giasone.
Admeto, figlio di Fere e di Periclimene, figlia di Minia, dalla Tessaglia presso il monte Calcodonio, dal quale prendono nome una città e un fiume: si dice che Apollo abbia pascolato le sue greggi.
Eurito ed Echione, figli di Ermes e Antianira, figlia di Meneto, dalla città di Alope che ora è chiamata Efeso (ma alcuni scrittori li ritengono tessali).
Etalide, figlio di Ermes ed Eupolemia, figlia di Mirmidone, che veniva da Larissa.
Corono, figlio di Ceneo, dalla città di Girtone che si trova in Tessaglia. Questo Ceneo figlio di Elato, da Magnesia, si mostrò invulnerabile ai colpi di spada dei Centauri: potevano ferirlo soltanto con tronchi appuntiti di alberi; alcuni affermano che in origine era una donna e che per concedersi a Poseidone chiese in cambio di essere mutata in un giovane invulnerabile. Ma questo è irreale perché non è possibile che un uomo non sia ucciso dal ferro o una donna possa trasformarsi in uomo.
Mopso, figlio di Ampico e Clori, al quale Apollo aveva insegnato l’arte mantica; venne da Ecalia o secondo altri da Titaro.
Euridamante, figlio di Iri e Demonassa, oppure, secondo altri, di Ctimeno, che abitavano la città Dolopeide presso il lago Xinio.
Teseo, figlio di Egeo ed Etra, da Trezene, oppure, secondo altri, da Atene.
Piritoo, figlio di Issione, fratello dei Centauri, tessalo.
Menezio, figlio di Attore, da Opunte.
Euribate, figlio di Teleone, da Eleone.
Euritione, figlio di Iri e Demonassa.
Issitione dalla città di Cerinto.
Oileo, figlio di Odoidoco e Agrianome, figlia di Perseone, dalla città di Naricea.
Clitio e Ifito, figli di Eurito e Antiope, figlia di Pilone, re di Ecalia oppure, secondo altri, dell’Eubea. Costui aveva ricevuto da Apollo l’arte di tirare frecce e si dice che avesse poi gareggiato con il Dio che l’aveva gratificato. Suo figlio Clitio fu poi ucciso da Eete.
Peleo e Telamone, figli di Eaco ed Endeide, figlia di Chirone, dall’isola di Egina. Costoro, dopo avere lasciato la patria in seguito all’uccisione del fratello Foco, si stabilirono in luoghi diversi: Peleo a Ftia, Telamone a Salamina, che Apollonio Rodio chiama Attica.
Bute, figlio di Teleone e di Zeusippe, figlia del fiume Eridano, da Atene.
Tifi, figlio di Forbante e Irmine, dalla Beozia: fu lui il timoniere della nave Argo.
Argo, figlio di Polibo e Argia, o secondo altri figlio di Danao; veniva da Argo, vestito con un peloso manto di toro, e fu il costruttore della nave Argo.
Fliante, figlio del padre Libero e di Arianna, figlia di Minosse, dalla città di Fliunte che si trova nel Peloponneso; altri invece lo dicono tebano.
Eracle, figlio di Zeus e di Alcmena, figlia di Elettrione, tebano.
Ila, figlio di Tiodamante e della ninfa Menodice, figlia di Orione, un efebo. Proveniva da Ecalia o secondo altri da Argo, compagno di Eracle.
Nauplio, figlio di Poseidone e di Amimone, figlia di Danao, argivo.
Idmone, figlio di Apollo e della ninfa Cirene, oppure di Abante, argivo. Costui, esperto nella mantica, sebbene avesse compreso dal volo degli uccelli che gli era preannunciata la morte, non volle ugualmente mancare a quella fatale spedizione.
Castore e Polluce, figli di Zeus e Leda, figlia di Testio, lacedemoni o (come altri dicono) spartani, l’uno e l’altro fanciulli; si dice che sul loro capo, nello stesso momento, fossero state poste delle stelle che li contrassegnavano.
