Angelica

SCHEDA
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IDENTITÀ
Nome orig.: -
Altri nomi: -
Etimologia: -
Sesso: Femmina
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LOCALIZZAZIONE
Sezione: Mitologia Medievale
Continente: Europa
Area: Europa Centrale
Paese: Francia
Regione: [[{{{regione}}}]]
Provincia: [[{{{provincia}}}]]
Città: [[{{{citta}}}]]
Origine: Ciclo Carolingio
CLASSIFICAZIONE
Tipologia: Umani
Sottotipologia: Nobili
Specificità: Principi
Subspecifica: -
CARATTERI
Aspetto: Antropomorfo
Indole: Neutrale
Elemento:
Habitat:
ATTRIBUTI
Fisici
Animali
Vegetali
Minerali
Alimenti
Colori
Numeri
Armi
Abbigliamento
Altri
Personaggi
TEMATICHE


L'Angelica dell'Orlando furioso - al contrario della maliarda, intrigante, frigida e perfida Angelica dell'Orlando innamorato del Boiardo, che primo l'aveva messa al mondo della poesia cavalleresca facendola arrivare in Francia dal lontano Cataio con deliberato proposito di sobillare e stornare, per mezzo di incanti, i paladini di Re Carlo dalla difesa della Cristianità - è piuttosto una cara creatura del saggio Oriente, sperduta nello sconvolto Occidente, la quale non chiede di meglio che tornare a casa sua nella splendida e pacifica reggia del padre Galafrone. Senonché, attratti irresistibilmente e quasi imbalorditi dalla sua bellezza, i più prodi cavalieri, sia cristiani sia saraceni, le si buttano ai piedi, ed ella non incontra sul suo cammino se non degli energumeni col sangue subito montato alla testa. Appena la vedono, tutti pensano a una cosa sola, tutti si apparecchiano, come Sacripante e Ruggiero, al "dolce assalto": Ferraù ne ha "il petto caldo", e anche i santi eremiti si buttano dietro le spalle la loro santità e perdono per lei la tramontana. Ella entra nel poema fuggendo e ne esce sparendo, agli occhi di Orlando dissennato, con l'aiuto di un anello incantato che messo in bocca ha la facoltà di rendere invisibili. Di come poi ci restino i suoi focosi assaltatori quando se la vedono svanire innanzi agli occhi il più bel tratto si legge nel canto dove Ruggiero - il vaticinato capostipite degli Estensi e fedele innamorato di Bradamante, uscito allora allora dalla tutela di Logistilla, che nel poema simboleggia la Ragione, e che in ogni altra occasione s'appalesa saldo campione di dignitosa saggezza - va cercando Angelica intorno a una fontana brancolando come un cieco: "e quante volte abbracciò l'aria vana - sperando la donzella abbracciar seco!". Figurarsi gli altri, che non avevano i precisi impegni e le alte responsabilità dinastiche di Ruggiero… Ma quali erano poi le bellezze di quella bellissima? Dal Boiardo sapevamo che ella aveva "candido il viso e la bocca vermiglia - soave guardatura ed affatata - e chioma bionda al capo rivoltata". Del fascino prodigioso di Angelica, nel Furioso, sono patenti gli effetti in tutte le avventure che le capitano; ma i tratti di quel viso ammaliatore vengono accennati, e per incidenza, una sola volta, là dove è detto che il mago Atlante con tutte le sue arti non riusciva a impedire ai guerrieri suoi prigioni "di correr dietro alle vermiglie gote - all'auree chiome ed a'begli occhi neri": che sono i requisiti della perfetta bellezza tizianesca. Occorre far tesoro di questi due versi perché si può dire che Angelica viva sempre in un vento di fuga senza mai dar tempo di guardarla in viso. Fuggita dalla tenda del duca Namo di Baviera, che l'aveva sequestrata promettendola in premio a quale dei due, Orlando o Rinaldo, avesse fatto maggiore strage di infedeli; sfuggita alle brucianti brame di Ferraù; scampata da Sacripante e da Rinaldo nel momento in cui s'è accesa fra i due, pei suoi begli occhi, crudel tenzone; uscita illesa dagli amplessi lubrici ma inefficienti di un frate negromante; catturata nel sonno dai corsari ed esposta alle fauci dell'Orca, viene liberata da Ruggiero sopraggiuntole in volo sull'Ippogrifo.
