Biblioteca:Igino, Fabulae 84

Enomao[modifica]

Enomao, figlio di Ares e Asterope, figlia di Atlante, prese in moglie Evarete, figlia di Acrisio, dalla quale ebbe Ippodamia, fanciulla di straordinaria bellezza; ma egli non voleva concederla in nozze a nessuno perché un oracolo lo aveva ammonito di guardarsi dalla morte per mano del genero. E poiché molti la chiedevano in sposa, stabilì il patto che l’avrebbe data a chi lo avesse sfidato in una gara col carro e fosse riuscito a superarlo (egli aveva infatti cavalli più veloci del vento), mentre chi veniva sconfitto doveva essere messo a morte. Molti avevano già perso la vita quando per ultimo si presentò Pelope, figlio di Tantalo, che, vedendo inchiodate sulla porta le teste dei pretendenti di Ippodamia, iniziò a pentirsi temendo la ferocia del re. Così corruppe Mirtilo, l’auriga di Enomao, promettendogli la metà del regno se lo avesse aiutato. Stabiliti i patti, Mirtilo preparò il carro senza inserire le biette ai mozzi delle ruote, e così, quando i cavalli presero il via, mandarono in pezzi il carro difettoso di Enomao. Pelope tornò in patria vincitore insieme a Ippodamia e Mirtilo, ma ebbe paura del disonore che lo attendeva: perciò precipitò Mirtilo nel mare che da lui prese nome Mirtoo. Ricondusse quindi Ippodamia nella propria patria, che si chiama Peloponneso, dove ebbe da lei i figli Ippalco, Atreo e Tieste.