Differenze tra le versioni di "Teogonia"

(I Figli di Taumante ed Elettra)
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|titolo=Θεογονία
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|autore=Esiodo
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La Teogonia (in greco Θεογονία) è un poema mitologico di [[Esiodo]], in cui si raccontano la storia e la genealogia degli dèi greci. Si ritiene che sia stato scritto intorno all'anno 700 a.C., ed è una fonte fondamentale per la mitografia.
 
La Teogonia (in greco Θεογονία) è un poema mitologico di [[Esiodo]], in cui si raccontano la storia e la genealogia degli dèi greci. Si ritiene che sia stato scritto intorno all'anno 700 a.C., ed è una fonte fondamentale per la mitografia.
 
L'opera è composta da 1022 esametri e ripercorre gli avvenimenti mitologici dal [[Caos]] primordiale fino al momento in cui [[Zeus]] diviene signore degli dèi.  
 
L'opera è composta da 1022 esametri e ripercorre gli avvenimenti mitologici dal [[Caos]] primordiale fino al momento in cui [[Zeus]] diviene signore degli dèi.  
  
 
==Trama==
 
==Trama==
In un ampio proemio iniziale, [[Esiodo]] parla delle [[Muse]], citando anche se stesso. Quindi racconta di come dal [[Caos]] si originarono l'[[Erebo]] e la [[Notte]], poi l'[[Etere]] ed [[Emera]]. Da [[Ge]] nacquero [[Urano]] (il cielo stellato) e [[Oceano]]; da [[Urano]] la famiglia dei [[Titani]], l'ultimo dei quali, [[Crono]], mutilò il padre e regnò sugli altri dèi, finché non venne sostituito da [[Zeus]].
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In un ampio proemio iniziale, [[Esiodo]] parla delle [[Muse]], citando anche se stesso. Quindi racconta di come dal [[Caos]] si originarono l'[[Erebo]] e [[Nyx]], poi l'[[Etere]] ed [[Emera]]. Da [[Ge]] nacquero [[Urano]] (il cielo stellato) e [[Oceano]]; da [[Urano]] la famiglia dei [[Titani]], l'ultimo dei quali, [[Crono]], mutilò il padre e regnò sugli altri dèi, finché non venne sostituito da [[Zeus]].
 
Il passaggio dalla signoria dei [[Titani]] alla monarchia di [[Zeus]] viene visto dal poeta come il passaggio dalla violenza e dal disordine all'ordine e alla giustizia. Segue una lunga ridistribuzione della potenza degli dei, con l'indicazione anche delle divinità minori, talora in elenchi che sembrano alberi genealogici. Alla fine viene fatto cenno alle unioni tra gli dei e degli dei con i mortali, che daranno origine alle schiere degli eroi della mitologia greca.
 
Il passaggio dalla signoria dei [[Titani]] alla monarchia di [[Zeus]] viene visto dal poeta come il passaggio dalla violenza e dal disordine all'ordine e alla giustizia. Segue una lunga ridistribuzione della potenza degli dei, con l'indicazione anche delle divinità minori, talora in elenchi che sembrano alberi genealogici. Alla fine viene fatto cenno alle unioni tra gli dei e degli dei con i mortali, che daranno origine alle schiere degli eroi della mitologia greca.
 
Vengono raccontati anche il mito di [[Prometeo]] e il mito di [[Pandora]].
 
Vengono raccontati anche il mito di [[Prometeo]] e il mito di [[Pandora]].
  
 
==Il Testo==
 
==Il Testo==
Il testo della Teogonia è attualmente in pubblicazione. Sarà completato al più presto.
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{{vedi anche|Biblioteca:Esiodo, Teogonia}}
===Proemio===
 
