Biblioteca:Esiodo, Teogonia - 07 Crono mutila il padre Urano

E quanti erano nati terribili figli d'Urano
e di Gea, tanti fatti erano segno, nascendo,
del padre loro all'odio: ché, come nascevano, tutti
li nascondeva giú nei bàratri bui di Gea,
non li lasciava a luce venire. E dell'opera trista,
godeva Urano, e Gea gemeva, l'immane, che troppo
era gravata; e un'arte pensò di malevola frode.
Súbito generò del cinerèo ferro l'essenza,
una gran falce estrusse, poi disse ai suoi figli diletti:
disse con animo audace, sebbene il suo cuore era triste:
«Figli che a un padre senza pietà generai, se volete
udirmi, or vendicare potremo gli affronti del padre
vostro, che ai vostri danni rivolse per primo il pensiero».
Cosí disse; ma tutti coglieva terrore, né alcuno
parlava. Il grande Crono fe' cuore, l'accorto pensiero,
ed alla sacra madre si volse con queste parole:
«O madre, io ti prometto di compier l'impresa: ad effetto
la recherò: ché nulla del tristo mio padre m'importa:
ché egli ai nostri danni rivolse per primo la mente».
Cosí rispose; e molto Gea, l'immane, fu lieta.
Ed in agguato allora lo ascose, ed in mano gli pose
quella dentata falce, l'inganno tramò tutto quanto.
E venne Urano, il grande, recando la notte, e bramoso.
d'amor, tutto incombé su la terra, su lei tutto quanto
si stese; ed ecco il figlio, la manca avventò dall'agguato,
ad afferrarlo, impugnò con la destra la falce tremenda,
lunga, dentata, e al padre d'un colpo recise le coglie,
e dietro sé le gittò nel mare, ché via le portasse.