Orlando

SCHEDA
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IDENTITÀ
Nome orig.: -
Altri nomi: Rolando, Roland
Etimologia: -
Sesso: Maschio
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LOCALIZZAZIONE
Sezione: Mitologia Medievale
Continente: Europa
Area: Europa Centrale
Paese: Francia
Regione: [[{{{regione}}}]]
Provincia: [[{{{provincia}}}]]
Città: [[{{{citta}}}]]
Origine: Ciclo Carolingio
CLASSIFICAZIONE
Tipologia: Umani
Sottotipologia: Guerrieri
Specificità: Cavalieri
Subspecifica: -
CARATTERI
Aspetto: Antropomorfo
Indole: Benevola
Elemento:
Habitat:
ATTRIBUTI
Fisici
Animali
Vegetali
Minerali
Alimenti
Colori
Numeri
Armi
Abbigliamento
Altri
Personaggi
TEMATICHE

La vita letteraria di Orlando o Rolando (Roland in lingua d'oil), il conte palatino nipote di re Carlo, di cui la storia tramandò soltanto la valorosa morte nella battaglia di Roncisvalle l'anno 778 durante il ritorno dello zio da una spedizione in Spagna, comincia con la Canzone di Orlando, che fa di lui la più grandiosa figura epica del Medioevo. Orlando appare in tale poema un guerriero giovane d'anni, di indiscusso valore, di forze quasi sovrumane (quella che diverrà la sua leggendaria invulnerabilità, a fare di lui quasi un Achille, cristiano, non è affermata ma forse appena sottintesa in quel primo poema). Il suo valore, la sua irresistibile bravura, l'ascendente che egli esercita sui suoi compagni (i dodici "Pari") e su tutti i soldati dell'imperatore, gli assegnano una posizione preminente tra i capi che circondano Carlo (il quale, a dispetto della leggenda che lo raffigura come un maestoso sire più che centenario, già canuto e barbogio, era allora un giovane re all'alba della sua gloria e nel pieno vigore delle forze); senza che tuttavia nessuno di questi tratti concorra a dare a Orlando la vera e propria figura di un "capitano": figura che sembrerebbe un anacronismo a quei tempi, giacché la fantasia del poeta e la nostra fantasia di lettori, interpretando a loro modo il silenzio della storia, non ci lasciano vedere attorno a Carlo Magno se non uno stuolo di brillanti capi in sott'ordine, modelli e trascinatori di un esercito la cui sola tattica doveva essere l'urto diretto o le zuffe tra singoli gruppi che si riducevano a una più o meno ordinata serie di duelli. Nient'altro che guerriero e capo di guerrieri è dunque il giovane Orlando; uomo tutto d'un pezzo, senza dubbi né cedimenti, un "fedele" al suo Signore, alla sua patria e al suo Dio; un uomo il cui unico pensiero è la guerra, ma che non sa immaginarla disgiunta dai nobili ideali che devono animare l'azione e caratterizzare ogni gesto di un combattente cristiano. Tutto ciò non conferisce a Orlando un carattere molto riflessivo: il proprio del suo valore è una giovanile poetica spavalderia. Un bel mattino egli si presenta al suo signore e zio offrendogli un rosso melograno e dichiarando di voler deporre ai suoi piedi, con tale atto, le corone di tutti i re della terra. A Roncisvalle, dove Orlando è destinato a proteggere la ritirata dell'esercito con ventimila prodi, ventimila Franchi di Francia, quand'egli scopre il tradimento di Gano di Maganza e l'imboscata dei nemici, sa che potrebbe sonando il corno avvisar subito l'Imperatore, ma non vuol dare ascolto a Turpino che a ciò lo consiglia; alla sua mentalità questa precauzione si presenta anzi come un atto di debolezza; essi sono davanti al nemico, e non hanno che un solo dovere: perire da prodi, acciocché "mala canzone non si possa cantare di loro". Questo Orlando è dunque il più perfetto simbolo della generosa follìa guerriera di un'Europa barbarica che sta per diventare l'Europa feudale. Ma eroiche e nobilissime qualità lo fanno anche simbolo di un ideale ben più alto: il suo valore si fonda sulla perfetta convinzione di difendere la vera Fede, la patria, il diritto, la civiltà, né egli può immaginare che un prode possa impugnare le armi per altro scopo. Guerriero di lealtà ineccepibile, fedele agli amici, spietato solo verso i nemici sleali, la vita è per lui una dura milizia, la quale assorbe ogni altro interesse terreno. E la sua morte è una delle pagine più commoventi che si possano leggere in tutti i libri di poesia della nostra tradizione. Orlando sa di essere un peccatore, e invoca naturalmente la divina clemenza; ma egli è anche conscio di essere sempre stato un uomo di buona volontà, di non aver nulla risparmiato per rendersi degno del proprio ideale, e confida nella divina giustizia. Egli parla a Dio, devoto e pio, con la franchezza del giusto: gli angeli gli stanno attorno compagni alla sua morte, quasi come i suoi Pari lo hanno circondato in vita. E Orlando riassume così nel modo più alto quell'ideale cavalleresco che era allora sul nascere. La buona e leale compagnia che lo lega a Turpino, agli altri paladini, e soprattutto al fido Oliviero, sarà destinata a restare nei secoli come un modello di perfetta amicizia: con una linea di commovente dignità pur nel traboccar della tenerezza, che è la sua caratteristica più preziosa.