Cominci il canto mio dalle Muse Elicònie, che sopra<br>
 
l'eccelse d'Elicóna santissime vette han soggiorno,<br>
 
e con i molli pie' d'intorno alla cerula fonte<br>
 
danzano, intorno all'ara del figlio possente di Crono.<br>
 
Esse, poiché nel Permesso lavate han le tenere membra,<br>
 
o d'Ippocrène nell'acque, oppur del santissimo Olmèo,<br>
 
intreccian d'Elicona sui vertici sommi, carole<br>
 
agili, grazïose: ch'è grande virtú nei lor piedi.<br>
 
Di qui balzando poi, nascoste entro veli di nebbie,<br>
 
muovon di notte, attorno spargendo la morbida voce,<br>
 
per esaltar nell'inno l'Egíoco Giove, e Giunone<br>
 
la venerabile Dea, che muove con sandali d'oro,<br>
 
e la figliuola di Giove signore dell'ègida, e Atèna<br>
 
occhiazzurrina, e Apollo, e Artèmide vaga di frecce,<br>
 
e Posidóne, il Dio che cinge, che scuote la terra<br>
 
e Teti veneranda, Ciprigna dagli occhi fulgenti,<br>
 
Dióna bella, ed Ebe dall'aurea ghirlanda, Latona,<br>
 
Giapèto, Crono acuto pensiero, ed Aurora e Selène<br>
 
lucida, ed Elio grande, e Ocèano immenso, con Gea,<br>
 
con Notte negra, e tutta la stirpe dei Numi immortali.<br>
 
Quelle che il canto bello d'Esiodo ispirarono un giorno,<br>
 
mentr'egli pasturava le greggi sul santo Elicona,<br>
 
quelle medesime Dive narrarono a me ciò ch'io narro,<br>
 
le Muse Olimpie, figlie di Giove, dell'ègida sire.<br>
 
«Pastori avvezzi ai campi, gran bíndoli, pance e null'altro,<br>
 
favole molte sappiamo spacciar ch'ànno aspetto di vero;<br>
 
ma poi, quando vogliamo, sappiamo narrare anche il vero».<br>
 
Disser del sommo Giove cosí le veridiche Figlie;<br>
 
e a me diedero un ramo di florido alloro, stupendo,<br>
 
ch'io ne tagliassi uno scettro, m'infusero in seno la voce<br>
 
divina, ond'io potessi cantare il presente e il futuro,<br>
 
mi disser di cantare la stirpe dei Numi immortali,<br>
 
e loro stesse, sempre, del canto al principio e alla fine;<br>
 
ma perché mai qui sto cianciando di rupi e di quercie?<br>
 
Su', dalle Muse dunque comincia, che allegran di Giove<br>
 
l'eccelsa mente, quando intonano gl'inni in Olimpo,<br>
 
e dicono le cose che furono e sono e saranno,<br>
 
con le parole espresse. Dal labbro alle Dive, la voce<br>
 
infaticabile scorre, soave. La casa di Giove<br>
 
è tutta un riso, allorché s'effonde la voce di giglio<br>
 
di queste Dive: echeggia la vetta nevosa d'Olimpo,<br>
 
echeggiano le case dei Superi. Ed esse, spargendo<br>
 
l'ambrosia voce, prima l'origine cantan dei Numi,<br>
 
cui generò da prima la Terra col Cielo profondo:<br>
 
cosí nacquer gli Dei, che largiscono agli uomini i beni.<br>
 
E Giove cantan poi, degli uomini padre e dei Numi,<br>
 
e quanto egli è piú forte dei Numi, quanto è piú possente.<br>
 
Cantan degli uornini poi la progenie, poi dei Giganti.<br>
 
Allietano cosí la mente di Giove in Olimpo<br>
 
le Olimpie Muse, figlie di Giove, dell'ègida sire:<br>
 
le generava nella Pïèride al padre Croníde<br>
 
Mnemòsine, che quivi regnava sui campi Eleutèri:<br>
 
ed esse dànno oblio nei mali, e riposo dai crucci.<br>
 
Con lei Giove dal sonno profondo s'uní nove notti,<br>
 
salendo - e nulla i Numi ne seppero - il talamo sacro.<br>
 
E quando un anno poi fu trascorso, e tornâr le stagioni,<br>
 
furon distrutti mesi, compiuti molteplici giorni,<br>
 
essa, non molto lungi dai picchi nevosi d'Olimpo,<br>
 
nove fanciulle die' a luce, di mente concorde, che tutte<br>
 
amano il canto, e scevro d'affanni hanno il cuore nel petto.<br>
 
Intreccian quivi molli carole, quivi hanno le case;<br>
 
e presso hanno soggiorno le Grazie e il soave Desio,<br>
 
sempre in diletto. Ed esse, l'amabile voce effondendo,<br>
 
cantan di tutti quanti le leggi, ed i santi costumi<br>
 
dei Numi, alte accordando le voci dolcissime al canto.<br>
 
Mossero allora all'Olimpo, levando l'ambrosie canzoni<br>
 
liete di loro voci. D'intorno echeggiava a quell'inno<br>
 
la negra terra, ed era soave dei piedi la romba,<br>
 
mentre moveano al padre Croníde signore del cielo,<br>
 
che regge il tuono in puguo, che regge la folgore ardente,<br>
 
poscia che il padre Crono domò con la forza, e a ciascuno<br>
 
degli Immortali assegnò, con equa ragione, gli onori.<br>
 
Cosí cantâr le Muse che hanno soggiorno in Olimpo,<br>
 
