Modifica di Biblioteca:Luciano, Una Storia Vera, Libro II

Attenzione: non hai effettuato l'accesso. Se effettuerai delle modifiche il tuo indirizzo IP sarà visibile pubblicamente. Se accedi o crei un'utenza, le tue modifiche saranno attribuite al tuo nome utente, insieme ad altri benefici.

Questa modifica può essere annullata. Controlla le differenze mostrate sotto fra le due versioni per essere certo che il contenuto corrisponda a quanto desiderato, e quindi salvare le modifiche per completare la procedura di annullamento.
Versione attuale Il tuo testo
Riga 7: Riga 7:
 
Incantati da tutto questo, approdammo e, ormeggiata la nave, scendemmo a terra, lasciando a bordo Scintaro e due compagni. Mentre procedevamo attraverso un prato fiorito, incontriamo le sentinelle in giro di ronda che, dopo averci legati con ghirlande di rose - in quel paese è la catena più dura - ci portano davanti al governatore; durante la strada abbiamo saputo da loro che quella era l'Isola detta dei Beati e che il potere supremo lo deteneva il cretese [[Radamanto]]. Ci condussero appunto in sua presenza, e ci venne assegnato il quarto posto nella lista di coloro che erano in attesa di giudizio.
 
Incantati da tutto questo, approdammo e, ormeggiata la nave, scendemmo a terra, lasciando a bordo Scintaro e due compagni. Mentre procedevamo attraverso un prato fiorito, incontriamo le sentinelle in giro di ronda che, dopo averci legati con ghirlande di rose - in quel paese è la catena più dura - ci portano davanti al governatore; durante la strada abbiamo saputo da loro che quella era l'Isola detta dei Beati e che il potere supremo lo deteneva il cretese [[Radamanto]]. Ci condussero appunto in sua presenza, e ci venne assegnato il quarto posto nella lista di coloro che erano in attesa di giudizio.
 
La prima causa riguardava Aiace Telamonio, se cioè gli spettasse di stare insieme agli eroi o no; lo si accusava di essere pazzo e di essersi tolto la vita. Alla fine, dopo lunghe discussioni, [[Radamanto]] sentenziò: per il momento sarebbe stato affidato alle cure del medico Ippocrate di Cos, perché si bevesse un po' di elleboro; poi, una volta rinsavito, avrebbe potuto prendere parte al banchetto.
 
La prima causa riguardava Aiace Telamonio, se cioè gli spettasse di stare insieme agli eroi o no; lo si accusava di essere pazzo e di essersi tolto la vita. Alla fine, dopo lunghe discussioni, [[Radamanto]] sentenziò: per il momento sarebbe stato affidato alle cure del medico Ippocrate di Cos, perché si bevesse un po' di elleboro; poi, una volta rinsavito, avrebbe potuto prendere parte al banchetto.
Il secondo processo verteva su una questione amorosa: [[Teseo]] e [[Menelao]] erano in lite tra loro per stabilire con chi dei due dovesse convivere [[Elena (1)|Elena]]. [[Radamanto]] decise che la tenesse con sé [[Menelao]], in considerazione di tutte le fatiche sopportate e di tutti i rischi corsi per quel matrimonio; tanto più che [[Teseo]] aveva anche altre donne, l'Amazzone e le figlie di [[Minosse]].
+
Il secondo processo verteva su una questione amorosa: [[Teseo]] e [[Menelao]] erano in lite tra loro per stabilire con chi dei due dovesse convivere [[Elena]]. [[Radamanto]] decise che la tenesse con sé [[Menelao]], in considerazione di tutte le fatiche sopportate e di tutti i rischi corsi per quel matrimonio; tanto più che [[Teseo]] aveva anche altre donne, l'Amazzone e le figlie di [[Minosse]].
 
La terza era una causa su una questione di "precedenza" tra [[Alessandro]], figlio di Filippo, e Annibale il Cartaginese: il verdetto fu in favore di [[Alessandro]], a cui venne assegnato un bel trono a fianco di Ciro il Vecchio, il Persiano.
 
