Ushabti

Sono statuette di terracotta, di legno, di pietra o di bronzo che venivano messe nelle sepolture dei defunti ed erano destinate ad eseguire, nell'aldilà, i lavori che sarebbe toccato fare al morto. In alcune tombe sono state trovate fino a 365 Ushabti, una per ogni giorno dell'anno.
Esse venivano animate mediante delle formule magiche; un esempio di tali formule lo troviamo nel cap. 6 del Libro dei Morti: «O Ushabti, se io sarò chiamato, se sarò incaricato dei lavori che si fanno nella città dei morti [...], cioè coltivare i campi. far scorrere l'acqua dagli argini, trasportare la sabbia da Oriente ad Occidente, allora tu di "Eccomi qui!"».
L'idea di queste statue animate in grado di svolgere lavori pesanti, e di sostituire gli schiavi in carne ed ossa, è alla base del medesimo complesso mitico del Golem e degli Automi.

ETIMOLOGIA[modifica]

Il significato del nome nella sua grafia originaria (Shawabti) è ignoto; in genere lo si interpreta come Ushabti, "colui che risponde". Secondo alcuni, infatti, il termine Ushabti deriva dal verbo mhab (rispondere), forse nel senso che dovevano rispondere all'appello del defunto e lavorare con lui nella vita che continuava nell'aldilà.