le nove figlie nate da Giove signore possente,<br>
 
Tersícore, Polímnia, Melpòmene, Urania,Talía,<br>
 
Euterpe, Erato, Clio, Callíope: è questa fra tutte<br>
 
egregia, essa dei re venerandi mai sempre compagna.<br>
 
Quello dei re nutriti da Giove, cui rendono onore,<br>
 
cui miran, quando nasce, le figlie di Giove possente,<br>
 
a cui versano sopra la lingua una dolce rugiada,<br>
 
e le parole di bocca gli sgorgan piú dolci del miele,<br>
 
guardano quello tutte le genti, quando esso le leggi<br>
 
parte con equa giustizia: quand'egli securo favella,<br>
 
súbito seda con saggia parola una rissa anche grave.<br>
 
Per questo i saggi re ci sono: perché, quando incombe<br>
 
dànno sui popoli, sanno con miti, con sagge parole,<br>
 
in assemblea, di leggeri, parlando, rivolger le sorti.<br>
 
Se fra le genti va, l'onorano al pari d'un Nume,<br>
 
con reverenza grande: ch'ei muove fra tutti distinto.<br>
 
Il sacro dono è questo che porgon le Muse ai mortali,<br>
 
ché, per voler delle Muse, d'Apollo che lungi saetta,<br>
 
cantori e citaristi divengono gli uomini in terra,<br>
 
i re per volontà di Giove, Beato il mortale<br>
 
caro alle Muse: a lui fiorisce dai labbri la voce:<br>
 
e, pur se alcuno ha cruccio nel cuore per lutto recente,<br>
 
se di cordoglio ha pieno lo spirito, quando il cantore<br>
 
ministro delle Muse, le gesta degli uomini antichi<br>
 
canta, e i beati Celesti che reggon d'Olimpo le sedi,<br>
 
súbito le sventure dimentica, piú non ricorda<br>
 
i lutti; e delle Dive ben presto lo svagano i doni.<br>
 
Figlie di Giove, salvete, l'amabile canto a me date;<br>
 
e celebrate la stirpe dei Numi che vivono eterni,<br>
 
che nacquer dalla Terra, dal Cielo gremito di stelle,<br>
 
e dalla buia Notte: nutriti altri furon dal mare.<br>
 
E dite come prima la Terra ebbe origine, e i Numi<br>
 
nacquero, e i Fiumi, e il Mare che irato si gonfia, infinito,<br>
 
e sfavillanti gli astri nell'alto, e l'amplissimo Cielo.<br>
 
E come i Numi nacquer da loro, datori di beni,<br>
 
e come fêr dei beni le parti, ed ottenner gli onori,<br>
 
e come ebbero prima l'Olimpo dai molti recessi.<br>
 
Ditemi questo, o Muse, che avete dimora in Olimpo,<br>
 
sin dall'origine, dite chi primo di lor venne a luce.
 
 
 
===Le prime quattro essenze: Caos, Tartaro, Amore e Terra===
 
E nacque dunque il Càos primissimo; e dopo, la Terra
 
<br>dall'ampio seno, sede perenne, sicura di tutti
 
<br>gli Dei ch'ànno in possesso le cime nevose d'Olimpo,
 
<br>e, della terra dall'ampie contrade nei bàratri, il buio
 
<br>Tàrtaro; e Amore, ch'è fra tutti i Celesti il piú bello,
 
<br>che dissipa ogni cura degli uomini tutti e dei Numi,
 
<br>doma ogni volontà nel seno, ogni accorto consiglio.
 
 
 
===I Figli del Caos===
 
Dal Caos ebber vita quindi Erebo, e Notte la negra.
 
 
 
===I Figli della Notte===
 
Nacquero l'Etere e il Dí dalla Notte, che ad Erebo mista
 
<br>giacque in amore, e incinse, li die' l'una e l'altro alla luce
 
 
 
===I Figli della Terra===
 
La Terra generò primamente, a sé simile, Uràno
 
<br>tutto cosperso di stelle, che tutta potesse coprirla,
 
<br>e insieme sede fosse dei Numi del cielo sicura;
 
<br>e generò gli alti Monti, graditi riposi alle Ninfe,
 
<br>che Dive sono, ed hanno riparo per valli boscose,
 
<br>e il Ponto generò, senza gioia d'amor, ch'è un immane
 
<br>pelago, dove mai non si miete, che gonfia ed infuria.
 
 
 
===I Titani===
 
Poi, con Uràno giaciuta, generò l'Ocèano profondo,
 
<br>e Coio, Crio, Giapèto, Mnemòsine, Tèmide, Rea,
 
<br>Iperïone, Tea, l'amabile Tètide, e Febe
 
<br>dalla ghirlanda d'oro. Dopo essi, il fortissimo Crono
 
<br>venne alla luce, di scaltro consiglio, fra tutti i figliuoli
 
<br>il piú tremendo; e d'ira terribile ardea contro il padre.
 
<br>Ed i Ciclopi poi generava dal cuore superbo,
 
<br>Stèrope, Bronte, ed Arge dal cuore fierissimo: il tuono
 
<br>diedero questi a Giove, foggiarono il folgore. In tutto
 
<br>erano simili essi agli altri Celesti Immortali,
 
<br>ma solamente un occhio avevano in mezzo alla fronte:
 
<br>ebbero quindi il nome: Ciclòpi; perché solo un occhio
 
<br>si apriva a lor, di forma rotonda, nel mezzo alla fronte.
 
<br>Aveano forze immani, nell'opere grande scaltrezza.
 