È allora che Angelica rientra in possesso del suo anello incantato che Ruggiero le affida acciò non le nuoccia il fulgore dello scudo col quale egli si appresta a tramortire il mostro marino. Ed è allora che nella mente d'Angelica prende sùbita consistenza il progetto di piantare baracca e burattini (occidentali) per tornarsene al suo paese, sfuggendo a Ruggiero che vorrebbe da lei pronto pagamento in natura per la liberazione dal mostro. Dopo altre avventure con lungo vagabondare attraverso la Francia, forte ormai del riconquistato anello, Angelica entra in un bosco e vede disteso in terra, immerso nel proprio sangue, un soldatino dell'esercito moresco, un biondo giovinetto ferito di lancia in mezzo al petto che sta lì lì per render l'anima. È Medoro, recluta di Cirene arrivato in Francia al seguito di re Dardinello di Zumara. Come lo vede, Angelica si sente colpita in mezzo al cuore da insolita pietà; e sovvenendole d'aver visto nei paraggi certe erbe medicinali, ne coglie, le pesta fra due sassi "e succo ne cavò fra le man bianche" (aggettivo tanto comune che basta per farci pensare alle sue mani di vera principessa del Cataio) riuscendo con quel succo a stagnare il sangue e a far tornare qualche vigore nelle membra del bellissimo Medoro. Un pastore, dilungatosi da quelle parti in cerca d'un capo errante della greggia, offre ospitalità al ferito e alla bella infermiera nella sua casetta appiattata fra i monti, dove il giovane amorosamente assistito fa presto a riprendersi. Ma in quella vece languisce l'infermiera, fatta straordinariamente tenera dalla insolita pietà che ha provato: e pietà ora ella chiede cogli occhi al biondino che ogni giorno le si vien facendo più bello: ed essendo lui, troppo ragazzo e troppo rispettoso, incapace di intendere il linguaggio di quelle occhiate, sta a lei, alla superba spregiatrice dei più nobili guerrieri di Cristianità e di Paganìa, farsi coraggio a dichiarare il proprio amore all'oscuro fante di Tolomitta. Ed è giusto che sia così. Dopo tanti prepotenti sgraziati che avrebbero preteso imporle il loro amore coi mezzi meno leali e che sempre le si facevano avanti col sangue agli occhi, la disgustata donzella ha finalmente incontrato questo poverino senza quasi più sangue nelle vene che non ardiva neanche alzarle gli occhi in viso: e che per lei ha l'inestimabile merito di "lasciarsi fare". Pronuba la moglie del pastore, che è la sola donna in tutto il Furioso che Angelica non incontri in veste di ferocissima guerriera e con la quale le sia possibile intendersi da donna a donna, si fanno le nozze. Dopo un mese di luna di miele nella pace di quei boschi, gli sposi si mettono in viaggio per raggiungere un porto dove poter trovare un naviglio che li avvicini al favoloso Cataio, dove Angelica si propone di far incoronare re dell'India il bel Medoro. Partendo, la sposina, regala alla pastora un bracciale d'oro che un giorno Orlando le aveva donato: braccialetto che di lì a poco, senza sapere il guaio che stava combinando, la pastora farà vedere proprio a Orlando dopo avergli esposto per filo e per segno quanto era passato fra i due amanti in casa sua: e questa fu l'ultima mazzata che precipitò il paladino nel vortice della sua orrenda follia. Gli sposi intanto, a piccole tappe, attraversati i Pirenei se ne vengono giù giù per la Spagna puntando su Barcellona. Giunti nei pressi di Tarragona, sempre cavalcando lungo la marina, si trovano improvvisamente davanti una specie d'antropoide nero di sole e fosco di pelo, cogli occhi infossati nel cranio, affondato in una buca da lui fatta nel sabbione rovente. È Orlando paladino, senza più conoscenza e controllo di sorta, ridottosi a quegli estremi dopo le rivelazioni della pastora. Oramai egli non è più in grado di riconoscere Angelica (è la prima volta che i due si trovano a fronte nel Furioso, dopo gli incontri narrati nel primo Orlando boiardesco), né Angelica può ravvisare in quella figura bestiale il suo già sì fido cavaliere. Caccia ella un urlo di spavento che fa voltare Orlando, il quale le si mette a correre dietro come cane che rincorra una lepre, diventato subitamente "ghiotto" del "delicato volto". Si risente Medoro e gli sprona addosso, ma