Modifica di Biblioteca:Tucidide, Le Storie, Libro II

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1. Di qui ormai incomincia la guerra degli [[Ateniesi]] e Peloponnesi, e dei loro scambievoli alleati, nel processo della quale non praticavano più tra loro senza il Caduceo; ma intrapresa che l'ebbero, guerreggiavano continuamente. Ella è esposta, secondo l'ordine dei fatti accaduti, per estati e per inverni.
 
1. Di qui ormai incomincia la guerra degli [[Ateniesi]] e Peloponnesi, e dei loro scambievoli alleati, nel processo della quale non praticavano più tra loro senza il Caduceo; ma intrapresa che l'ebbero, guerreggiavano continuamente. Ella è esposta, secondo l'ordine dei fatti accaduti, per estati e per inverni.
2. La tregua dei trent'anni, fatta dopo la presa di [[Eubea (1)|Eubea]], era durata quattordici: ma nel decimoquinto, essendo Criside già da quarantott'anni sacerdotessa in [[Argo (4)|Argo]], Enesio eforo in [[Sparta (2)|Sparta]], e Pitodoro ancora per un bimestre arconte in [[Atene]], sei mesi dopo la battaglia di Potidea, al cominciar della primavera poco più di trecento Tebani, guidati da Pitangelo figlio di Filida, e da Diemporo di Onetoride, ambedue Beotarchi, sul primo sonno entrarono armati in Platea della [[Beozia]], città confederata con [[Atene]], invitati da alcuni Plateesi che apersero loro le porte (ciò furono Nauclide e i suoi partigiani), i quali a procacciarsi potenza, volevano trucidare i cittadini della fazione contraria, e assoggettare la città ai Tebani. La trama riuscì, favorendoli Eurimaco figlio di Leonziade, personaggio potentissimo in Tebe; perché i Tebani, prevedendo insorgerebbe la guerra, innanzi che ella manifestamente scoppiasse, e mentre ancora durava la pace, bramavano preoccupare Platea città mai sempre loro nemica. Il perché, non essendovi di prima posta guarnigione, agevolmente e non avvertiti vi entravano: e fermatisi armati nella piazza, non vollero, secondo che gli confortavano quei che li avevano introdotti, venir subito ai fatti ed investire le case dei nemici. Erano anzi di avviso di usare grida discrete, e piuttosto indurre ad amichevole accomodamento la città, stimando che per queste maniere ella si sarebbe più facilmente accostata alla loro parte. Promulgavano dunque per il banditore, che qualunque, conforme la patria usanza di tutti i Beozi, volesse entrar nella lega, prendesse le armi coi Tebani.
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2. La tregua dei trent'anni, fatta dopo la presa di [[Eubea (1)|Eubea]], era durata quattordici: ma nel decimoquinto, essendo Criside già da quarantott'anni sacerdotessa in Argo, Enesio eforo in [[Sparta (2)|Sparta]], e Pitodoro ancora per un bimestre arconte in [[Atene]], sei mesi dopo la battaglia di Potidea, al cominciar della primavera poco più di trecento Tebani, guidati da Pitangelo figlio di Filida, e da Diemporo di Onetoride, ambedue Beotarchi, sul primo sonno entrarono armati in Platea della [[Beozia]], città confederata con [[Atene]], invitati da alcuni Plateesi che apersero loro le porte (ciò furono Nauclide e i suoi partigiani), i quali a procacciarsi potenza, volevano trucidare i cittadini della fazione contraria, e assoggettare la città ai Tebani. La trama riuscì, favorendoli Eurimaco figlio di Leonziade, personaggio potentissimo in Tebe; perché i Tebani, prevedendo insorgerebbe la guerra, innanzi che ella manifestamente scoppiasse, e mentre ancora durava la pace, bramavano preoccupare Platea città mai sempre loro nemica. Il perché, non essendovi di prima posta guarnigione, agevolmente e non avvertiti vi entravano: e fermatisi armati nella piazza, non vollero, secondo che gli confortavano quei che li avevano introdotti, venir subito ai fatti ed investire le case dei nemici. Erano anzi di avviso di usare grida discrete, e piuttosto indurre ad amichevole accomodamento la città, stimando che per queste maniere ella si sarebbe più facilmente accostata alla loro parte. Promulgavano dunque per il banditore, che qualunque, conforme la patria usanza di tutti i Beozi, volesse entrar nella lega, prendesse le armi coi Tebani.
 
