Biblioteca:Pindaro, Pitiche, IX

Versione del 31 mar 2017 alle 11:18 di Ilcrepuscolo (discussione | contributi) (Sostituzione testo - 'Gea' con 'Gea')

<poem> A TELESICRATE DI CIRENE’ VINCITORE DELLA CORSA IN ARME A PITO

I Strofe Telesicrate io voglio cantare dal clipeo di bronzo: giungendo con le Grazie dai pepli fluenti, vi annunzio che a Pito ei vinse, e, felice, d’un serto recinse l’equestre Cirene. Cirene, cui Febo chiomato, dai gioghi del Pelio rombanti di vento un giorno rapiva; e l’addusse, sovra aureo cocchio, selvaggia fanciulla, là dove la fece signora d’un suolo ferace di greggi, ferace di biade, che il terzo pollone del mondo le fosse gradita dimora.

Antistrofe Afrodite dal socco d’argento accolse qui l’ospite delio, su la biga divina poggiando la palma leggera. E infuse per essi nel dolce giaciglio pudore ed amore, in nozze concordi stringendo col Nume la figlia del valido Isseo, eroe che dei fieri Lapiti reggeva in quegli evi lo scettro: disceso egli era secondo da Ocèano: nei celebri anfratti del Pindo, la figlia di Gea, Creusa, la Ninfa che il talamo godè di Peneo, gli die’ vita.

Epodo Ed ei generò la fanciulla Cirene dall’omero bianco, che mai non amò del telaio le vie ricorrenti, né in casa restare e danzar con le amiche; ma si con zagaglie di bronzo, col ferro affilato, le fiere selvagge cacciar, procacciando ai greggi del padre diurni sereni riposi; e il sonno, compagno a chi giace soave, ben poco accoglieva, sol quando ai lucori dell’alba repéale sovresse le ciglia.

II Strofe Il Signor dall’immane farètra. Apollo, la colse mentr’ella combatteva un orrendo leone, soletta, senz’arme. E tosto, levando la voce, chiamò dai suoi tetti Chirone:

O figlio di Filira, lascia la sacra spelonca, stupisci l’ardire,

l’immane vigor d’ una donna. Che lotta sostiene l’impavido cuore Fanciulla: ma l’anima supera la gesta che affronta; né il seno terrore le ingombra: Qual uomo la dice sua figlia? Da quale radice divelta.

Antistrofe tra gli ombrosi recessi dei monti cimenta l’immensa prodezza? È concesso ad un Nume distendere sovr’essa la frano? Il miele dell erbe falciare dai floridi prati è concesso? » — E a lui l'animoso Centauro, raggiando la mite serena pupilla d’un placido riso, rispose: «Oh Febo, Suada saggissima tiene nascoste le chiavi dei sacri sponsali; ed i Numi e i mortali s’adontan del pari con brama palese il di primo ascendere il talamo dolce.

Epodo Te pur, cui Menzogna non tange, sospinse ad infinte parole la brama d’amore. La stirpe qual sia della vergine chiedi, Signor, tu che l’esito certo, che i tramiti sai d’ogni evento, e quante vermene germogliano pei campi alla nuova stagione, e quante nel mare e nei fiumi si volgono sabbie agli urti dei flutti e dei venti, che quanto sarà ben prevedi. e donde sarà? Pur, se debbo oracoli esporre al profeta,

III Strofe parlerò. Queste balze cercasti per esser suo sposo. E fra poco oltre il mare con te l’avrai tratta, di Zeus al verziere; e qui di città la (arai signora, una gente isolana insieme adunando su clivo recinto di piani. Qui Libia, l’augusta dai pascoli grandi, benevola nell’aurea sede la sposa accorrà; e sùbito a lei della terra darà, che rimanga legittimo suo bene, una parte ove alberi dànno ogni sorta di frutti, e dimorano fiere.