La terza era una causa su una questione di "precedenza" tra [[Alessandro]], figlio di Filippo, e Annibale il Cartaginese: il verdetto fu in favore di [[Alessandro]], a cui venne assegnato un bel trono a fianco di Ciro il Vecchio, il Persiano.
 
Come quarti ci presentammo noi, e il nostro giudice ci domandò in seguito a quali vicende fossimo approdati in quel sacro luogo ancora vivi; allora raccontammo, senza trascurare nessun particolare, la nostra storia. E così, dopo averci allontanato, esaminò per un bel pezzo il nostro caso, consultandosi anche con i suoi collaboratori, che erano molti, tra cui Aristide il Giusto, di [[Atene]]. Come ebbe presa la sua decisione, ci venne comunicata la sentenza: avremmo dovuto rendere conto dopo la morte della nostra eccessiva curiosità che ci aveva spinto a intraprendere quel viaggio; per il momento, comunque, ci potevamo fermare un certo periodo di tempo stabilito nell'Isola, vivendo insieme agli eroi, poi ce ne saremmo dovuti andare; la durata del nostro soggiorno venne fissata in non più di sette mesi.
 
Come quarti ci presentammo noi, e il nostro giudice ci domandò in seguito a quali vicende fossimo approdati in quel sacro luogo ancora vivi; allora raccontammo, senza trascurare nessun particolare, la nostra storia. E così, dopo averci allontanato, esaminò per un bel pezzo il nostro caso, consultandosi anche con i suoi collaboratori, che erano molti, tra cui Aristide il Giusto, di [[Atene]]. Come ebbe presa la sua decisione, ci venne comunicata la sentenza: avremmo dovuto rendere conto dopo la morte della nostra eccessiva curiosità che ci aveva spinto a intraprendere quel viaggio; per il momento, comunque, ci potevamo fermare un certo periodo di tempo stabilito nell'Isola, vivendo insieme agli eroi, poi ce ne saremmo dovuti andare; la durata del nostro soggiorno venne fissata in non più di sette mesi.
Riga 15: Riga 15:
 
Il paese è ricco di ogni genere di fiori e di ogni genere di piante, e coltivate e che donano ombra. Le viti producono dodici volte all'anno, ossia danno frutto una volta al mese; il melo[[grano]], il melo e gli altri alberi, addirittura tredici volte all'anno - come mi hanno riferito - perché nel mese che loro chiamano di [[Minosse]] il raccolto è doppio. Le spighe poi, invece di chicchi di [[grano]], producono in cima pagnotte bell'e pronte, e finiscono così per somigliare a dei funghi. Nei dintorni della città si trovano trecentosessantacinque sorgenti d'acqua, altrettante di miele, cinquecento di essenze profumate, più piccole, queste; per finire, sette fiumi di latte e otto di vino.
 
Il paese è ricco di ogni genere di fiori e di ogni genere di piante, e coltivate e che donano ombra. Le viti producono dodici volte all'anno, ossia danno frutto una volta al mese; il melo[[grano]], il melo e gli altri alberi, addirittura tredici volte all'anno - come mi hanno riferito - perché nel mese che loro chiamano di [[Minosse]] il raccolto è doppio. Le spighe poi, invece di chicchi di [[grano]], producono in cima pagnotte bell'e pronte, e finiscono così per somigliare a dei funghi. Nei dintorni della città si trovano trecentosessantacinque sorgenti d'acqua, altrettante di miele, cinquecento di essenze profumate, più piccole, queste; per finire, sette fiumi di latte e otto di vino.
 
Il convito si tiene fuori della città, nei campi detti Elisi: si tratta di un prato bellissimo, circondato da un bosco fitto di alberi di ogni specie che riparano con la loro ombra i commensali, i quali stanno sdraiati su letti di fiori, mentre i venti servono le singole portate e fungono da valletti. Non versano il vino però, perché non è necessario: ci sono degli alberi intorno al luogo del banchetto, alti, di cristallo lucentissimo, i cui frutti sono coppe di svariate forme e dimensioni; quando uno va a tavola, raccoglie dai rami una o due coppe, se le pone davanti, al proprio posto, e queste subito si riempiono da sole di vino; e così bevono. Non si ornano di ghirlande: gli usignoli e gli altri uccelli canori, raccolgono con il becco dai prati vicini i fiori e li fanno piovere sui convitati, svolazzando sulle loro teste e cinguettando. Si profumano in questo modo: nuvole dense assorbono l'essenza odorosa dalle sorgenti e dal fiume, e stando sospese sul luogo del banchetto, per effetto di una leggera pressione da parte dei venti, stillano una specie di delicata rugiada.
 