<br>Ed altri nacquero anche figliuoli alla Terra e ad Uràno,
 
<br>Cotto, Gía, Briarèo, figliuoli di somma arroganza.
 
<br>Ad essi cento mani spuntavan dagli òmeri fuori,
 
<br>indomabili, immani, cinquanta crescevano teste
 
<br>fuor dalle spalle a ciascuno, sovresse le membra massicce;
 
<br>e senza fine gagliarda la forza su l'orrido aspetto.
 
 
 
===Crono mutila il padre Urano===
 
E quanti erano nati terribili figli d'Uràno
 
<br>e della Terra, tanti fatti erano segno, nascendo,
 
<br>del padre loro all'odio: ché, come nascevano, tutti
 
<br>li nascondeva giú nei bàratri bui della Terra,
 
<br>non li lasciava a luce venire. E dell'opera trista,
 
<br>godeva Uràno, e Terra gemeva, l'immane, che troppo
 
<br>era gravata; e un'arte pensò di malevola frode.
 
<br>Súbito generò del cinerèo ferro l'essenza,
 
<br>una gran falce estrusse, poi disse ai suoi figli diletti:
 
<br>disse con animo audace, sebbene il suo cuore era triste:
 
<br>«Figli che a un padre senza pietà generai, se volete
 
<br>udirmi, or vendicare potremo gli affronti del padre
 
<br>vostro, che ai vostri danni rivolse per primo il pensiero».
 
<br>Cosí disse; ma tutti coglieva terrore, né alcuno
 
<br>parlava. Il grande Crono fe' cuore, l'accorto pensiero,
 
<br>ed alla sacra madre si volse con queste parole:
 
<br>«O madre, io ti prometto di compier l'impresa: ad effetto
 
<br>la recherò: ché nulla del tristo mio padre m'importa:
 
<br>ché egli ai nostri danni rivolse per primo la mente».
 
<br>Cosí rispose; e molto la Terra, l'immane, fu lieta.
 
<br>Ed in agguato allora lo ascose, ed in mano gli pose
 
<br>quella dentata falce, l'inganno tramò tutto quanto.
 
<br>E venne Uràno, il grande, recando la notte, e bramoso.
 
<br>d'amor, tutto incombé su la terra, su lei tutto quanto
 
<br>si stese; ed ecco il figlio, la manca avventò dall'agguato,
 
<br>ad afferrarlo, impugnò con la destra la falce tremenda,
 
<br>lunga, dentata, e al padre d'un colpo recise le coglie,
 
<br>e dietro sé le gittò nel mare, ché via le portasse.
 
 
 
===Erinni, Giganti, Ninfe e Melie===
 
Né fu che senza effetto gli uscissero quelle di mano;
 
<br>però che quante lí ne sprizzarono stille di sangue,
 
<br>le accolse tutte quante la Terra; e col volger degli anni,
 
<br>l'Erinni generò tremende, e gl'immani Giganti,
 
<br>lucidi in armi, strette nel pugno le lunghe zagaglie,
 
<br>e quelle Ninfe che Mèlie son dette sovressa la terra.
 
 
 
===Afrodite===
 
E le vergogne, cosí come pria le recise col ferro,<br>
 
dal continente via le scagliò nell'ondísono mare.<br>
 
Cosí per lungo tempo nel pelago errarono; e intorno<br>
 
all'immortale carne sorgea bianca schiuma; e nutrita<br>
 
una fanciulla ne fu, che prima ai santissimi giunse<br>
 
uomini di Citèra. Di Cipro indi all'isola giunse.<br>
 
E qui dal mare uscí la Dea veneranda, la bella;<br>
 
ed erba sotto i piedi suoi morbidi crebbe; e Afrodite<br>
 
la chiamano gli Dei, la chia mano gli uomini: ch'ella<br>
 
fu dalla spuma nutrita: Ciprigna anche è detta, da Cipro<br>
 
ov'ella anche approdò: Citerèa perché giacque a Citera;<br>
 
e genïale perché dalle membra balzò genitali.<br>
 
Compagno Amor le fu, la seguí Desiderio leggiadro,<br>
 
quando ella prima nacque, dei Numi avanzò fra l'accolta.<br>
 
Tal da principio onore possiede, tal sorte prescelta<br>
 
a lei fu tra le genti mortali e fra i Numi immortali:<br>
 
i virginali colloquî d'amore, ed il riso e gl'inganni,<br>
 
ed il soave sollazzo, coi baci piú dolci del miele.<br>
 
E il padre, Uràno grande, chiamava Titani i suoi figli<br>
 
ch'ei generò: distinti li volle d'un nome d'oltraggio,<br>
 
perché, ligi ad empiezza, compiuto un immane misfatto<br>
 
avevano essi; e il fio dovrebbero un giorno pagarne.
 
 
 
===I Figli della Notte===
 
La Notte a luce die' l'odïoso Destino, la Parca
 
<br>negra, la Morte, il Sonno, fu madre alla stirpe dei Sogni
 
<br>(né con alcuno giacque per dar loro vita, l'Ombrosa).
 