Orlando non è uomo di molte passioni amorose: una sola donna intravediamo nello sfondo del quadro che ci presenta in uno scorcio così possente tutta la sua figura e la sua vita: sua cugina Alda la bella, che attende in Aquisgrana il suo ritorno. Quando l'imperatore le annuncia la morte di Orlando, Alda non regge al dolore e cade fulminata. E questo primo Orlando, l'eroe più puro della leggenda carolingia, passa dalla Canzone di Orlando ad altri poemi del tempo quasi senza variare: nella nordica Karlomagnussaga, come nei poemi germanici di Karl e Karlemeinet (Carlo Magno e Ciclo carolingio); solo il Ruolandes Liet di Konrad accentua il carattere religioso del personaggio, ne fa il vero e proprio medievale "campione di Dio" e gli contrappone la demoniaca figura di Gano. Cosicché Orlando e Gano stanno fra loro sul piano del cristianesimo romanzo come Sigfrido e Hagen sul piano del paganesimo naturalistico germanico: cielo e terra, Dio e Diavolo, essere e parere, bellezza vera e bellezza apparente; e Orlando, come del resto il suo parallelo germanico Sigfrido, soccombe perché egli non è di questo mondo e deve subire il martirio terreno per tornare nella sua vera patria, che è l'al di là: il suo compito è appunto di superare in sé il mondo per mostrare la via del cielo. Ma già nei poemi posteriori, del XIV secolo e oltre (Girardo di Vienne, Pellegrinaggio di Carlomagno, Aspromonte, Entrata in Spagna, Presa di Pamplona, La Spagna, e anche la favolosa Cronaca apocrifa di Turpino), la figura dell'eroe tende a entrare in un clima sempre più romanzesco.
La leggenda popolare francese e italiana si è impadronita di lui, gli ha dato una patria ben precisata, e una condegna nascita avventurosa. Orlando sarebbe dunque figlio della sorella di Carlo Magno, Berta dal gran piè, e di Milone (secondo alcuni un oscuro soldato, secondo altri patrizio romano) di cui la fanciulla si era innamorata e col quale era fuggita in Italia. Dopo molti anni, l'Imperatore, tornando da Roma dov'è stato incoronato, si sofferma a Sutri, dove avviene il riconoscimento di Berta e anche la riconciliazione. E così Orlando, che già durante l'infanzia si era distinto con atti di coraggio e lampi di nobiltà in contrasto con l'apparente oscurità della sua condizione, riprende il suo vero posto alla Corte dell'Imperatore, e inizia la mirabile serie delle sue imprese. Nelle quali la morte a Roncisvalle tende a diventare sempre più un presupposto e quasi una garanzia di eroismo, anziché l'episodio più reale della sua vita: si trova a essere veramente il principio ideale della storia di Orlando, e non soltanto la sua conclusione. Ma divenuto così un eroe popolare, trasformandosi dal favoloso Rolando nel troppo reale Orlando, egli non poteva sottrarsi a interpretazioni sempre più realistiche, delle quali troviamo abbondanti testimonianze ancora nel Morgante del Pulci e nell'Orlando innamorato del Boiardo, per quel tanto di popolaresco che essi serbano nei loro atteggiamenti. Così, se Orlando resta il cavaliere senza macchia e senza paura, l'uomo che non conta i nemici quando è sicuro del suo diritto, l'amico più fedele, il raddrizzatore di torti, il protettore dei deboli, il flagello dei prepotenti, sempre pronto a purgare la terra dai mostri e dai giganti malvagi e a sfidare i più pericolosi incantesimi, d'altra parte quella certa semplicità d'animo che sembra, specie alla mentalità popolare, non poter andar disgiunta dalla perfetta virtù, vale a conferirgli in più di un caso una certa dabbenaggine. E la sua castità, la sua ingenuità nelle cose d'amore, lo dispone troppo bene a diventar lo zimbello di Angelica, cuore spietato e animo freddamente calcolatore dietro parvenze di celeste bellezza. Di fronte ad Angelica, Orlando, che la ama troppo puramente e profondamente, "col cuore rotto e con lo sguardo pio", che ha per lei una devozione illimitata e delicatezze rispettose, squisite, che ignora gli espedienti e le bruscherie del conquistatore, è come un ragazzo: il nobile conte Matteo Maria Boiardo non esita anzi a chiamarlo, in una certa occasione, addirittura un "babbione"!... E tale storia minacciava di trasfigurare in modo non degno