Anfesibena

Serpente favoloso a due teste, citato da molti autori antichi e medievali. Le due teste sono situate alle due estremità del corpo, e rendono l'animale capace di muoversi con la stessa facilità nelle due direzioni opposte. L'Anfesibena ha anche gli occhi (che sono ovviamente quattro) luminosi come lucerne, e quindi in grado di rischiarare il cammino dell'animale anche durante la notte. Secondo l'apocrifa Lettera del Prete Gianni, avrebbe anche delle corna ritorte da ariete, fatto che la avvicinerebbe ad uno dei più frequenti ed anonimi mostri della mitologia celtica, il serpente crioce-falo o a testa d'ariete.
Secondo il mito greco, fu generata dal sangue gocciolato dalla testa della gorgone Medusa quando Perseo volò, stringendola in pugno, sopra il deserto libico. Era velenosa e aveva lo sguardo che paralizzava. Inoltre era capace di muoversi in avanti e anche all'indietro.
Secondo Plinio il Vecchio[1] le due teste dell'animale erano necessarie per poter smaltire la sovrabbondante quantità di veleno che questo serpente generava. Tuttavia, a questo aspetto nocivo faceva da contraltare il valore terapeutico che altri autori (ma anche lo stesso Plinio) riconoscevano all'Anfesibena, oltre al fatto che si diceva che anche la pelle delle sue mute fosse un'efficace protezione contro gli altri rettili.

Riferimenti letterari

  • L'Anfesibena è ricordata da Dante nella Divina Commedia, Inferno XXIV, 87. ss.

Note

  1. Plinio il Vecchio, Naturalis Historia

Creature Fantastiche della Mitologia Greca