<br>Poi Momo partorí, la sempre dogliosa Miseria,
 
l'Espèridi, che cura, di là dall'immenso Oceàno,<br>
 
hanno degli aurei pomi, degli alberi gravi di frutti,<br>
 
e le dogliose Moire, che infliggono crudi tormenti,<br>
 
àtropo, Clòto e Làchesi, che a tutte le genti mortali<br>
 
il bene, appena a luce venute, compartono e il male,<br>
 
e dei trascorsi le pene agli uomini infliggono e ai Numi.<br>
 
Né dallo sdegno tremendo desistono mai queste Dive,<br>
 
prima che infliggano a ognuno la pena com'esso ha fallito.<br>
 
Nèmesi a luce anche die', cordoglio degli uomini tutti,<br>
 
la tetra Notte; e a luce poi diede l'Inganno, la Foia,<br>
 
la sciagurata Vecchiaia, la Contesa dal cuore animoso.<br>
 
 
 
===I Figli di Contesa===
 
E l'odïosa Contesa generò il cruccioso Travaglio,<br>
 
l'Oblivïone, la Fame, di lagrime aspersi i Dolori,<br>
 
le Zuffe, gli Omicidî, le Guerre, le Stragi di genti,<br>
 
le menzognere Contese, le False Parole, i Contrasti,<br>
 
e l'Ingiustizia e l'Ate, che son l'una all'altra parente,<br>
 
il Giuramento, che spesso cordoglio alle genti mortali.<br>
 
reca, quand'uno giura, ma fede al suo giuro non serba.<br>
 
 
 
===I Figli di Ponto===
 
E Ponto generò Nerèo, l'anzïano dei figli,<br>
 
verace, che non sa menzogna. Lo chiamano il vecchio,<br>
 
perché non tesse inganni, né mai la giustizia si scorda,<br>
 
ma la giustizia ha sempre nell'animo e i miti consigli.<br>
 
Poi, con la Terra misto d'amore, die' vita all'immane<br>
 
Taumante, a Forci, a Ceto di guancia vezzosa, a Euribía,<br>
 
che nel suo seno alberga un cuore piú duro del ferro.<br>
 
 
 
===Le Nereidi===
 
E nacquer da Nerèo, nel ponto ove mai non si miete,<br>
 
altre piacevoli Dee, cui madre fu Dòride, prole<br>
 
d'Ocèano eccelso fiume, famosa per bella cesarie:<br>
 
Prima, Reginadeiventi, Salvezza, Bonaccia, Anfitríte,<br>
 
Tètide, Donibella, Velocesuiflutti , Azzurrina,<br>
 
Grotta la snella, Fiorente l'amabile, Metadisguardi,<br>
 
Bellavittoria dal braccio di rose, Dilettodeicuori,<br>
 
Tuttadimiele vezzosa, Rifugiodeiporti, Miranda,<br>
 
Regala, Solcalonda, Munifica, Regnasuicapi,<br>
 
Isolabella, Spiaggia , Potenza, la braccia di rose<br>
 
Mentemaretta, e Corrisuivortici tutta dolcezza,<br>
 
Dòride, Girapupilla, la dolce a veder Galatea,<br>
 
e Frenalonde che i flutti del mare cosperso di nebbia<br>
 
agevolmente, e i soffi del vento gagliardo raffrena,<br>
 
con Anfitrite dai vaghi malleoli , con Placamarosi,<br>
 
Maretta, e Riva bellacorona, e Signoradelmare,<br>
 
e Glaucanorma amica del riso, e Travalicaponto,<br>
 
e Pianastesa, e Belladistesa, e Signoradigenti,<br>
 
e Multimperia, e Scioglidaitriboli, e Liberidea,<br>
 
Giuradinò, bellezza immune da pecca, ed Arena<br>
 
di grazïose membra, Menippe divina, Isolina,<br>
 
e Buonarotta, Prudenza, Giustizia ed Immunedainganno,<br>
 
che uguale è per finezza di mente, al suo padre immortale.<br>
 
Queste le figlie sono di Nèreo immune da pecche:<br>
 
sono cinquanta, esperte fanciulle nell'opere egregie.<br>
 
 
 
===I Figli di Taumante ed Elettra===
 
E Taümante, sposò d'Ocèano dai gorghi profondi<br>
 
la figlia, Elettra. Ed Iri veloce die' questa alla luce,<br>
 
ed Occhipète e Procella, le Arpie dalle fulgide chiome,<br>
 
che a pari errano a volo coi soffi dei venti e g li uccelli,<br>
 
sopra veloci penne, ché in alto si lanciano a corsa.
 