3. Come i Plateesi sentirono essere i Tebani già dentro le mura, ed occupata improvvisamente la città, credettero vi fossero entrati in numero assai maggiore, perché essendo notte non li scorgevano: ed impauriti calarono agli accordi, accettarono le condizioni, e restarono tranquilli; tanto più che i Tebani non facevano contro chicchessia stranezza veruna. Ma mentre ancora trattavano ciò, osservarono non esser molti i Tebani, e giudicarono facile la vittoria, assalendoli, essendo che il popolo di Platea mal volentieri ribellavasi agli [[Ateniesi]], Risolvettero dunque esser ciò da tentare, e per tener colloquio tra loro sfondavano le pareti comuni delle case per non esser visti correr le strade, a traverso delle quali mettevano carri senza giumenti per servir di barricate, e accomodavano le altre cose come e dove credevano che sarebbe utile pel momento. Ordinato tutto il meglio potevano, si scagliarono dalle case sopra i Tebani, cogliendo il punto che era ancor notte, e proprio in sull'albeggiare, perché temevano di trovarli più arditi in piena luce, e perché e' non potessero opporre loro egual resistenza. Anzi rendendosi essi nella notte più formidabili per la pratica che avevano della città, speravano resterebbero i Tebani sopraffatti: però li assalirono immantinente e vennero tosto alle mani.
 
3. Come i Plateesi sentirono essere i Tebani già dentro le mura, ed occupata improvvisamente la città, credettero vi fossero entrati in numero assai maggiore, perché essendo notte non li scorgevano: ed impauriti calarono agli accordi, accettarono le condizioni, e restarono tranquilli; tanto più che i Tebani non facevano contro chicchessia stranezza veruna. Ma mentre ancora trattavano ciò, osservarono non esser molti i Tebani, e giudicarono facile la vittoria, assalendoli, essendo che il popolo di Platea mal volentieri ribellavasi agli [[Ateniesi]], Risolvettero dunque esser ciò da tentare, e per tener colloquio tra loro sfondavano le pareti comuni delle case per non esser visti correr le strade, a traverso delle quali mettevano carri senza giumenti per servir di barricate, e accomodavano le altre cose come e dove credevano che sarebbe utile pel momento. Ordinato tutto il meglio potevano, si scagliarono dalle case sopra i Tebani, cogliendo il punto che era ancor notte, e proprio in sull'albeggiare, perché temevano di trovarli più arditi in piena luce, e perché e' non potessero opporre loro egual resistenza. Anzi rendendosi essi nella notte più formidabili per la pratica che avevano della città, speravano resterebbero i Tebani sopraffatti: però li assalirono immantinente e vennero tosto alle mani.
 
4. I Tebani conosciuto lo sbaglio si ristringevano tra loro, e respingevano gli assalitori dalla parte onde gli investissero. Due o tre volte gli ributtarono; ma finalmente, serrandosi loro addosso i Plateesi con furia strepitosa, e ad un'ora stessa le donne e i servì tra gli schiamazzi e gli urlamenti percuotendoli dalle case con sassi e tegole, e di più caduta essendo nella notte dirotta pioggia, impaurirono; e voltata faccia fuggivano per la città tra il fango ed il buio (perché la cosa accadde sul finir del mese) senza sapere i più ove scampare, ed incalzati da gente ben pratica da non lasciarli scapolare; così che per la maggior parte erano trucidati. Un plateese serrò la porta onde erano entrati, la sola che fosse aperta, mettendo negli anelli per catenaccio la punta della lancia, talché neppure per quella potevano uscire. Perseguitati dunque per la città alcuni salirono sulle mura e si precipitarono fuori, morendovi i più; alcuni con una scure prestata loro da una donna ruppero di soppiatto la sbarra di una porta abbandonata, e pochi ne uscirono perché la cosa fu presto risaputa; altri erano qua e là uccisi sparsamente per la città. Ma il maggior numero, e sopra tutto quelli che si erano ristretti insieme, si cacciano in un gran torrione delle mura, la cui porta per avventura non era chiusa, credendo esser quel torrione una porta della città, e che sicuramente desse uscita per fuori. I Plateesi vedendoveli incappati deliberavano, se così come si trovavano ve li avessero a bruciare dando fuoco al torrione, ovvero trattarli altrimenti. Finalmente costoro, e tutti gli altri Tebani che restavano ancora vagando per la città, convennero co' Plateesi di rendersi a discrezione, ponendo giù le armi. Così procederono le cose per quelli entrati in Platea.
 
