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A SENOFONTE Di CORINTO VINCITORE NELLO STADIO E NEL PENTATLO IN OLIMPIA
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del Sire marino dell’Istmo, di giovani lieto.
 
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Quivi abita, insieme con Ordine, Giustizia sua suora, per cui
 
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in pie’ le città restan salde, e Pace, datrice di beni,
 
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figlie auree di Teti dal savio consiglio.
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Sovr’esso il fastigio dei templi chi l’aquila indusse?
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Tu, Signore, che Olimpia proteggi,
 
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che un Dio Senofonte beato
 
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conduca con prospero vento: gradisci da lui
 
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i serti, l’encomio ed il rito ch’ei reca dai campi di Pisa,
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vincendo nel pèntatlo, e insieme nel correr lo stadio. Nessuno
 
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avea dei terrigeni mai tanto ottenuto.
 
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Corinto nei cantici, e [[Sisifo]], che al pari d’un Nume fu scaltro,
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Tremarono i Danai per Glauco, venuto di [[Licia]] al soccorso.
 
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Diceva ei che impero, che grandi sostanze e regale dimora
 
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tutto aureo gli desse. Dal sonno, repente
 
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colpi delle [[Amazzoni]] le arciere falangi,
 
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tu cerchi, a scoprir tutto quanto non basta lo sguardo.
 
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Su’, piedi leggeri, alla riva!
 
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O [[Zeus]], e modestia tu accordaci, tu lieta ventura.
 
O [[Zeus]], e modestia tu accordaci, tu lieta ventura.
 
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Versione attuale delle 11:32, 13 dic 2023

A SENOFONTE DI CORINTO VINCITORE NELLO STADIO E NEL PENTATLO IN OLIMPIA

I
Strofe
Celebrando la casa che vinse
Ire volte in Olimpia, benevola ai suoi.
e amica degli ospiti, io visito
Corinto felice, vestibolo,
del Sire marino dell’Istmo, di giovani lieto.
Quivi abita, insieme con Ordine, Giustizia sua suora, per cui
in pie’ le città restan salde, e Pace, datrice di beni,
figlie auree di Teti dal savio consiglio.

Antistrofe
Tracotanza, ch’è madre superba
dell’Odio, sanno esse respinger lontano.
Prodezze ho da dirti; e baldanza
secura sospinge mia lingua.
È vano conato celare l’innato costume:
figliuoli d’Alete, a voi spesso concessero l’Ore fiorite
fulgore d’eroi, vincitori son somma virtù, negli agoni,
e infusero spesso nel cuor dei nepoti
l’ingegno degli avoli. — Ogni opera
a chi la rinvenne appartiene.
Di dove le grazie comparvero del ditirambo
mugliarne, ch’è sacro a Dioniso?
Agl’ippici freni chi diede la norma?
Sovr’esso il fastigio dei templi chi l’aquila indusse?
La Musa fiorisce pur essa
per voi: tra le pugne ferali fiorisce anche Ares.

II
Strofe
Tu, Signore, che Olimpia proteggi,
favor sempiterno concedi ai miei detti.
Fa’ tu che sia salva Corinto,
che un Dio Senofonte beato
conduca con prospero vento: gradisci da lui
i serti, l’encomio ed il rito ch’ei reca dai campi di Pisa,
vincendo nel pèntatlo, e insieme nel correr lo stadio. Nessuno
avea dei terrigeni mai tanto ottenuto.

Antistrofe
E due serti lo cinsero d’apio,
quand’egli comparve nei giuochi dell’Istmo:
Nemea non contrasta: sui gorghi
d’Alfeo, vedi estrutta la gloria
di Tessalo, il padre, che vinse nel corso; ed a Pito
gli diede un sol di’ nello stadio l’onore del duplice corso;
e ancora quel mese, in Atene rupestre, gli die’ tre compensi
il giorno che premia le gare dei piedi.

