Knockers

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Sono dei piccoli folletti che vivono all'interno della terra, ed esercitano fruttuosamente il mestiere di minatori. Si diceva fossero i fantasmi degli Ebrei deportati in Cornovaglia dai Romani, condannati a vivere così in eterno, per espiare il loro ruolo nella crocifissione. Normalmente sono invisibili, ed è solo il loro picchiettare a svelarne la presenza. Possono però rendersi visibili per annunciare dei cedimenti o dei pericoli nella miniera, o come presagio della morte di qualche minatore.
In linea generale questi folletti sono benevoli, amano le risate ed i canti e, soprattutto, permettono ai minatori di scoprire ricche vene di minerali, seguendo il rumore dei loro picconi. Dal canto loro i minatori non tralasciano mai di mettere in qualche angolo riparato del cibo o degli abitini per i Knockers. Anche loro hanno però le loro idiosincrasie: le imprecazioni ed i fischi li disturbano molto e soprattutto non sopportano di essere spiati, e tantomeno derubati o ingannati; in questi casi arrivano fino a tagliar di netto la testa ai colpevoli.

Etimologia

Il loro nome (coloro che battono, i picchiettanti) deriva dal rumore che fanno all'interno delle miniere i loro minuscoli picconi nell'aprire nuove gallerie e portare alla luce ricche vene di minerali preziosi.

Iconografia

William Bottrell riporta la descrizione di un testimone, un certo Caplain Mathy che ebbe la ventura, non visto, di osservare tre Knockers: « Nessuno di loro era più grande di una bambola; i loro volti, gli abiti e i gesti erano quelli di vecchi operai energici. Io osservai più attentamente quello di mezzo: era seduto su una pietra, senza giacca e con le maniche della camicia rimboccate. Tra le ginocchia aveva una piccola incudine, non più grande di un pollice quadrato, ma perfettamente uguale a quelle che si vedono nelle botteghe dei fabbri. Nella sinistra aveva uno scalpello delle dimensioni di un ago da ricamo, che stava raddrizzando per uno degli altri due knockers, mentre l'altro attendeva il suo turno per far saldare o raddrizzare il picconcino che aveva in mano».