4. I Tebani conosciuto lo sbaglio si ristringevano tra loro, e respingevano gli assalitori dalla parte onde gli investissero. Due o tre volte gli ributtarono; ma finalmente, serrandosi loro addosso i Plateesi con furia strepitosa, e ad un'ora stessa le donne e i servì tra gli schiamazzi e gli urlamenti percuotendoli dalle case con sassi e tegole, e di più caduta essendo nella notte dirotta pioggia, impaurirono; e voltata faccia fuggivano per la città tra il fango ed il buio (perché la cosa accadde sul finir del mese) senza sapere i più ove scampare, ed incalzati da gente ben pratica da non lasciarli scapolare; così che per la maggior parte erano trucidati. Un plateese serrò la porta onde erano entrati, la sola che fosse aperta, mettendo negli anelli per catenaccio la punta della lancia, talché neppure per quella potevano uscire. Perseguitati dunque per la città alcuni salirono sulle mura e si precipitarono fuori, morendovi i più; alcuni con una scure prestata loro da una donna ruppero di soppiatto la sbarra di una porta abbandonata, e pochi ne uscirono perché la cosa fu presto risaputa; altri erano qua e là uccisi sparsamente per la città. Ma il maggior numero, e sopra tutto quelli che si erano ristretti insieme, si cacciano in un gran torrione delle mura, la cui porta per avventura non era chiusa, credendo esser quel torrione una porta della città, e che sicuramente desse uscita per fuori. I Plateesi vedendoveli incappati deliberavano, se così come si trovavano ve li avessero a bruciare dando fuoco al torrione, ovvero trattarli altrimenti. Finalmente costoro, e tutti gli altri Tebani che restavano ancora vagando per la città, convennero co' Plateesi di rendersi a discrezione, ponendo giù le armi. Così procederono le cose per quelli entrati in Platea.
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48. È fama che la pestilenza incominciasse nell'Etiopia al di là dell'[[Egitto (4)|Egitto]] : e calando poi nell'[[Egitto (4)|Egitto]]  stesso, nella [[Libia (3)|Libia]], ed in gran parte delle terre soggette al re, si avventò improvvisamente alla città d'[[Atene]], ove prima di tutto toccò gli abitanti del [[Pireo (2)|Pireo]], cosicché fu da essi detto avere i Peloponnesi gittato dei veleni nei pozzi, atteso che non eranvi ancora fontane; e di li discorrendo nella parte superiore della città, maggiore era il numero di quei che morivano. Dica pertanto ciascuno, medico o no che egli sia, giusta la sua opinione, donde s'abbia a credere che muovesse, e quali siano state le cause che valsero a partorire tanto rivolgimento; che io in quanto a me che ne fui malato e vidi pur gli altri, dirò quale si fosse, e dichiarerò quello per cui ciascuno potrà indubitatamente riconoscerla (essendone innanzi informato) se mai di nuovo cadesse.
 
48. È fama che la pestilenza incominciasse nell'Etiopia al di là dell'[[Egitto (4)|Egitto]] : e calando poi nell'[[Egitto (4)|Egitto]]  stesso, nella [[Libia (3)|Libia]], ed in gran parte delle terre soggette al re, si avventò improvvisamente alla città d'[[Atene]], ove prima di tutto toccò gli abitanti del [[Pireo (2)|Pireo]], cosicché fu da essi detto avere i Peloponnesi gittato dei veleni nei pozzi, atteso che non eranvi ancora fontane; e di li discorrendo nella parte superiore della città, maggiore era il numero di quei che morivano. Dica pertanto ciascuno, medico o no che egli sia, giusta la sua opinione, donde s'abbia a credere che muovesse, e quali siano state le cause che valsero a partorire tanto rivolgimento; che io in quanto a me che ne fui malato e vidi pur gli altri, dirò quale si fosse, e dichiarerò quello per cui ciascuno potrà indubitatamente riconoscerla (essendone innanzi informato) se mai di nuovo cadesse.
 