Anastrofe Un fanciullo qui genera. Ermes lo toglie alla madre diletta. e lo reca alla Terra ed all’Ore dai fulgidi troni, che il pargolo bello depongono sui loro ginocchi, stupite Io ammirano, e nettare e ambrosia gli stillan sui labbri, lo fanno immortale; e Zeus lo chiamano, e Apollo, diletto degli uomini puro, custode dei greggi, signore dei campi, dei pascoli; ed anche Aristeo nomato sarà. » Cosi favellando, lo accese a compier le nozze soavi.

Epodo Or quando lo affrettano i Numi. veloce è l’evento, le vie son brevi. Compiuto quel giorno fu quello: si strinser d’amore nel talamo d’oro di Libia. Or Febo la insigne nei giuochi città luminosa tutela: e lei di Cameade il figlio partecipe fe’ di sua gloria coi serti di Pito. Qui giunse, coprendo Cirene d’onore; e le donne sue belle l’accolgon, che toma da Delfo recando l’amabile gloria.

IV Strofe Sono fonte di molte parole le insigni virtù; ma l’uom saggio presta orecchio a chi poco fra il molto sa eleggere ed orna; e nulla vai meglio che cogliere l’istante opportuno. Ben Tebe conobbe che non lo spregiava lolào; con la tempra del brando recise il capo d’Euriste; e i Tebani sotterra lo ascosero, nel tumulo fondo dell’avo Anfitrione: quivi giaceva il signor che di Sparta fu ospite un giorno, e poscia abitò le contrade cadmèe dalle bianche puledre.

Antistrofe Fu sua sposa e fu sposa di Zeus Alcmena animosa, che a un parto generò la possanza guerriera dei gemini figli. Ben muto è quell’uomo che tace la gloria d’Alcide, né sempre rammemora Tacque di Dirce che lui con Ifiele nutrirono. Ad essi, che un bene invocato concessero a me, debbo un canto di grazia levare. — Deh, mai delle Cariti il puro fulgor non mi lasci! Vi affermo che vinse in Egina tre volte, e sul clivo di Nisa, di gloria cingendo Cirene,

Epodo sfuggendo al Silenzio, retaggio d’inetti, con l’opera. Onde ora gli amici, e, se n’ha, gli avversari, la gesta a comune vantaggio compiuta, non tacciano, e onorino del Vecchio del mar la sentenza. Ei disse che pure al nemico, quand’operi bene, equa lode largire convien di gran cuore. Nei giuochi di Pàllade te videro vincer sovente le vergini — e senza parola o sposo o figliuolo ciascuna bramava d’aver Telesicrate

V Strofe e in Olimpia, e nei giuochi di Gea dal seno profondo, ed in quanti la sua terra ne celebra. — Or mentre la sete di canto che m’arde io lenisco, qualcuno mi spinge che pure la gloria lo desti degli avoli tuoi remoti, che per la donzella di Libia andaron d’Iràsa alla rocca, a gara chiedendo la nobile figlia d’Antèo, dalla fulgida chioma. Lei molti cercavano sposa signor’ di sua patria, lei molti stranieri: ché troppo lucea la persona sua bella.

Antistrofe E a lei d’Ebe dall’aureo serto il florido pomo rapire desiavan. Ma il padre, apprestando più illustri sponsali, pensò come in Argo già Dànao le sue quarantotto figliuole in nozze sollecite strinse avanti che il giorno toccasse il suo mezzo. Schierato lo stuolo di tutte le vergini presso la mèta del circo, stimò che la gara del corso decider dovesse tra tjitti gli eroi convenuti suoi generi, quale ognun d’essi tenere sua sposa dovrebbe.

Epodo Cosi pure il sire di Libia eletto consorte alla figlia cercò. Tutta adorna la pose al limite presso del corso, mèta ultima: e via l’adducesse chi primo sfiorava il suo peplo. Or quivi Alessidamo, il corso rapace compiuto, per mano prendendo la vergine pura, fra i Nomadi accolti l’addusse. Su lui molte frondi gittarono, molte ghirlande. E già pria, col serto dell’ali Cavea redimito Nike. >/poem>