il pazzo con un ceffone gli ammazza il cavallo e senza badargli più che tanto segue Angelica, che fa appena in tempo a cacciarsi l'anello in bocca traboccando nel momento istesso di sella. "Levò le gambe ed uscì dell'arcione - e si trovò riversa in sul sabbione. - Più corto che quel salto era dua dita - avviluppata rimanea col matto, - che con l'urto le avria tolta la vita". Raggiunto il cavallo, Orlando gli salta sopra e via come il vento. La perpetua fuga di Angelica si conclude così con un capitombolo. Che "caduta" vera! Lei, la classica sorella in poesia di Andromeda, di Europa, di Arianna, vederla a gambe all'aria sulla sabbia, che pena! Si sente proprio ch'è arrivata nella terra di Sancio Panza. A questo punto il poeta si sbriga di lei e del suo sposo, con poche parole.
A Barcellona troveranno "buon naviglio e miglior tempo"; e come poi arrivassero in Oriente e Medoro vi fosse incoronato re, dice il poeta, "forse altri canterà con miglior plettro". Meglio avrebbe fatto a cantarlo egli stesso: ché l'invito fu raccolto, una ventina d'anni dopo la morte dell'Ariosto, da un altro poeta di corte ferrarese, Vincenzo Brusantini, il quale accompagnerà la povera Angelica fino alla soglia dell'incresciosa quarantina con ogni sorta di sguaiatissime invenzioni in ottava rima nel suo poema Angelica innamorata, dove la bella delle belle mostra d'aver perso ogni pudore concedendosi a tutti con assoluta indifferenza, perfino al più vile e bollato fra tutti i personaggi del Furioso, a quel Martano che l'Ariosto aveva fatto scopare per mano del boia, e finisce con invaghirsi, solo per averla veduta vestita da guerriero, della svergognata amica di Martano, la truffaldina Origille. Tutto ciò avviene per incanti orditi dalla maga Alcina: rotti i quali, Angelica tornerà a Medoro. Degli episodi ariosteschi che impegnano la figura di Angelica due specialmente daranno materia ai pittori dei secoli successivi di felici rappresentazioni: quello di Angelica legata ignuda allo scoglio dell'Isola del Pianto, tra l'Orca e l'Ippogrifo con in groppa Ruggiero, e l'idillio pastorale di lei con Medoro mentre vanno incidendo i propri nomi sulla corteccia degli alberi. Fra i più o meno oscuri prosecutori del poema ariostesco fa spicco il nome di Lope de Vega Carpio (1562-1635) autore de La hermosura de Angelica (v. L'Angelica), pubblicata nel 1602, in venti canti, e scritta nel periodo in cui il poeta combatteva nell'Invincibile Armata. Angelica e Medoro (che qui è bruno invece che biondo: il Boiardo aveva ben detto, di Angelica, "che ad ogni costo ella voleva un biondo!") giungono a Siviglia, e in un "torneo di bellezza" vincono la corona dell'Andalusia. Come in altri concorsi di bellezza, anche qui c'è la coppia che, non potendo ambire quello di bellezza, e sono Nereide e Zerdano, aspirano a quello di bruttezza: e avviene che i due brutti s'innamorano, corrisposti, dei due belli. Il concorso degenera in carneficina. Per macchinazioni del perfido Rustobaldo di Toledo le due coppie, assortite con un gusto del bianch'e nero e del bell'e brutto che sembra anticipare certa programmatica vittorughiana, si smarriscono in paesi sconosciuti e fabulosi: Angelica e Medoro sopra un monte dove stanno per essere divorati dai cannibali, ma poi vengono adorati come dèi; mentre Nereide e Zerdano vengono attratti in tenebrose caverne piene di visioni profetiche e di metamorfosi. Dopo molte peripezie, equivoci e incantamenti, Angelica in un finale quasi romantico lascia la vita nel bacio del suo Medoro.

BIBLIOGRAFIA[modifica]

Fonti[modifica]

  • Matteo Maria Boiardo, Orlando Innamorato
  • Ludovico Ariosto, Orlando Furioso

Riferimenti artistici[modifica]

  • Simone Peterzano, Angelica si innamora di Medoro, dipinto.

Riferimenti musicali[modifica]

  • Antonio Vivaldi, Orlando furioso, opera lirica tratta dal poema ariostesco (personaggi: Orlando, Angelica, Alcina, Ruggiero, Astolfo, Bradamante, Medoro).
  • Domenico Cimarosa, Angelica e Medoro, cantata drammatica.
  • Goffredo Petrassi, La follia di Orlando, balletto.