49. Correva quell'anno, a confessione universale, immune sovra tutti da malattie; o se qualcuno era di prima da qualche morbo afflitto, tutti si risolvevano in questo. Gli altri poi senza alcuna precedente cagione, ma interamente sani, erano all'improvviso compresi da veementi caldure al capo, da rossezza e infiammazione d'occhi, e nell'interno la gola e la lingua diventavano tostamente sanguigne, e mandavano alito puzzolente fuori dell'usato. Dopo di che sopravveniva starnutazione e raucedine, ed in breve il male calava al petto con tosse gagliarda: e qualora si fosse fitto sulla bocca dello stomaco lo sovvertiva, e conseguitavano tutte quelle secrezioni di bile, che da' medici hanno il loro nome, con grandissimo travaglio. Moltissimi ancora erano attaccati da un singhiozzo vuoto che dava forti convulsioni, le quali, a cui subito, a cui molto più tardi cessavano. L'esterno del corpo non era a toccare molto caldo, né pallido; ma rossastro, livido e gremito di pustulette ed ulceri, mentre le parti interne erano in tal bruciore che i malati non potevano sopportare d'avere indosso né i vestiti né le biancherie più fini, ma solo di star nudi. Recavansi a gran diletto tuffarsi nell'acqua fredda; di che molti de' meno guardati, tormentati da sete incontentabile, si gettarono nei pozzi: ed erano ridotti a tale che profittava egualmente il molto e il poco bere, travagliati incessantemente da smania inquieta e da vegghia continua. Ciò nonostante finché la malattia era nel suo colmo, il corpo non languiva, ma contro ogni credere durava gl'incomodi, talché i più, o erano da interno calore consumati nel nono o settimo giorno, avendo ancora qualche residuo di forza, o se pur scampavano, scendendo il morbo nel ventre, si faceva grande esulcerazione con sopravvenimento di diarrea immoderata, intanto ché poi la maggior parte morivano di debolezza. Perocché il male, fisso prima nel capo, incominciando di sopra discorreva per tutto il corpo; e se vi era chi superasse codesti più fieri malanni; almeno le estreme parti indicavano d'essere state comprese dal morbo, il quale prorompeva sino nelle vergogne e nel sommo delle mani e dei piedi; e molti guarivano perdendo affatto queste parti ed anche gli occhi. In altri la convalescenza era immediatamente seguita da smemoraggine di ogni cosa egualmente, a segno che non riconoscevano né sé stessi, né gli amici.
 