Linceo e Idas, figli di Afareo e Arena, figlia di Ebalo, messeni del Peloponneso. Di loro si racconta che Linceo riusciva a scorgere persino le cose nascoste sottoterra e che non esisteva nebbia che potesse ostacolarlo. Altri dicono che nessuno potesse scorgere Linceo durante la notte. Si diceva anche che egli riuscisse a vedere sottoterra perché sapeva riconoscere le vene aurifere e quando vi discendeva e mostrava poi immediatamente l’oro, fece nascere la fama che potesse vedere anche sottoterra. Idas, dal canto suo, era coraggioso e intrepido.
Periclimeno, figlio di Neleo e Clori, figlia di Anfione e Niobe; veniva da Pilo.
Anfidamante e Cefeo, figli di Aleo e Cleobule, arcadi.
Anceo, figlio, oppure secondo altri nipote, di Licurgo, da Tegea.
Augia, figlio di Sole e Nausidame, figlia di Anfidamante; era di Elea.
Asterione e Anfione, figli di Iperasio o secondo altri di Ippasio, da Pellene.
Eufemo, figlio di Poseidone ed Europa, figlia di Tizio, dal Tenaro: si dice che costui potesse correre sopra l’acqua senza bagnarsi i piedi.
Un secondo Anceo, figlio di Poseidone e di Altea, figlia di Testio, dall’isola di Imbraso che un tempo era chiamata Partenia e oggi Samo.
Ergino, figlio di Poseidone e Mileto, oppure di Periclimeno, da Orcomeno.
Meleagro, figlio di Eneo e Altea, figlia di Testio, ma alcuni lo credono figlio di Ares, da Calidone.
Laocoonte figlio di Portaone, fratello di Eneo, da Calidone.
Un secondo Ificlo, figlio di Testio e di Leucippe, fratello di Altea per parte di madre, spartano: era un abile corridore e lanciatore di giavellotto.
Ifito, figlio di Naubolo, di Focea; altri dicono che fosse figlio di Ippaso, dal Peloponneso.
Zetes e Calai, figli del vento Aquilone e di Orizia, figlia di Eretteo; si dice che avessero la testa e i piedi forniti di ali e i capelli azzurri, e sfrecciassero nell’aria. Furono loro a mettere in fuga le tre Arpie Aello, Celeno e Ocipete, figlie di Taumante e Ozomene, cacciandole via da Fineo, figlio di Agenore, all’epoca in cui i compagni di Giasone stavano muovendo verso la Colchide. Esse abitavano le isole Strofadi nel mare Egeo, che vengono chiamate Plote. Queste Arpie si dice che avessero testa di uccello, penne, ali e braccia umane, grandi artigli, zampe di volatile, petto, ventre e apparato femminile umano. Zetes e Calai furono uccisi a colpi di freccia da Eracle; sulla loro tomba è posta una lapide che ondeggia al soffio del vento paterno. Si dice che essi provenissero dalla Tracia.
Foco e Priaso, figli di Ceneo, da Magnesia.
Eurimedonte, figlio del padre Libero e di Arianna, figlia di Minosse, da Fliunte.
Palemonio, figlio di Lerno, da Calidone.
Attore, figlio di Ippaso, dal Peloponneso.
Tersanone, figlio di Sole e di Leucotoe, da Andro.
Ippalcjmo, figlio di Pelope e Ippodamia, figlia di Enomao, da Pisa nel Peloponneso.
Esculapio, figlio di Apollo e Coronide, da Tricca ...... figlia di Testio, argivo.
Neleo, figlio di Ippocoonte, da Pilo. Iolao, figlio di Ificle, da Argo.
Deucalione, figlio di Minosse e Pasifae, figlia di Sole, da Creta.
Filottete, figlio di Peante, da Melibea.
Un secondo Ceneo, figlio di Corono, da Cortina.
Acasto, figlio di Pelia e Anassibia, figlia di Biante, da Ioclo, vestito di una tunica duplice, che si aggiunse come volontario agli Argonauti, scegliendo di essere compagno di Giasone.