 
 
===I Figli di Ceto e di Forci===
 
E Ceto partorí le Graie bellissime a Forci,<br>
 
che dalla nascita sono canute, e le chiamano Graie<br>
 
gli uomini che sulla terra si muovono, e i Numi del cielo:<br>
 
Penfredo dal bel peplo, con Enio dal peplo di croco;<br>
 
e le Gorgóni che stanno di là dal famoso Oceàno,<br>
 
verso la Notte, agli estremi confini, ove, garrule voci,<br>
 
sono l'Espèridi: Stenno, Euríale e Medusa funesta.<br>
 
Era mortale questa, immuni da morte o vecchiezza<br>
 
le prime due: con quella, sui fiori d'un morbido prato<br>
 
a Primavera, il Nume s'uní dalla chioma azzurrina.<br>
 
E quando a lei Persèo dal collo recise la testa,<br>
 
il grande ne balzò Crisàore, e Pègaso. A quello<br>
 
ben si convenne il nome, quand'egli d'intorno alle fonti<br>
 
giunse d'Ocèano, e d'oro stringeva nel pugno una spada.<br>
 
Quindi volò, lasciando la terra nutrice di greggi,<br>
 
fra gl'Immortali giunse, di Giove nei tetti or dimora,<br>
 
e il tuono a Giove, mente sagace, ed il fulmine reca.<br>
 
 
 
I FIGLI DI CALLíROe
 
Crisàore s'uní con Ca llíroe, d'Ocèano figlia,
 
e Gerïóne nacque da loro ch'à triplice capo.
 
Ercole tolse a questo la vita, il gagliardo campione,
 
nell'Eritèa circonfusa dall'acque, vicino ai giovenchi
 
dal lento pie', quand'egli, d'Ocèano traverso al cammino,
 
spingeva i buoi dall'ampia cervice a Tirinto la sacra.
 
Ed Orto uccise, ed Euritióne, dei bovi custode,
 
nella nebbiosa stalla, di là dal famoso Oceàno.
 
E un altro orrido mostro generò Callíroe, per nulla
 
simile agli uomini, o ai Numi d'Olimpo che vivono eterni,
 
in una cava spelonca: la diva scaltrissima Echidna,
 
che Diva è per metà, bella guancia con occhi fulgenti,
 
e per metà serpente terribile, orribile, immane,
 
versicolore, vivace, nei bàratri immensi di Gèa.
 
Una spelonca ha qui, sottessa una concava roccia,
 
lungi dai Numi immortali, dagli uomini nati a morire:
 
l'inclita casa a lei qui prescrissero i Numi immortali.
 
Ma ella riparò sotterra, fra gli Arimi, Echìdna,
 
la luttuosa, Ninfa che mai non invecchia né muore.
 
 
 
I FIGLI DI ECHìDNA E TIFóNE
 
D'amor con lei si strinse, fanciulla dai fulgidi sguardi,
 
l'ingiurïoso Tifóne, che spezza ogni legge, tremendo.
 
Ed essa incinse, e a luce die' figli dall'animo invitto
 
per Gerïone prima die' a luce Orto, il cane: secondo
 
un mostro partorí terribile piú d'ogni dire,
 
Cèrbero, il cane dell'Orco, che voce ha di bronzo, gagliardo,
 
senza pietà, che di vivi si nutre, che capi ha cinquanta:
 
l'Idra di Lerna terza die' a luce, d'aspetto funesto,
 
cui nutricò Giunone, la Diva dal candido braccio,
 
che, d'ira insazïata contro Ercole valido ardeva.
 
Ma lei trafisse il figlio di Giove col ferro spietato,
 
d'Anfitrióne il figlio, col suo prediletto Iolào,
 
Ercole per volere d'Atèna, la Diva predace.
 
 
 
CHIMERA, FIGLIA D'IDRA
 
Idra, poi partorí Chimera, che fuoco spirava,
 
che immane era, tremenda, veloce nei piedi, gagliarda.
 
Essa tre teste aveva: la prima di fiero leone,
 
l'altra di capra, la terza di serpe, d'orribile drago.
 
Bellerofonte prode con Pègaso morte le diede.
 
 
 
I FIGLI DI CHIMERA
 
Essa con Orto s'uní, die' a luce la Sfinge funesta
 
che sterminava le genti di Cadmo, e il leone di Neme,
 
cui nutricò Giunone, di Giove la celebre sposa,
 
e lo mandò nei campi Nemèi, gran cordoglio ai mortali.
 
Quivi abitava, e a rovina mandava le molte famiglie,
 
che aveva Treto in suo dominio, e Apesanto e Nemèa.
 
Ma Ercole gagliardo poté con la forza domarlo.
 
 
 
IL FIGLIO DI CETO E FòRCIDE
 
Ed in amore Ceto con Fòrcide unita, un serpente
 
orrido generò, che nei bàratri bui della terra
 
sta, con le spire immani, degli aurei pomi custode.
 
Questo serpente, dunque, da Ceto e da Fòrcide nacque.
 