49. Correva quell'anno, a confessione universale, immune sovra tutti da malattie; o se qualcuno era di prima da qualche morbo afflitto, tutti si risolvevano in questo. Gli altri poi senza alcuna precedente cagione, ma interamente sani, erano all'improvviso compresi da veementi caldure al capo, da rossezza e infiammazione d'occhi, e nell'interno la gola e la lingua diventavano tostamente sanguigne, e mandavano alito puzzolente fuori dell'usato. Dopo di che sopravveniva starnutazione e raucedine, ed in breve il male calava al petto con tosse gagliarda: e qualora si fosse fitto sulla bocca dello stomaco lo sovvertiva, e conseguitavano tutte quelle secrezioni di bile, che da' medici hanno il loro nome, con grandissimo travaglio. Moltissimi ancora erano attaccati da un singhiozzo vuoto che dava forti convulsioni, le quali, a cui subito, a cui molto più tardi cessavano. L'esterno del corpo non era a toccare molto caldo, né pallido; ma rossastro, livido e gremito di pustulette ed ulceri, mentre le parti interne erano in tal bruciore che i malati non potevano sopportare d'avere indosso né i vestiti né le biancherie più fini, ma solo di star nudi. Recavansi a gran diletto tuffarsi nell'acqua fredda; di che molti de' meno guardati, tormentati da sete incontentabile, si gettarono nei pozzi: ed erano ridotti a tale che profittava egualmente il molto e il poco bere, travagliati incessantemente da smania inquieta e da vegghia continua. Ciò nonostante finché la malattia era nel suo colmo, il corpo non languiva, ma contro ogni credere durava gl'incomodi, talché i più, o erano da interno calore consumati nel nono o settimo giorno, avendo ancora qualche residuo di forza, o se pur scampavano, scendendo il morbo nel ventre, si faceva grande esulcerazione con sopravvenimento di diarrea immoderata, intanto ché poi la maggior parte morivano di debolezza. Perocché il male, fisso prima nel capo, incominciando di sopra discorreva per tutto il corpo; e se vi era chi superasse codesti più fieri malanni; almeno le estreme parti indicavano d'essere state comprese dal morbo, il quale prorompeva sino nelle vergogne e nel sommo delle mani e dei piedi; e molti guarivano perdendo affatto queste parti ed anche gli occhi. In altri la convalescenza era immediatamente seguita da smemoraggine di ogni cosa egualmente, a segno che non riconoscevano né sé stessi, né gli amici.
50. Questa specie di morbo superiore ad ogni racconto che far se ne possa, si avventava a ciascuno con acerbità da non reggervi forza umana: e principalmente mostrossi esser bene altra cosa che una delle malattie comuni, da questo, che gli uccelli ed i quadrupedi che mangiano carne umana, bene che molti cadaveri restassero insepolti, o non vi si accostavano, o gustandoli morivano. [[Argo (4)|Argo]]mento ne fu la manifesta mancanza di tali uccelli che non si vedevano intorno a veruno di quei cadaveri né altrove; e soprattutto i cani i quali, perché assuefatti a conversare con gli uomini, rendevano più sensibile tal crudele conseguenza.
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50. Questa specie di morbo superiore ad ogni racconto che far se ne possa, si avventava a ciascuno con acerbità da non reggervi forza umana: e principalmente mostrossi esser bene altra cosa che una delle malattie comuni, da questo, che gli uccelli ed i quadrupedi che mangiano carne umana, bene che molti cadaveri restassero insepolti, o non vi si accostavano, o gustandoli morivano. Argomento ne fu la manifesta mancanza di tali uccelli che non si vedevano intorno a veruno di quei cadaveri né altrove; e soprattutto i cani i quali, perché assuefatti a conversare con gli uomini, rendevano più sensibile tal crudele conseguenza.
 
51. Del rimanente per tralasciar molte altre stravaganze della pestilenza (secondo che in diverso modo accadeva in ciascuno) questa era in generale la qualità del morbo: nessuna delle altre consuete malattie affliggeva allora la città; e se alcuna ve n'era, andava a finire in questa. Morivano poi alcuni perché non assistiti, altri benché perfettamente curati: non fuvvi, per così dire, medicamento alcuno che usato facesse profitto? ciò che avea giovato ad uno nuoceva ad un altro: né valeva complessione robusta o debole contro la furia del male, il quale uccideva anche i più accuratamente medicati. Ma il più terribile della pestilenza era lo sgomento tosto che uno si sentiva malato; poiché cadendo in disperazione, più di sé in veruno modo non curavano, né alcun riparo prendevano, e, per lo comunicare insieme in servendo agl'infermi, incorporando il contagio, come pecore morivano: lo che accresceva assaissimo la mortalità. Se per paura ricusavano visitarsi scambievolmente, morivano privi d'ogni assistenza, e molte case rimasero vuote per mancanza di serventi: all'incontro se si visitavano contraevano il morbo; ciò che principalmente interveniva a quei che ambivano d'esser tenuti caritatevoli, perché vergognando di risparmiarsi visitavano gli amici; avvegnaché i parenti stessi, vinti finalmente dalla violenza del male, non valevano a sopportare i lamentevoli gridi dei moribondi. Ciò non pertanto più degli altri compassionavano il moribondo e l'infermo quei che ne erano campati, tra perché avevano provato il male, e perché erano ormai pieni di coraggio, essendo che la malattia non si appigliava mortalmente una seconda volta; ed erano felicitati dagli altri, mentre la gioia inaspettata della guarigione nutriva in essi speranza e conforto per l'avvenire, quasi non avessero ad esser morti da verun'altra malattia.
 
