Biblioteca:Igino, Fabulae 22

Secondo il responso di un oracolo, Eete, figlio di Sole, avrebbe conservato il suo regno fintantoché il vello che Frisso aveva consacrato fosse rimasto nel tempio di Ares. Perciò Eete stabilì che Giasone, se voleva portar via il vello d’oro, doveva superare questa prova: mettere un giogo di adamante a due tori dagli zoccoli di bronzo che esalavano fiamme dalle narici e poi arare e seminare, gettandoli da un elmo, i denti del drago, da cui subito sarebbero sorti altrettanti uomini armati che si sarebbero uccisi tra loro. Era però volle come sempre salvare Giasone, perché una volta era giunta a un fiume e, per mettere alla prova le menti degli uomini, aveva assunto le sembianze di una vecchia e chiesto di essere trasportata sull’altra sponda; Giasone lo aveva fatto, mentre altri, passati di lì prima di lui, l’avevano trattata con disprezzo. Perciò, poiché sapeva che Giasone non avrebbe potuto portare a termine l’impresa che gli era stata imposta senza l’aiuto di Medea, Era chiese a Afrodite di infiammare Medea d’amore per lui. Così, per istigazione di Afrodite, Giasone fu amato da Medea e grazie a lei superò ogni pericolo. Quando infatti, dopo che ebbe arato la terra con i tori, da essa sorsero uomini in armi, su consiglio di Medea gettò in mezzo a loro una pietra; e quelli cominciarono a battersi tra loro e si uccisero l’un l’altro. Infine Giasone, dopo aver addormentato il drago con un filtro, sottrasse il vello dal tempio e ripartì per tornare in patria, in compagnia di Medea.