 
 
I FIGLI DI TèTIDE E OCèANO: I FIUMI
 
E Teti generò i fiumi ad Ocèano: Nilo,
 
Erídano, che fondi mulina i suoi vortici, Alfeo,
 
Istro dall'acque belle, Strimòne, Meandro, Acheloo
 
argenteo, Fasi, Reso, Alïàcmone, Ròdïo, Nesso,
 
Eptàporo, Graníco, Simèta divino, ed Esèpo,
 
Ermo, Penèo, Caíco dai fluidi rivi, Ladone,
 
Sàngaro il grande, Eveno, Ardesco, Partenio, Scamandro.
 
 
 
LE OCèANINE
 
E generò delle Figlie la sacra progenie, che sopra
 
la terra, hanno tutela degli uomini, insieme coi Fiumi,
 
e con Apollo: questo l'ufficio prescritto da Giove:
 
Süada, Ianta, Elettra, Celeste d'aspetto divino,
 
Poppèa, Letizia, Rosa, Ginnetta, Ondabella, Climène,
 
Dòride, Chiara, Saputa, Miranda, Giuntina, Divina
 
l'amabile, Scotiàura, Biancàura, Spolina la bella,
 
Rapida, Donibella, Divizia dagli occhi rotondi,
 
Gioiadeicuori, Biondella, Fulgenzia, Persèide, Europa,
 
Petrina la vezzosa, Tenace, Potenza, Prudenza,
 
Asia, Doretta, Fortuna, Vittoria dal peplo di croco,
 
Corrisulonda, Girasulonda, Signoradeidoni,
 
e, mèta al desiderio dei cuori, Calipso; e di tutte
 
la piú possente, Stige. Son queste d'Oceano e Teti
 
le piú divine figlie: però ce ne sono altre molte:
 
ché son le Ocèanine dai lunghi malleoli tremila,
 
che, sparse in ogni dove, sovressa la terra, o nei cupi
 
vivon del mare abissi, di Dee fulgidissime figlie.
 
Ed altrettanti i fiumi che strepono e corrono al mare,
 
figli d'Ocèano e Tèti, la Dea veneranda a lor madre.
 
Ma dir di tutti il nome è ardua cosa a un mortale:
 
quelli che accanto ad essi dimorano, bene li sanno.
 
 
 
I FIGLI DI TEIA E D'IPERIóNE
 
E Teia ad Elio grande die' vita, e a Selene lucente,
 
ed all'Aurora, che brilla per quelli che stan su la terra,
 
e pei Beati, ch'àn vita perenne, signori del cielo,
 
poscia che ad Iperïóne, domata in amore soggiacque.
 
 
 
I FIGLI DI CRIO E D'EURUBíA
 
Ed Eurubía, con Crio commista in amore, die' a luce,
 
Diva qual è fra le Dive, Astrèo con il grande Pallante,
 
e Perse, che sovrasta su tutti per mente e per senno.
 
 
 
I FIGLI D'AURORA E D'ASTRèO
 
Aurora partorí i venti gagliardi ad Astrèo,
 
Zefiro serenatore, veloce nei tramiti Bora,
 
e Noto: con un Dio si fuse ella, Diva fulgente.
 
E dopo loro, un astro, Eòsforo, a luce essa diede,
 
e le lucenti Stelle, che sono corona del cielo.
 
 
 
===I Figli di Stige e di Pallante===
 
Stige, d'Ocèano figlia, die', mista d'amore a Pallante,
 
nelle sue case, Nice dai vaghi malleoli, e Zelo.
 
E Crate poscia e Bia generò, celeberrimi figli,
 
che mai non han lontano da Giove né casa né sede,
 
né s'allontanano mai, se ad essi l'Iddio non l'impone,
 
ma stanno sempre a Giove signore del folgore presso.
 
Però che Stige un giorno decise cosí, l'immortale
 
Oceanina, quando l'Olimpio che i folgori avventa
 
tutti gl'Iddei chiamò che vivono eterni, e promise
 
che quanti seco adesso pugnassero contro i Titani,
 
nessuno privo andrebbe di doni, e ciascuno l'onore
 
avrebbe ch'era un dí suo retaggio fra i Numi immortali.
 
E chi non ebbe onori da Crono, soggiunse, né doni,
 
onori e doni, come Giustizia desidera, avrebbe.
 
Stige immortale fu la prima che giunse in Olimpo
 
insiem coi figli suoi, secondo il volere del padre.
 
E Giove l'onorò, le diede larghissimi doni,
 
fece che il nome suo fosse giuro solenne ai Celesti,
 
e che i suoi figli sempre vivesser dov'egli viveva.
 
E parimenti a tutti, cosí come aveva promesso,
 
mantenne; ed egli ha sommo potere fra tutti ed impera.
 
 
 
===I Figli di Febe e Coio===
 
E Febe ascese poi di Coio il dolcissimo letto;
 
e poi che, Diva, stretta d'amor con un Nume, fu incinta,
 
Latona generò dal peplo di cíano, Diva
 
soave al par del miele per gli uomini e i Numi immortali,
 
sin da che nacque, mite, dolcissima poscia in Olimpo.
 