Il convito si tiene fuori della città, nei campi detti Elisi: si tratta di un prato bellissimo, circondato da un bosco fitto di alberi di ogni specie che riparano con la loro ombra i commensali, i quali stanno sdraiati su letti di fiori, mentre i venti servono le singole portate e fungono da valletti. Non versano il vino però, perché non è necessario: ci sono degli alberi intorno al luogo del banchetto, alti, di cristallo lucentissimo, i cui frutti sono coppe di svariate forme e dimensioni; quando uno va a tavola, raccoglie dai rami una o due coppe, se le pone davanti, al proprio posto, e queste subito si riempiono da sole di vino; e così bevono. Non si ornano di ghirlande: gli usignoli e gli altri uccelli canori, raccolgono con il becco dai prati vicini i fiori e li fanno piovere sui convitati, svolazzando sulle loro teste e cinguettando. Si profumano in questo modo: nuvole dense assorbono l'essenza odorosa dalle sorgenti e dal fiume, e stando sospese sul luogo del banchetto, per effetto di una leggera pressione da parte dei venti, stillano una specie di delicata rugiada.
Durante il banchetto si dedicano a musiche e canti: per lo più si declamano, con l'accompagnamento musicale, i versi di Omero, che è presente e prende parte alla comune baldoria, sdraiato a tavola alla destra di [[Ulisse]]. I cori, composti da ragazzi e ragazze, sono diretti e accompagnati da Eunomo di Locri, Arione di [[Lesbo (2)|Lesbo]], Anacreonte e Stesicoro. Vidi anche quest'ultimo, infatti, tra i Beati: [[Elena (1)|Elena]], evidentemente, s'era già riappacificata con lui. Quando smettono di cantare, li sostituisce un secondo coro di cigni, rondini e usignoli; e allora - all'echeggiare di questa nuova melodia - tutto il bosco li accompagna con un suono come di flauto, mentre i venti danno il la.
+
Durante il banchetto si dedicano a musiche e canti: per lo più si declamano, con l'accompagnamento musicale, i versi di Omero, che è presente e prende parte alla comune baldoria, sdraiato a tavola alla destra di [[Ulisse]]. I cori, composti da ragazzi e ragazze, sono diretti e accompagnati da Eunomo di Locri, Arione di [[Lesbo (2)|Lesbo]], Anacreonte e Stesicoro. Vidi anche quest'ultimo, infatti, tra i Beati: [[Elena]], evidentemente, s'era già riappacificata con lui. Quando smettono di cantare, li sostituisce un secondo coro di cigni, rondini e usignoli; e allora - all'echeggiare di questa nuova melodia - tutto il bosco li accompagna con un suono come di flauto, mentre i venti danno il la.
 
In ogni caso hanno un sistema infallibile per assicurarsi l'allegria: ci sono due sorgenti vicino al luogo del banchetto, l'una del riso, e l'altra del piacere; tutti, prima che inizi la festa, bevono a entrambe, e così per il tempo che segue ridono e sono felici.
 
In ogni caso hanno un sistema infallibile per assicurarsi l'allegria: ci sono due sorgenti vicino al luogo del banchetto, l'una del riso, e l'altra del piacere; tutti, prima che inizi la festa, bevono a entrambe, e così per il tempo che segue ridono e sono felici.
 
