Biblioteca:Pindaro, Nemee, X

PER TEEO D‘ ARGO. VINCITORE NEI LUDI GINNICI

I
Strofe
La città celebrate di Danao, o Cariti, e delle cinquanta
sue figlie dai fulgidi troni,
d’Era degnissima sede, che splende per mille corone,
i mille e mille opere audaci.
Lungo è narrare le gesta di Perseo contro Medusa:
molte in Egitto città si fondaron per opera d’Epafo;
né dissennata Ipermnestra
apparve, serbando, sola essa, nel fodero il brando omicida:

Antistrofe
Diomede fu reso immortale da Pallade flava occhicesia:
il suol, dagli strali di Zeus
folgoreggiato, si fende, e inghiotte il figliuolo d’Oicleo,
profeta, turbin di guerra.
Anche da tempo è famosa per donne di bella cesarie:
Zeus tal vanto conferma, d’AIcmena invaghendo e di Danae:
e fior di senno concesse
con senso di retta giustizia, al padre d’Adrasto, a Linceo.

Epodo
Anche il "valor d’Anfitrione nutrì. Giunse questi nel solco
già fecondato dal Nume: ché mentre l’eroe sterminava,
chiuso nel l’arme, i Telèbi, il sire dei Superi, assunta
la sua sembianza, alla reggia
venne, recando l’impavido germe d’Alcide; a cui sposa
Ebe, vaghissima Diva, ora è, nelle case d’Olimpo,
vicina alla pronuba madre.

Strofe
Troppo breve è il mio fiato; né tutti può correr di gloria i
sentieri
che son d’Argo sacra retaggio;
ed affrontare il fastidio degli uomini è grave. Ma pure,
desta la lira sonora,
volgi alle ginniche gare la mente; ché il bronzeo certame
spinge le genti ove ad Era si sgozzano tauri, e d’agoni
si fa giudizio: ché il figlio
d’Ulia, qui due volte riscosse l’oblio della nobil fatica.

Antistrofe
Degli eliòni campioni la schiera in Pito ei già vinse. E Fortuna
nell’Istmo e in Nemea gli fu socia.
Quivi alle Muse egli offerse, che cura ne avessero, il serto:
tre su le porte del ponto,
tre ne la sacra pianura, pei giochi di Adrasto ne ottenne.
Zeus, quanto egli ora brama non dice: ogni evento è in te posto:
certo, chiedendo tal grazia,
non ei nell’audacia confida; ma in cuor che fatica non teme.

Epodo
Cose ben note a lui canto, e a chi si cimenta pei vertici
sommi di gloria: ebbe Pisa la regola somma d’Alcide,
Ma dei preludi le voci dolcissime lui nelle feste
sacre d’Atene, tre volte
celebre resero. E dentro la creta riarsa dal fuoco,
d’Era alla nobile gente giungea dell’olivo la bacca
nel grembo a dedalei vasi.

III
Strofe
Dei german’ di tua madre alla chiara progenie è retaggio, o Teeo,
la gloria dei pubblici agoni,
grazie alle Cariti, grazie a Tindaro, ai figli. — Se fossi
sangue di Trasiclo e Antia,
certo vorrei che il mio sguardo in Argo fulgor non perdesse.
Deh! Quanti fior di vittorie li ornava sottessa l’equestre
rocca di Preto, e nei fondi
corinzi recessi! e ben quattro ne colsero presso i Cleoni.

Antistrofe
Li recinse fulgore d’argento quando essi, le fiale del vino
recando, tornar da Sicione:
morbida lana il lor dorso copriva al redir da Pellene:
computo fare dei bronzi
mal si potria: numerarli vorrebbe più lunga fatica,
quanti Clitore e Tegea e l’alte città degli Achei
ed il Linceo, presso al circo
di Zeus ne posero, a vincerli con forza di piedi o di mano.

Epodo
Qual meraviglia che siano fortissimi atleti, se Castore
ed il germano Polluce l’ospizio cercar del loro avolo
Panfao: se sono i gemelli ministri agli agoni nell’ampia
Sparta; e lor florida sorte
cercano insiem con Ermes, col figlio possente di Zeus?
Essi gran cura si danno di quanti hanno in cuore giustizia.
E fida è la stirpe dei Numi.

IV
Strofe
Essi alteman lor vita, a vicenda passando l’un giorno vicino
al padre diletto, in Olimpo,
l’altro in terrestri latebre, nell’adito sacro, a Terapne,
stretti a una sorte: ché questo
scelse Polluce, piuttosto che sempre esser Nume, ed in cielo
vivere, quando in battaglia fu a Castore spenta la vita.
Ida, tutto ira pei bovi
furati, l’avea con la cuspide dell’asta di bronzo trafitto.

Antistrofe
Dal Tegeto spiando. Linceo scoperto l’avea, che sovresso
il tronco sedea d’una quercia:
ch’ei più di tutti i mortali aveva acutissimo l’occhio.
Presto lo giunser coi piedi
rapidi; e in breve compieron lo scempio famoso. Ma grave
pena le mani di Zeus inflisser d’Afarete ai figli:
l’altro rampollo di Leda
accorse: essi attesero fermi vicini alla tomba del padre.

Epodo
Quivi, divelta l’immagine dell’Ade, scolpito macigno,
i’avventar di Polluce al petto; ma né lo contusero,
né rintuzzarono; e quegli piombò, dentro il fianco a Linceo,
spinse la pronta zagaglia:
Giove contro Ida scagliò la fiamma ed il fumo del folgore:
e derelitti i due corpi quivi arsero. Cosa è ben ardua
per l’uomo, lottar coi più forti.

V
Strofe
Corse sùbito il figlio di Tindaro vicino al fratello, se ancora
traesse il respiro. Né spento
era; ma tutto era corso di brividi; e grave l’anelito.
Lagrime amare e singhiozzi
quegli mescendo a gran voce, gridava: «Cronide, mio padre,
quale rimedio trovare potrò di mie doglie? La morte
anche a me infliggi, o Signore:
ché scevro è d’onore chi perde gli amici; e ben pochi degli uomini

Antistrofe
nelle ambasce rimangon fedeli, né parte vi pigliano». Disse
cosi. Zeus, corsogli accanto,
tali parole gli porse: ir Mio figlio sei tu. Dopo me
giunse l’eroe, che mortale
germe in tua madre stillava. Ora io questa scelta ti porgo:
vuoi tu sfuggire la morte, e gli anni del tedio senile,
ed abitare la casa
d’Olimpo, con me, con Atena, con Ares dal cuspide negro?

Epodo
Questo sia pure il tuo fato. Se poi pel fratello contendere
brami, ed uguale dividere in tutto la sorte con lui,
mezzo il tuo tempo vivrai del suol nelle viscere fonde,
mezzo su in ciel, nelle case
d’oro». Cosi favellò. Né in duplice avviso la mente
pose Polluce. Onde Castore dall’elmo di bronzo dischiuse
lo sguardo, ed il labbro, e parlò.