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Travaglio è ben grato cantare la terra dov’ebbero prima
 
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che Teti con duro travaglio conquise.
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E il saldo Telamone, unitosi a Iolao,
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prostra. Per insito pregio assai pesa un uom: chi sa cose
 
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Fanciullo vivea ne la casa di Filira il biondo
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Achille; e compiea somme gesta di già, palleggiando
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[[Achille]]; e compiea somme gesta di già, palleggiando
 
la cuspide breve de l’asta;
 
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e in gara coi venti, ai selvaggi
 
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leoni già dava la morte, cinghiali uccideva, e al Centauro
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leoni già dava la morte, cinghiali uccideva, e al [[Chirone|Centauro]]
 
[[Cronide]] recava le spoglie guizzanti,
 
[[Cronide]] recava le spoglie guizzanti,
 
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e Atena l’audacia di lui sbigottirono,
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com’ei senza cani, né inganni di reti, cacciava
 
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i cervi: ché al corso vincevali. Narrar dagli antichi
 
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nutrì nel suo tetto petroso
 
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Giasone, ed Asclepio, a cui l’arte dei farmaci blanda trasmise;
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si che da l’impeto spinto dei venti marini, sottesse
 
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disegno onde Mennone, il loro signore, l’ardito
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cognato d’Eleno, non più tornare potesse a la patria.
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Di qui degli Eacidi il raggio da lunge risplende,
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o Giove, ché sono tuo sangue. Ed è tua la gara
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Tardi. Ma rapida è l’aquila fra tutti gli alati, che scorge
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pascono intanto a la bassa pianura gli striduli corvi.
 
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Ed or, pel volere di [[Clio]]
 
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dal fulgido trono, la luce ch’è premio all’ardire
 
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che vince, per te da Epidauro brillò, da Nemea, da Megara.
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Versione attuale delle 19:13, 14 gen 2024

PER ARISTOCLIDE D’EGINA. VINCITORE DEL PANCRAZIO A NEMEA

I
Strofe
O Musa divina, che madre ci sei, ne la festa
solenne di Nenie, quest’isola dorica visita
d’Egina ospitai: ché su i margini
t’aspettan dell’Asopo i giovani
artefici d’inni melliflui, bramosi d’udir la tua voce.
Han sete diversa le gesta diverse:
la gloria agonale desidera il canto,
compagno dei prodi, compagno dei serti.

Antistrofe
Concedimi or tu che mia mente gran copia n’effonda:
intona, o tu, nata dal Sire del nubilo cielo,
un inno fulgente: ai lor canti
io mescerlo bramo, a la lira.
Travaglio è ben grato cantare la terra dov’ebbero prima
dimora i Mirmidoni, la cui possa avita
macchiare Aristoclide non volle, sé fragile
mostrando nell’urto del fiero pancrazio,

Epodo
ma de le gravi percosse trovò salutare compenso
sui piani di Neme profondi, nell’inno che loda sua gloria.
Or, se il figliuol d’Aristofane è bello, e s’adoma d’imprese
a sua beltà cònsone, ei tocca
il sommo fastigio di gloria. L’impervio pelago
più oltre solcar non è facile, di là dai pilastri d’Alcide,

II
Strofe
cui pose l’eroe, de la rotta suprema ai nocchieri
segnacolo eccelso; ed i mostri del pelago immani
uccise; e scopri le fluenti
d’incogniti mari, e le plaghe
ignote e la via che al ritorno dirige. A che mèta straniera,
rivolgi, mio cuore, la prora? Conduci
ad Eaco e a sua stirpe la Musa. Momento
propizio è ch’esaltisi un fior di giustizia;

Antistrofe
né l’uomo sopporta le lodi degli altri. Tu in casa
ben cerca: ché nobile fregio togliesti a cantare.
Si allegra d’avite virtù
Peleo, che divelse la lancia
immane, che solo, che privo d’esercito, Jolco espugnò,
che Teti con duro travaglio conquise.
E il saldo Telamone, unitosi a Iolao,
everse la rocca di Laomedonte,

Epodo
e contro l’impeto e gli archi di bronzo il segui delle Amazzoni;
né mai la baldanza dell’animo domava il terrore che gli uomini
prostra. Per insito pregio assai pesa un uom: chi sa cose
apprese, con torbida mente,
or questo anelando, ora quello, con pie’ malsicuro
procede ad innumere prove, con mente che nulla conclude.

III
Strofe
Fanciullo vivea ne la casa di Filira il biondo
Achille; e compiea somme gesta di già, palleggiando
la cuspide breve de l’asta;
e in gara coi venti, ai selvaggi
leoni già dava la morte, cinghiali uccideva, e al Centauro
Cronide recava le spoglie guizzanti,
da prima a sette anni, poi sempre; ed Artemide
e Atena l’audacia di lui sbigottirono,

Antistrofe
com’ei senza cani, né inganni di reti, cacciava
i cervi: ché al corso vincevali. Narrar dagli antichi
udii tale istoria: Chirone
nutrì nel suo tetto petroso
Giasone, ed Asclepio, a cui l’arte dei farmaci blanda trasmise;
e nozze alla florida figliuola di Nereo
poi diede, il fortissimo suo figlio educò,
temprandone l’animo ad ogni virtude,

Epodo
si che da l’impeto spinto dei venti marini, sottesse
le mura di Troia, dei Liei, dei Frigi, dei Dardani all’urlo,
ei s’opponesse; e le mani meschiasse fra il cozzo de l’armi
etiopi; ed in mente volgesse
disegno onde Memnone, il loro signore, l’ardito
cognato d’Eleno, non più tornare potesse a la patria.

IV
Strofe
Di qui degli Eacidi il raggio da lunge risplende,
o Giove, ché sono tuo sangue. Ed è tua la gara
cui l’inno colpisce, cantando
la patria festa con voci
di giovani. E degno è Aristoclide del canto, ché a gloria
questa isola
congiunse, ed insigne per fulgide cure
ei rese il Teario d’Apollo. La prova
dimostra in qual cosa ciascuno più valga,

Antistrofe
tra i giovani il giovane, l’uomo fra gli uomini, il vecchio
tra i vecchi, ciascuno compiendo la parte che spetta
a stirpe mortale. E la vita
insegna una quarta virtù:
pensare alle cose opportune. Né a te manca. O amico, salute!
T’invio questo miele, che rorido spuma,
temprato di candido latte, canora
bevanda, fra spiri di flauti soli.

Epodo
Tardi. Ma rapida è l’aquila fra tutti gli alati, che scorge
da lungi, e fulminea ghermisce con l’ugne la preda cruenta:
pascono intanto a la bassa pianura gli striduli corvi.
Ed or, pel volere di Clio
dal fulgido trono, la luce ch’è premio all’ardire
che vince, per te da Epidauro brillò, da Nemea, da Megara.