Tutti questi furono chiamati Mini, o perì che la maggioranza nacque dalle figlie di Minia, o perché Climene, la madre di Giasone, era figlia di Minia. Ma non tutti raggiunsero la terra dei Colchi o ritornarono in patria. Ila infatti fu rapito dalle Ninfe in Misia, presso Cione e il fiume Ascanio; e mentre Eracle e Polifemo lo stavano cercando, furono lasciati indietro, avendo il vento spinto allargo la nave. E Polifemo, abbandonato anche da Eracle, dopo avere fondato una città in Misia, morì presso i Calibi. Tifi morì di malattia tra i Mariandini in Propontide, presso il re Lico; al posto suo prese il timone Anceo, figlio di Poseidone. Idmone, figlio di Apollo, uscito presso lo stesso re Lico a cercare frumento, morì ucciso da un cinghiale; a vendicare Idmone fu Idas, figlio di Afareo, che uccise il cinghiale. Bute, figlio di Teleone, benché Orfeo tentasse di richiamarlo con i suoi canti e con la cetra, fu comunque vinto dal dolce canto delle Sirene e si gettò in mare per nuotare sino a loro; portato dai flutti, Afrodite lo salvò al Lilibeo. Questi non giunsero fino alla Colchide. Durante il ritorno morirono Euribate, figlio di Teleone, e Canto, figlio di Cerionte; essi furono uccisi in Libia dal pastore Cefalione, fratello di Nasamone, figlio della ninfa Tritonide e di Anfitemi, del quale stavano razziando le greggi. Mopso, figlio di Arnpico, morì in Mirica per il morso di un serpente. Egli si era aggiunto agli Argonauti durante il viaggio, dopo che suo padre Ampico era stato ucciso. E dall’isola di Dia si aggiunsero i figli di Frisso e Calciope, sorella di Medea: Argo, Mela, Frontide, Cilindro o, come altri dicono, Fronio, Demoleonte, Autolico, Flogio, che Eracle portò con se mentre andava alla conquista del cinto delle Amazzoni e che lasciò indietro terrorizzati da Dascilo, figlio del re dei Mariandini. Quando gli Argonauti furono sul punto di salpare per la Colchide, vollero scegliere Eracle come loro comandante; ma egli rifiutò e propose che quel posto spettasse a Giasone, per il cui impulso tutti si muovevano; perciò il comando fu preso da Giasone. Il mastro d’ascia fu Argo, figlio di Danao; il timoniere Tifi, dopo la cui morte governò la nave Anceo, figlio di Poseidone; a dirigere la rotta a prua si pose Linceo, figlio di Marete, che aveva una vista acutissima; i capi della voga furono Zetes e Calai, figli di Aquilone, che avevano capo e piedi alati; ai remi di prora sedettero Peleo e Telamone; ai remi lunghi Eracle e Idas; gli altri si disposero in ordine ai banchi. Le formule magiche di partenza furono recitate da Orfeo, figlio di Eagro; in seguito, quando Eracle fu lasciato indietro dagli Argonauti, al suo posto sedette Peleo, figlio di Eaco. Questa fu la nave Argo, che poi Atena trasferì in cielo presso il circolo siderale perché era stata lei a costruirla; fu la prima nave che mai solcasse le acque. Tra le stelle appare a partire dal timone sino alle vele; l’aspetto e la forma di questa costellazione sono descritti da Cicerone nei “Fenomeni” in questi versi: “Ed ecco che Argo scivola presso la coda del Cane protendendo la poppa lucente non come le altre navi che in mare avanzano di prua solcando con i loro rostri i campi di Poseidone ma come quando attraccando in porti sicuri i naviganti fanno virare la nave con una grande ancora e traggono sulla spiaggia molto desiderata la poppa, così l’antica Argo naviga nel cielo all’indietro e protendendo il timone dall’aerea poppa sfiora le zampe del luminoso Cane. Questa nave ha quattro stelle sulla poppa, cinque sul remotimone di destra e quattro su quello sinistro, tutte simili tra loro. In totale, tredici.”