51. Del rimanente per tralasciar molte altre stravaganze della pestilenza (secondo che in diverso modo accadeva in ciascuno) questa era in generale la qualità del morbo: nessuna delle altre consuete malattie affliggeva allora la città; e se alcuna ve n'era, andava a finire in questa. Morivano poi alcuni perché non assistiti, altri benché perfettamente curati: non fuvvi, per così dire, medicamento alcuno che usato facesse profitto? ciò che avea giovato ad uno nuoceva ad un altro: né valeva complessione robusta o debole contro la furia del male, il quale uccideva anche i più accuratamente medicati. Ma il più terribile della pestilenza era lo sgomento tosto che uno si sentiva malato; poiché cadendo in disperazione, più di sé in veruno modo non curavano, né alcun riparo prendevano, e, per lo comunicare insieme in servendo agl'infermi, incorporando il contagio, come pecore morivano: lo che accresceva assaissimo la mortalità. Se per paura ricusavano visitarsi scambievolmente, morivano privi d'ogni assistenza, e molte case rimasero vuote per mancanza di serventi: all'incontro se si visitavano contraevano il morbo; ciò che principalmente interveniva a quei che ambivano d'esser tenuti caritatevoli, perché vergognando di risparmiarsi visitavano gli amici; avvegnaché i parenti stessi, vinti finalmente dalla violenza del male, non valevano a sopportare i lamentevoli gridi dei moribondi. Ciò non pertanto più degli altri compassionavano il moribondo e l'infermo quei che ne erano campati, tra perché avevano provato il male, e perché erano ormai pieni di coraggio, essendo che la malattia non si appigliava mortalmente una seconda volta; ed erano felicitati dagli altri, mentre la gioia inaspettata della guarigione nutriva in essi speranza e conforto per l'avvenire, quasi non avessero ad esser morti da verun'altra malattia.
 
52. Ma l'introduzione della gente di campagna in città, oltre al malore che soffrivano, oppresse anche più gli [[Ateniesi]], e principalmente gli ultimi venuti. Conciossiaché per mancanza di case alloggiando questi in tuguri, ove per la stagione che correva restavano soffocati dal caldo, morivano in mezzo alla confusione, e spirando giacevano ammonticati gli uni su gli altri; e per bramosia d'acqua semivivi voltolavansi per le strade e presso tutte le fontane. Gli stessi sacri recinti ove avevano dispiegato le tende erano pieni dei cadaveri di quei che vi morivano. E poiché senza modo cominciò a montare la ferocità della pestilenza, posero in non cale le cose sacre e profane egualmente, non sapendo quello che di sé addiverrebbe; cosicché le sacre cerimonie usate dianzi nel seppellire erano tutte perturbate, dando ciascuno sepoltura in quel modo che poteva. Molti furono che per le già accadute continue morti dei loro, trovandosi privi del congiunti si volsero a cercar sepolture senza nessuno onesto riguardo; perciocché alcuni gettavano il morto sulle pire altrui, prevenendo quelli che le avevano accatastate, e vi appiccavano il fuoco; altri nel mentre si bruciava un cadavere ponevanvi quello avevano in su le spalle e se n'andavano.
 
52. Ma l'introduzione della gente di campagna in città, oltre al malore che soffrivano, oppresse anche più gli [[Ateniesi]], e principalmente gli ultimi venuti. Conciossiaché per mancanza di case alloggiando questi in tuguri, ove per la stagione che correva restavano soffocati dal caldo, morivano in mezzo alla confusione, e spirando giacevano ammonticati gli uni su gli altri; e per bramosia d'acqua semivivi voltolavansi per le strade e presso tutte le fontane. Gli stessi sacri recinti ove avevano dispiegato le tende erano pieni dei cadaveri di quei che vi morivano. E poiché senza modo cominciò a montare la ferocità della pestilenza, posero in non cale le cose sacre e profane egualmente, non sapendo quello che di sé addiverrebbe; cosicché le sacre cerimonie usate dianzi nel seppellire erano tutte perturbate, dando ciascuno sepoltura in quel modo che poteva. Molti furono che per le già accadute continue morti dei loro, trovandosi privi del congiunti si volsero a cercar sepolture senza nessuno onesto riguardo; perciocché alcuni gettavano il morto sulle pire altrui, prevenendo quelli che le avevano accatastate, e vi appiccavano il fuoco; altri nel mentre si bruciava un cadavere ponevanvi quello avevano in su le spalle e se n'andavano.
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66. In questa medesima estate i [[Lacedemoni]] in numero di mille soldati di grave armatura, sotto la condotta di Cnemo spartano, andarono con centoventi navi, unitamente agli alleati, contro l'isola di Zacinto, la quale giace dirimpetto ad Elide, i cui abitanti sono coloni degli Achei del [[Peloponneso]], ma alleati degli [[Ateniesi]]. Vi presero terra, e ne saccheggiarono gran parte; ma come gli Zacinti non si arrendevano, ritornarono a casa.
 