Epodo
e sette in Ellotia; e nei riti
marini del sire del pelago,
i canti favellano a lungo del padre Tiodoro,
di Tersia, d’Erftimo; e in Delfi,
che gloria, e nei paschi Nemei del leone,
fu vostra! Con troppi m’azzuffo, se debbo esaltare
la copia di vostre vittorie:
ché mai non saprei numerare le arene del pelago.

III
Strofe
A ogni cosa conviene misura;
ed è provvederla saggezza opportuna. Ora s’io,
spedito su pubblica nave
dirò dei vostri avoli il senno,
l’eroica prodezza, non mento, esaltando
Corinto nei cantici, e Sisifo, che al pari d’un Nume fu scaltro,
e quella ch’elesse le nozze contrarie ai voleri del padre,
Medea, che salvezza die’ ad Argo e a Giasone.

Antistrofe
Anche innanzi alle mura di Dàrdano,
apparver pugnando da entrambe le parti i Corinzi,
per mettere fine alla guerra,
alcuni coi figli d’Atreo,
per Elena togliere, ed altri a difesa di Troia.
Tremarono i Danai per Glauco, venuto di Licia al soccorso.
Diceva ei che impero, che grandi sostanze e regale dimora
avea di Pirene fra i muri suo padre.

Epodo
che al giogo costringere Pegaso
volendo, figliuol della Gorgone
chiomata di vipere, molto sovresse le fonti
soffri, pria che Pallade il morso
tutto aureo gli desse. Dal sonno, repente
il vero gli apparve: «Tu dormi, signor degli Eoli?
A te questo magico freno:
tu mostralo al Sire del pelago, tu sgozzagli un tauro».

IV
Strofe
La fanciulla dall’egida fosca
cosi fra le tenebre notturne gli disse,
mentr’egli dormiva. Di sùbito
in piedi balzò; quel prodigio
pigliò; Polivide cercò, di sua patria indovino,
e tutto l’evento gli disse: com’egli, obbedendo ai suoi detti.
la notte a giacer s’era posto vicino all’altar della Diva,
e come la figlia del Sir della folgore

Antistrofe
gli avea dato quell’aureo morso.
Gl’impose che sùbito al sogno ubbidisse;
e quando al possente Signore
avesse immolata la fiera
pie’ saldo, un altare fondasse per Pàilade equestre.
La possa dei Superi compie gli eventi oltre il giuro e la speme.
E Bellerofonte gagliardo, lanciatosi, cinse all’alato
corsier le mascelle col magico freno.

Epodo
domato lo tenne, gli ascese
in groppa, e, coperto di bronzo,
a danza guerresca lo spinse. Con quello, dai gorghi
deserti dell’aere di gelo,
colpi delle Amazzoni le arciere falangi,
e spense Chimera che fuoco spirava, ed i Solimi.
La fine sua taccio. In Olimpo
accolgon la fiera gli aviti presepi di Zeus.

V
Strofe
Or, s’io scaglio la furia veloce
dei dardi, non giusto mi sembra che troppi
di là dalla mèla ne avventi:
ch’io venni a servire le Muse
e i figli d’Oligete all’Istmo e a Nemea. Molte cose
ben chiare, con poche parole dirò: testimonio giurato
a me cento volte in entrambe le gare sarà dell’araldo
onesto la vocp che suona soave.

Antistrofe
Le vittorie d’Olimpia già prima
cantai, non m’inganno. Dirò le venture
assai di buon grado: ora ho speme,
ma l’esito è in Dio. Pur mi sembra,
se il Demone patrio li assista, che a Enialo e a Zeus
vorran confidare tale esito. Ma quante sottesso il Parnasso
e in Argo ed in Tebe compieano bell’opere, dirà, ché le
seppe,
l’altare che domina i gioghi Licei;

Epodo
Pellene, Sicione e Megara,
e il bosco ch’è siepe agli Eacidi
secura; il diran Maratona la pingue, e le belle
le ricche città sotto l’Etna
sublime, e l’Eubea. Se poi tutta l’Ellade
tu cerchi, a scoprir tutto quanto non basta lo sguardo.
Su’, piedi leggeri, alla riva!
O Zeus, e modestia tu accordaci, tu lieta ventura.