Biblioteca:Pindaro, Pitiche, II

PER IERONE DI SIRACUSA VINCITORE COL CARRO A PITO

I
Strofe
O Siracusa, o tu grande città, Santuario di Ares,
del Nume di guerra,
nutrice beata d’eroi, di validi in guerra corsieri,
io giungo da Tebe opulenta, recandoti un canto
che della rombante quadriga t’annunzi il trionfo.
Vincendo sovr’essa, Ierone
col miro fulgore dei serti recinse la fronte d’Ortigia,
la sede fluviale d’Artemide, che forza gl’infuse,
sf ch’egli le redini
dipinte reggendo con mano leggera, domò le puledre.

Antistrofe
Poi che con ambe le mani la Vergine vaga di frecce
e il ginnico Ermes
le fàlere lucide adattano, quand’egli il vigor dei corsieri
costringe alla biga sua fulgida e ai docili cocchi,
chiamando il possente Signore che vibra il tridente. —
Per altri sovrani compose
un altro poeta già l’inno sonoro, compenso a prodezza:
sovente le ciprie canzoni si levano a gloria
di Cinira bello,
cui Febo, che d’oro ha le chiome, dilesse dal cuore profondo.

Epodo
di Cinira, allievo e ministro
di Cipride — mira la Carite,
e premia le nobili gesta:
e te, di Deinomene figlio, dinanzi alle case di Locri Zefiria, la vergine or canta,
che, salva dai rischi di guerra,
mercè di tua possa, può il ciglio levare secura. —
Si narra che Issione, via tratto dall’ali del disco
perenne rotanle, per legge dei Superi,
insegni ai mortali tal norma:
che devesi rendere grata
mercede a chi bene ti fece.

II
Strofe
Chiaro ei l’apprese: ché vita felice gli aveano a sé presso
largita i Cronidi;
né poi la sua grande fortuna serbò: ché con brama delira
s’accese per Era, consorte del letto di Zeus.
E lui la protervia sospinse ad immane rovina.
Punito fu subito. Un degno
castigo, ei mortale, sofferse. S’aggrava in eterno la pena
su lui, per un duplice fallo: perché fra le genti
mortali, egli, primo
d’ogni altro, non senza la frode, mescè consanguinea strage;

III
Antistrofe
e perché un giorno, nel talamo superbo, d’amore tentò
la sposa di Zeus.
Convien che ciascuno i suoi limiti conosca. L’adultera brama
spinse a fatale rovina, mentr’esso al giaciglio
movea. E una nuvola a fianco si giacque lo stolto,
illuso alla dolce parvenza:
ché simile in tutto alla figlia di Crono, all’eccelsa regina,
l’aveano plasmata, fallacia, specioso supplizio,
le palme di Zeus.
Così per mercede, fu Issione legato alla ruota quadruplice.

Epodo
È questo il suo strazio. Ed avvinto
nei ceppi infrangibili, insegna
agli uomini tale sentenza. —
E senza le Grazie, la Nuvola, solo essa feconda, gli diede
un solo, un orrendo rampollo,
che pregio non ha presso gli uomini
né presso i Celesti. Lo crebbe, lo disse Centauro.
Ed esso alle falde del Pelio s’unf con puledre
Magnesie; e una turba stranissima nacque,
che simile a entrambi i parenti
aveva l’aspetto: di sopra
al padre, di sotto alla madre.

III
Strofe
Esito certo prefigge, a ciò che desidera, il Nume:
Nume, che coglie
le penne dell’aquila a volo, che giunge nel mare il delfino,
che alcuno prostrò dei superbi mortali, e concesse
ad altri ognor florida gloria. Ma io dell’oltraggio
il morso, veemente bandisco:
che vidi, sebbene da lunge, sovente il maledico Archiloco,
che impingua tra l’odio e le scede, restar di miseria
nei lacci irretito.
Avere ricchezza e saggezza, è bene supremo per gli uomini.

Antistrofe
Senno e ricchezza tu hai: tu cuor liberale a mostrarla.
O Sire, o Signore
di molte città cui ghirlandano torri, e d’eserciti molti,
se dice talun che ne I’Ellade altr’uomo, fra quanti
or vivon, t’avanza per beni, per fama onorata,
con futile mente s’affanna,
con vane parole. La tua virtù celebrando, io disciolgo
le vele per prospero corso. Conviene ai gagliardi
garzoni l’ardire
di zuffe terribili; e gloria perenne tu pure trovasti.

Epodo
tra furie d’equestri cimenti
pugnando, azzuffandoti a piede.
E il tuo ben maturo consiglio,
fa si ch’io lodare ti possa con voce che inganno non teme,
per ogni argomento. — Salute!
Al pari di merce fenicia
per te questo canto s’invia su le spume del mare.
E tu, di buon animo, di Castore l’aria, sposata
ad èole corde contempla: tu accoglila

III
mercè delia lira settemplice. —
Conosci te stesso, sii tu.
Ai pargoli sembra vezzosa

IV
Strofe
sempre vezzosa, la scimmia. Ma in fama sali Radamanto
perché di saggezza
spiccò l’impeccabile fiore; né l’animo allieta alle illecebre
che sempre aderiscono all’arti di chi piaggia e mormora.
È male incurabile calunnia che all uno ed all altro
si volga: è volpina saggezza.
E a queste volpecole furbe, quale utile arreca tale arte?
La rete gravata dai piombi, profondasi tutta
nei gorghi del mare;
ed io, come sughero, illeso galleggio sul fiore dei flutti.

Antistrofe
Mai cittadin frodolento potrà suggerir fra gli onesti
parola ch’abbia esito.
Ma pur, verso tutti scodinzola, intreccia ogni subdola astuzia.
Codesto umor suo non partecipo. Amico agli amici;
ma contro i nemici nemico, a guisa di lupo m’avvento
qua e là, per obliqui sentieri.
E l’uomo che ha franca parola giovare può in ogni governo:
e nella tirannide, e quando la rude plebaglia
dirige lo stato,
e quando governano i saggi. Col Nume lottar non conviene,

Epodo
che ora solleva la sorte
degli uni, ora ad altri concede
purissima gloria. Ma questo
pensiero non placa degl’invidi le menti, che a mèta troppo
ardua
volgendo le brame, nel seno
s’infiggono piaga d’angoscia,
ben pria d’ottenere guanto essi vagheggiano in cuore.
Val meglio l’impostoci giogo con animo calmo
portar: contro il pungolo vibrare lo zoccolo
mi par sdrucciolevole tramite.
A me sia concesso fra i buoni
trovarmi, e goderne l’affetto.