Voglio anche nominare i personaggi celebri che ho avuto modo di incontrare laggiù: tutti i semidei e tutti gli eroi che combatterono a [[Troia]], salvo Aiace di Locri, l'unico che - a quanto mi raccontarono - scontava la sua pena nel paese degli Empi: tra i non Greci, i due Ciri, lo scita Anacarsi, il tracio Zamolxis e l'italico Numa; poi lo spartano Licurgo, Focione e Tello ateniesi, e i savi, tranne Periandro. Vidi anche Socrate di Sofronisco che cianciava senza sosta con Nestore e [[Palamede]]: intorno a lui stavano lo spartano Giacinto, il tespiese Narciso, Ila e una quantità di altri bei giovani. Ebbi l'impressione che fosse innamorato di Giacinto: era l'interlocutore preferito delle sue «dimostrazioni». Anzi, [[Radamanto]] - dicevano - era seccato con lui e l'aveva minacciato più volte di cacciarlo dall'isola, se avesse continuato con le sue chiacchiere insulse, e se non avesse lasciato perdere l'«ironia» per divertirsi insieme agli altri. Soltanto Platone non c'era: secondo voci che circolavano, abitava nella città che si era inventata, dove viveva secondo la costituzione e le leggi che aveva personalmente redatto.
 
Voglio anche nominare i personaggi celebri che ho avuto modo di incontrare laggiù: tutti i semidei e tutti gli eroi che combatterono a [[Troia]], salvo Aiace di Locri, l'unico che - a quanto mi raccontarono - scontava la sua pena nel paese degli Empi: tra i non Greci, i due Ciri, lo scita Anacarsi, il tracio Zamolxis e l'italico Numa; poi lo spartano Licurgo, Focione e Tello ateniesi, e i savi, tranne Periandro. Vidi anche Socrate di Sofronisco che cianciava senza sosta con Nestore e [[Palamede]]: intorno a lui stavano lo spartano Giacinto, il tespiese Narciso, Ila e una quantità di altri bei giovani. Ebbi l'impressione che fosse innamorato di Giacinto: era l'interlocutore preferito delle sue «dimostrazioni». Anzi, [[Radamanto]] - dicevano - era seccato con lui e l'aveva minacciato più volte di cacciarlo dall'isola, se avesse continuato con le sue chiacchiere insulse, e se non avesse lasciato perdere l'«ironia» per divertirsi insieme agli altri. Soltanto Platone non c'era: secondo voci che circolavano, abitava nella città che si era inventata, dove viveva secondo la costituzione e le leggi che aveva personalmente redatto.
Riga 25: Riga 25:
 
I giochi, erano appena terminati quando venne comunicato che i prigionieri, rinchiusi a scontare la loro pena nel paese degli Empi, avevano spezzato le catene e, dopo aver sopraffatto le guardie, stavano muovendo all'assalto dell'Isola: li guidavano Falaride di Agrigento, Busiride l'Egiziano, Diomede tracio, Scirone e Piegapini. Come [[Radamanto]] udì la notizia, schierò gli eroi in ordine di battaglia sulla spiaggia, al comando di [[Teseo]], Achille, e Aiace Telamonio ormai rinsavito: si scontrarono e si misero a combattere; la vittoria naturalmente arrise agli eroi, grazie al validissimo contributo di Achille. Si distinse per la verità anche Socrate, schierato all'ala destra, molto più di quando, da vivo, aveva combattuto a Delio: all'avvicinarsi di ben quattro nemici insieme non fuggì, e rimase imperturbabile; per questo, dopo, gli riservarono un premio al valore, un bel parco ampio nelle vicinanze della città, dove poteva invitare i suoi amici per discutere di filosofia. Chiamò quel luogo Mortaccademia.
 
I giochi, erano appena terminati quando venne comunicato che i prigionieri, rinchiusi a scontare la loro pena nel paese degli Empi, avevano spezzato le catene e, dopo aver sopraffatto le guardie, stavano muovendo all'assalto dell'Isola: li guidavano Falaride di Agrigento, Busiride l'Egiziano, Diomede tracio, Scirone e Piegapini. Come [[Radamanto]] udì la notizia, schierò gli eroi in ordine di battaglia sulla spiaggia, al comando di [[Teseo]], Achille, e Aiace Telamonio ormai rinsavito: si scontrarono e si misero a combattere; la vittoria naturalmente arrise agli eroi, grazie al validissimo contributo di Achille. Si distinse per la verità anche Socrate, schierato all'ala destra, molto più di quando, da vivo, aveva combattuto a Delio: all'avvicinarsi di ben quattro nemici insieme non fuggì, e rimase imperturbabile; per questo, dopo, gli riservarono un premio al valore, un bel parco ampio nelle vicinanze della città, dove poteva invitare i suoi amici per discutere di filosofia. Chiamò quel luogo Mortaccademia.
 
