Biblioteca:Igino, Fabulae 105

Palamede[modifica]

Ulisse, che era stato superato in astuzia da Palamede, figlio di Nauplio, ogni giorno macchinava il modo di ucciderlo. Alla fine escogitò di inviare uno dei suoi soldati da Agamennone per dirgli di avere sognato che in un certo giorno si doveva far uscire l’esercito dall’accampamento. Agamennone, considerando veritiero il sogno, comandò che in quel giorno l’esercito partisse; ma durante la notte Ulisse, da solo, interrò una grande quantità d’oro nel luogo dove sorgeva la tenda di Palamede. Poi, dopo avere scritto una lettera, la consegnò a un prigioniero frigio perché la portasse a Priamo ma inviò lo stesso soldato di prima a ucciderlo poco fuori l’accampamento. Il giorno dopo, quando l’esercito rientrò nell’accampamento, un soldato portò ad Agamennone la lettera che era stata scritta da Ulisse e che si trovava sul corpo del frigio, in cui era scritto: «A Palamede da Priamo» e gli prometteva, se avesse tradito l’esercito di Agamennone così come avevano convenuto, tanto oro quanto Ulisse ne aveva sotterrato. Palamede fu portato davanti ad Agamennone e negò la cosa; si andò a frugare nella sua tenda e l’oro venne trovato. Quando Agamennone lo vide, si convinse che l’accusa era vera, e per questo Palamede, ingannato dalle trame di Ulisse, fu ucciso innocente da tutto l’esercito.