E Asteria generò, dal nome vezzoso, cui Perse
 
nella sua casa grande condusse, per farla sua sposa.
 
 
 
===Ecate===
 
E Asteria incinse, e a vita diede ècate, cui sopra tutti
 
Giove Croníde onorò, le die' fulgidissimi doni:
 
parte le die' della terra, del mare che mai non si miete:
 
ed anche ella ha potere nel cielo gremito di stelle,
 
e piú d'ogni altra, onore fra i Numi immortali riscuote.
 
Ed anche adesso, quando qualcuno degli uomini in terra
 
fa sacrifizi, e placa, secondo le usanze, i Celesti,
 
Ecate invoca per nome. E onore accompagna un mortale,
 
quando la Dea le sue preghiere benevole intende;
 
e gli concede prosperità: ché ben grande è sua possa.
 
Perché di quanti nacquer da Terra e da Uràno, ed onori
 
ebbero, questa Dea parte ha degli onori d'ognuno;
 
perché duro con lei non fu Giove, né nulla le tolse
 
di quanto ella avea già fra i Numi piú antichi, i Titani,
 
bensí tutta la parte che allor possedeva, possiede.
 
Né meno onor la Dea, perché figlia è unica, ottenne,
 
non della terra parte minore, del cielo e del mare,
 
ma anzi assai di piú: ché molto l'onora il Croníde.
 
E sta presso a chi vuole proteggere, e molto gli giova.
 
Nell'assemblea, prevale fra gli uomini l'uom ch'ella brama:
 
quando alla guerra, sterminio degli uomini, s'arman le genti,
 
Ecate qui, la Diva, si mostra, ed a quelli che vuole,
 
volonterosa gloria concede, concede vittoria:
 
dove giustizia si parte, vicino ai re giusti ella siede:
 
anche allorché negli agoni contendono gli uomini, giova:
 
ché anche presso a loro si reca la Diva e li assiste,
 
e chi di gagliardia prevalse, di forza, il bel premio
 
agevolmente guadagna, ricopre i suoi figli di gloria.
 
Ai cavalieri anche sa, quando vuole, recare assistenza.
 
E a chi nel glauco mare travaglia, e tra l'ira dei flutti
 
Ecate invoca, e l'Enosigèo che profondo rimbomba,
 
la celeberrima Dea, facilmente concede ogni preda,
 
agevolmente, e, dopo scovata, se vuole, la toglie.
 
Moltiplicare il bestiame nei chiusi ella può con Ermète.
 
Le mandre dei giovenchi, le greggi gremite di capre,
 
le mandrïe lanose di pecore, ov'essa lo voglia,
 
da pochi a molti capi, da molti riduce a ben pochi.
 
Cosí costei, che fu di sua madre l'unica figlia,
 
onor su tutti i Nomi che nacquer piú antichi, riscote.
 
E protettrice il Croníde dei pargoli tutti la fece
 
che gli occhi dopo lei dischiusero ai raggi del sole:
 
cosí da prima fu tutrice onorata ai bambini.
 
  
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Versione delle 20:43, 12 dic 2018

TEOGONIA
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Titolo orig.: Θεογονία
Autore: Esiodo
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Sezione: Mitologia Greca
Anno: 700 a.C.
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Genere: Poema epico
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Lingua orig.: greco antico
In Biblioteca: {{{biblioteca}}}
Traduzione: italiano

La Teogonia (in greco Θεογονία) è un poema mitologico di Esiodo, in cui si raccontano la storia e la genealogia degli dèi greci. Si ritiene che sia stato scritto intorno all'anno 700 a.C., ed è una fonte fondamentale per la mitografia. L'opera è composta da 1022 esametri e ripercorre gli avvenimenti mitologici dal Caos primordiale fino al momento in cui Zeus diviene signore degli dèi.

Trama

In un ampio proemio iniziale, Esiodo parla delle Muse, citando anche se stesso. Quindi racconta di come dal Caos si originarono l'Erebo e Nyx, poi l'Etere ed Emera. Da Ge nacquero Urano (il cielo stellato) e Oceano; da Urano la famiglia dei Titani, l'ultimo dei quali, Crono, mutilò il padre e regnò sugli altri dèi, finché non venne sostituito da Zeus. Il passaggio dalla signoria dei Titani alla monarchia di Zeus viene visto dal poeta come il passaggio dalla violenza e dal disordine all'ordine e alla giustizia. Segue una lunga ridistribuzione della potenza degli dei, con l'indicazione anche delle divinità minori, talora in elenchi che sembrano alberi genealogici. Alla fine viene fatto cenno alle unioni tra gli dei e degli dei con i mortali, che daranno origine alle schiere degli eroi della mitologia greca. Vengono raccontati anche il mito di Prometeo e il mito di Pandora.

Il Testo

Per visualizzare il testo integrale vai a Biblioteca:Esiodo, Teogonia