Dopo aver radunati e ben legati i ribelli vinti, li rispedirono alla loro sede perché fossero puniti ancora più severamente. Omero scrisse un poema anche a ricordo di questa battaglia; e me ne aveva consegnata una copia, quando stavo per partire di là, perché la portassi tra gli uomini, sulla nostra terra: ma in seguito, purtroppo, ho perduto anche quella insieme a tutto il resto. Il poema iniziava: «Ed ora cantami, o Musa, la battaglia dei defunti eroi». In quella circostanza poi, bollite delle fave, come usa dalle loro parti quando si riporta la vittoria in una guerra, celebrarono con un lauto banchetto il trionfo, facendo gran festa. Pitagora, dato il suo orrore per i pasti a base di fave, fu il solo che non vi prese parte: se ne restò seduto in un angolo, senza toccare cibo.
 
Dopo aver radunati e ben legati i ribelli vinti, li rispedirono alla loro sede perché fossero puniti ancora più severamente. Omero scrisse un poema anche a ricordo di questa battaglia; e me ne aveva consegnata una copia, quando stavo per partire di là, perché la portassi tra gli uomini, sulla nostra terra: ma in seguito, purtroppo, ho perduto anche quella insieme a tutto il resto. Il poema iniziava: «Ed ora cantami, o Musa, la battaglia dei defunti eroi». In quella circostanza poi, bollite delle fave, come usa dalle loro parti quando si riporta la vittoria in una guerra, celebrarono con un lauto banchetto il trionfo, facendo gran festa. Pitagora, dato il suo orrore per i pasti a base di fave, fu il solo che non vi prese parte: se ne restò seduto in un angolo, senza toccare cibo.
Erano trascorsi sei mesi ormai, quando, a metà del settimo, si verifica un fatto inaspettato. [[Cinira]], il figlio di Scintaro, un giovane alto e bello, già da un pezzo s'era innamorato di [[Elena (1)|Elena]] e, quanto a lei, si vedeva lontano un miglio che era pazza d'amore per il ragazzo: spesso a tavola si scambiavano cenni d'intesa e brindisi, poi s'alzavano e andavano a passeggiare da soli nel bosco. Insomma un bel giorno, spinto da quel folle amore e dalla impossibilità di soddisfarlo, [[Cinira]] decise di rapire [[Elena (1)|Elena]] - che era consenziente - e di scappare, rifugiandosi poi con lei in una delle isole vicine, magari a Sugheronia o a Formaggino. Avevano da tempo guadagnato alla loro causa, come complici, tre miei compagni - i più temerari. Naturalmente non rivelò il suo progetto al padre, perché sapeva che l'avrebbe impedito. Quando parve loro il momento opportuno, diedero il via al piano concertato; e così, come scese la notte - io non c'ero, caso volle che mi fossi addormentato durante il banchetto - portarono via [[Elena (1)|Elena]] di nascosto dagli altri e, senza perdere un minuto, presero il mare.
+
Erano trascorsi sei mesi ormai, quando, a metà del settimo, si verifica un fatto inaspettato. [[Cinira]], il figlio di Scintaro, un giovane alto e bello, già da un pezzo s'era innamorato di [[Elena]] e, quanto a lei, si vedeva lontano un miglio che era pazza d'amore per il ragazzo: spesso a tavola si scambiavano cenni d'intesa e brindisi, poi s'alzavano e andavano a passeggiare da soli nel bosco. Insomma un bel giorno, spinto da quel folle amore e dalla impossibilità di soddisfarlo, [[Cinira]] decise di rapire [[Elena]] - che era consenziente - e di scappare, rifugiandosi poi con lei in una delle isole vicine, magari a Sugheronia o a Formaggino. Avevano da tempo guadagnato alla loro causa, come complici, tre miei compagni - i più temerari. Naturalmente non rivelò il suo progetto al padre, perché sapeva che l'avrebbe impedito. Quando parve loro il momento opportuno, diedero il via al piano concertato; e così, come scese la notte - io non c'ero, caso volle che mi fossi addormentato durante il banchetto - portarono via [[Elena]] di nascosto dagli altri e, senza perdere un minuto, presero il mare.
Verso mezzanotte [[Menelao]] si sveglia, e quando s'accorge che il letto è vuoto e la moglie è sparita, lancia un urlo, corre a chiamare il fratello e insieme si precipitano dal re [[Radamanto]]. Alle prime luci dell'alba le sentinelle riferiscono di riuscire a scorgere la nave, già molto lontana; e così [[Radamanto]], imbarcati cinquanta eroi su un'altra nave costruita con un unico tronco di asfodelo, ordina di lanciarsi all'inseguimento. Remando a tutta forza, verso mezzogiorno li acciuffano, proprio mentre stavano ormai entrando nel mare di latte, nelle vicinanze di Formaggino; tanto poco mancò che riuscissero a fuggire! Legarono quindi la nave a rimorchio con una catena di rose, e rientrarono. [[Elena (1)|Elena]] piangeva e si nascondeva il viso; quanto a [[Cinira]] e ai suoi uomini, [[Radamanto]] prima li interrogò per sapere se anche altri fossero a parte del complotto, e quando risposero di no, li fece legare per i testicoli e li spedì nel paese degli Empi, dopo averli fatti fustigare con una malva.
+
Verso mezzanotte [[Menelao]] si sveglia, e quando s'accorge che il letto è vuoto e la moglie è sparita, lancia un urlo, corre a chiamare il fratello e insieme si precipitano dal re [[Radamanto]]. Alle prime luci dell'alba le sentinelle riferiscono di riuscire a scorgere la nave, già molto lontana; e così [[Radamanto]], imbarcati cinquanta eroi su un'altra nave costruita con un unico tronco di asfodelo, ordina di lanciarsi all'inseguimento. Remando a tutta forza, verso mezzogiorno li acciuffano, proprio mentre stavano ormai entrando nel mare di latte, nelle vicinanze di Formaggino; tanto poco mancò che riuscissero a fuggire! Legarono quindi la nave a rimorchio con una catena di rose, e rientrarono. [[Elena]] piangeva e si nascondeva il viso; quanto a [[Cinira]] e ai suoi uomini, [[Radamanto]] prima li interrogò per sapere se anche altri fossero a parte del complotto, e quando risposero di no, li fece legare per i testicoli e li spedì nel paese degli Empi, dopo averli fatti fustigare con una malva.
 