l'eroe, se il pensoso genio di Ludovico Ariosto non si fosse impadronito della sua figura per elevarla una seconda volta nei cieli della più grande poesia. L'Ariosto sembra anch'egli poco rispettare la dignità di Orlando, giacché si appresta a cantare come il suo eroe "per amor venne in furore e matto, - d'uom che sì saggio era stimato prima". Ma in realtà egli lo umanizza, facendo della sua storia quello che può essere il dramma di tutti gli uomini cui la vita troppo votata a una attività puramente ideale può rendere inetti in una cosa fatalmente terrena qual è pur l'amore: che hanno quasi l'aria di meravigliarsi che quella forza così divinamente capricciosa e così fatalmente irrazionale come è l'amore, non tenga conto dei loro meriti: che hanno abbastanza intelligenza per rendersi conto dell'assurdità delle proprie pretese e della vanità dei loro tormenti, e pur fatalmente ne soffrono, e ne versano le lagrime più amare della lor vita. Per questo la storta di Orlando pazzo per amore, tutta la dolorosa e mirabile storia dei suoi rapporti con Angelica, diventano nel poema dell'Ariosto un'avventura squisitamente esemplare, assumono una portata universale, un valore quasi bonariamente filosofico nella divina ironia di quelle limpide e sorridenti ottave, pur senza nulla perdere della loro palpitante umanità.
Umanità che d'altra parte l'Orlando ariostesco ritrova anche in altre supreme occasioni della sua vita: basti ricordare la sua orazione funebre sul morto compagno. Brandimarte, dopo il terribile duello nell'isoletta di Lipadusa; o ripensare lo stupor doloroso di quando Astolfo aiutato dagli amici riesce a ridargli il senno; la soave dignità di quelle due parole, in latino, ond'egli prega i compagni, trovandosi legato, di scioglierlo ("Solvite me"), e le lagrime mute che egli versa, indovinando dalla situazione in cui si ritrova tutta l'estensione del suo passato errore. Una dignità così perfetta, e una passione soggetta a tutte le debolezze umano ma di significato così universale, che la figura di Orlando tende a perdere i lineamenti suoi propri, e lo stesso eroe (quando non l'abbiamo più davanti vivente e operante) a ritornarci nella memoria, a poema ultimato, quasi come un simbolo: carattere tutto ideale, completamente dissolto in una poesia la quale, a dispetto delle apparenze, è tra le meno realistiche di cui si abbia esempio. Cosicché Orlando, dopo il poema dell'Ariosto, si direbbe aver perduto, nella fantasia degli uomini, ogni riferimento naturalistico (non per nulla la tradizione non ha mai detto che volto egli abbia, paga di assegnargli una semplice e maschia dignità di aspetto): sembra ridotto puramente e semplicemente una figura di poesia. Bisognava che il Romanticismo sorgesse, con la sua sete di precisazioni storiche, col suo amore per il leggendario Medioevo, a riesumare la Canzone di Rolando, a testimoniare di una vita del franco paladino molto più ricca e complessa, abbondante di riferimenti storici o pseudostorici e di motivi realistici di quanto non risultasse dai poemi cavallereschi italiani. E questo Orlando rivendicato fornì anche argomento all'ispirazione di moderni poeti: dal ciclo di romanze di Friedrich Schlegel, alle Ballate "Piccolo Orlando" e "Orlando scudiero" dell'Uhland, e La morte di Orlando dello Stöber, al bel poemetto Il suono del corno del Vigny, ai molti canti della Leggenda dei secoli dell'Hugo, e alle variazioni liriche in prosa e in versi di molti altri: non esclusi i critici e i filologi più austeri (Gaston Paris, Bédier, L.F. Benedetto), che sembrano essere stati tentati, dalla figura del gentil conte e dal ricordo delle sue sventure, a improvvise avventure di poesia. Senza però che si possa dire che nessuna di queste opere moderne abbia aggiunto qualche tratto veramente decisivo ai lineamenti della figura di Orlando quali sono stati fissati dalla tradizione poetica occidentale, tra l'XI e il XIV secolo.

Riferimenti musicali[modifica]

  • Antonio Vivaldi, Orlando furioso, opera lirica tratta dal poema ariostesco (personaggi: Orlando, Angelica, Alcina, Ruggiero, Astolfo, Bradamante, Medoro)
  • Goffredo Petrassi, La follia di Orlando, balletto.