Decretarono di bandire dall'Isola anche noi prima del termine fissato: potevamo fermarci soltanto il giorno successivo. Allora cominciai a piangere e a disperarmi, pensando a quali delizie avrei dovuto lasciare per andarmene di nuovo errando chissà dove. Gli stessi Beati peraltro cercavano di consolarmi dicendo che entro non molti anni sarei tornato di nuovo tra loro; anzi già mi mostrarono il mio futuro seggio e il mio posto a tavola, accanto ai personaggi di maggior riguardo. Andai perciò da [[Radamanto]], scongiurandolo di rivelarmi quello che mi riservava la sorte e di indicarmi la rotta da seguire. Mi rispose che sarei riuscito a rientrare in patria, ma avrei prima vagato a lungo e corso molti pericoli: non volle però aggiungere la data del mio ritorno. In compenso, segnandomi a dito le isole lì attorno - ne apparivano cinque, e una sesta più lontana - mi disse: «Le più vicine, da cui si leva quel gran fuoco che già sei in grado di scorgere, sono le isole degli Empi; quella laggiù, la sesta, è la città dei Sogni; dietro c'è l'isola di Calipso, ma non la puoi ancora distinguere con chiarezza. Le oltrepasserai, quindi raggiungerai il vasto continente che si trova agli antipodi di quello abitato da voi; poi, dopo molte vicissitudini, dopo aver viaggiato tra genti di ogni sorta ed essere vissuto tra i selvaggi, finalmente ritornerai nell'altro continente».
 
Decretarono di bandire dall'Isola anche noi prima del termine fissato: potevamo fermarci soltanto il giorno successivo. Allora cominciai a piangere e a disperarmi, pensando a quali delizie avrei dovuto lasciare per andarmene di nuovo errando chissà dove. Gli stessi Beati peraltro cercavano di consolarmi dicendo che entro non molti anni sarei tornato di nuovo tra loro; anzi già mi mostrarono il mio futuro seggio e il mio posto a tavola, accanto ai personaggi di maggior riguardo. Andai perciò da [[Radamanto]], scongiurandolo di rivelarmi quello che mi riservava la sorte e di indicarmi la rotta da seguire. Mi rispose che sarei riuscito a rientrare in patria, ma avrei prima vagato a lungo e corso molti pericoli: non volle però aggiungere la data del mio ritorno. In compenso, segnandomi a dito le isole lì attorno - ne apparivano cinque, e una sesta più lontana - mi disse: «Le più vicine, da cui si leva quel gran fuoco che già sei in grado di scorgere, sono le isole degli Empi; quella laggiù, la sesta, è la città dei Sogni; dietro c'è l'isola di Calipso, ma non la puoi ancora distinguere con chiarezza. Le oltrepasserai, quindi raggiungerai il vasto continente che si trova agli antipodi di quello abitato da voi; poi, dopo molte vicissitudini, dopo aver viaggiato tra genti di ogni sorta ed essere vissuto tra i selvaggi, finalmente ritornerai nell'altro continente».
 
Così sentenziò e, strappata da terra una radice di malva, me la porse, raccomandandomi di votarmi a quella nei momenti di maggiore pericolo; mi consigliò anche, una volta rimesso piede in questo mondo, di non attizzare il fuoco con la spada, di non mangiare lupini, e di non accostarmi a nessun ragazzo maggiore di diciotto anni; se mi fossi ricordato bene di tutto questo, avevo speranza di ritornare laggiù. Mi dedicai allora ai preparativi per il viaggio, poi, siccome era già ora di cena, mi misi a tavola con gli altri. Il giorno seguente andai da Omero chiedendogli di buttare giù per me un'iscrizione di un paio di versi, e, quando l'ebbe composta, la incisi sopra una colonna di berillo che avevo innalzato in precedenza nelle vicinanze del porto. Eccone il testo: «Luciano, prediletto dagli dèi Beati, tutto questo vide e di nuovo ritornò alla sua patria terra».
 
Così sentenziò e, strappata da terra una radice di malva, me la porse, raccomandandomi di votarmi a quella nei momenti di maggiore pericolo; mi consigliò anche, una volta rimesso piede in questo mondo, di non attizzare il fuoco con la spada, di non mangiare lupini, e di non accostarmi a nessun ragazzo maggiore di diciotto anni; se mi fossi ricordato bene di tutto questo, avevo speranza di ritornare laggiù. Mi dedicai allora ai preparativi per il viaggio, poi, siccome era già ora di cena, mi misi a tavola con gli altri. Il giorno seguente andai da Omero chiedendogli di buttare giù per me un'iscrizione di un paio di versi, e, quando l'ebbe composta, la incisi sopra una colonna di berillo che avevo innalzato in precedenza nelle vicinanze del porto. Eccone il testo: «Luciano, prediletto dagli dèi Beati, tutto questo vide e di nuovo ritornò alla sua patria terra».

Per favore tieni presente che tutti i contributi a Il Crepuscolo degli Dèi possono essere modificati, stravolti o cancellati da altri contributori. Se non vuoi che i tuoi testi possano essere alterati, allora non inserirli.
Inviando il testo dichiari inoltre, sotto tua responsabilità, che è stato scritto da te personalmente oppure è stato copiato da una fonte di pubblico dominio o similarmente libera (vedi Il Crepuscolo degli Dèi:Copyright per maggiori dettagli). Non inviare materiale protetto da copyright senza autorizzazione!

Annulla Guida (si apre in una nuova finestra)