66. In questa medesima estate i [[Lacedemoni]] in numero di mille soldati di grave armatura, sotto la condotta di Cnemo spartano, andarono con centoventi navi, unitamente agli alleati, contro l'isola di Zacinto, la quale giace dirimpetto ad Elide, i cui abitanti sono coloni degli Achei del [[Peloponneso]], ma alleati degli [[Ateniesi]]. Vi presero terra, e ne saccheggiarono gran parte; ma come gli Zacinti non si arrendevano, ritornarono a casa.
 
67. Sullo scorcio della medesima estate Aristeo corintio, ed Aneristo e Nicolao e Pratodemo ambasciatori degli Spartani, e Timagora di [[Tegea]], e da semplice privato Poli argivo, nella loro gita in Asia per presentarsi al re (affine di persuaderlo in qualche modo a somministrar denaro, e unire con loro le sue armi) giungono in [[Tracia (2)|Tracia]] da Sitalce figliolo di [[Tereo (1)|Tereo]]. Era loro intendimento di indurlo, se fosse possibile, a ritirarsi dall'alleanza degli [[Ateniesi]], ed andare con le sue genti a Potidea assediata dall'esercito degli [[Ateniesi]] stessi; e così farlo desistere dal portare ad essi soccorso. Volevano anche passare per le sue terre all'altra parte dell'[[Ellesponto]] da Farnace figlio di Farnabazzo (per dove erano indirizzati) il quale gli doveva accompagnare dal re. Ma Learco figliolo di Callimaco, ed Ameniade di Filemone, ambasciatori degli [[Ateniesi]], che casualmente erano presso Sitalce, persuadono il figlio di lui Sadoco, ascritto già alla cittadinanza d'[[Atene]], a metterli nelle loro mani, ciò non potessero, tragittando al re, recar danno ad [[Atene]] medesima che era in parte anche sua città. Egli vi consentì; e mentre si avviavano per la [[Tracia (2)|Tracia]] verso la nave su cui dovevano tragittare l'[[Ellesponto]], prima che vi montassero gli fa arrestare da gente spedita insieme con Learco ed Ameniade, la quale aveva ordine di consegnarli: ed avuti che li ebbero li condussero in [[Atene]]. Al loro arrivo, gli [[Ateniesi]], per paura che Aristeo, stato anche prima di questi fatti manifestamente l'autore delle cose accadute a Potidea ed in [[Tracia (2)|Tracia]], non scappasse e tornasse a far loro danni più grandi, gli ammazzarono tutti in quello stesso giorno senza processo, quantunque e' domandassero di essere uditi, e gli gettarono nei borri; credendo aver diritto di vendicarsi, così per render la pariglia ai [[Lacedemoni]], che avevano ucciso e gettato nei borri i mercatanti degli [[Ateniesi]] e de' loro alleati, i quali avevano presi sulle coste del [[Peloponneso]]. Ed invero gli Spartani sul principio della guerra trucidavano come nemici, quanti per mare arrestavano collegati con gli [[Ateniesi]], ed anche neutrali.
 
67. Sullo scorcio della medesima estate Aristeo corintio, ed Aneristo e Nicolao e Pratodemo ambasciatori degli Spartani, e Timagora di [[Tegea]], e da semplice privato Poli argivo, nella loro gita in Asia per presentarsi al re (affine di persuaderlo in qualche modo a somministrar denaro, e unire con loro le sue armi) giungono in [[Tracia (2)|Tracia]] da Sitalce figliolo di [[Tereo (1)|Tereo]]. Era loro intendimento di indurlo, se fosse possibile, a ritirarsi dall'alleanza degli [[Ateniesi]], ed andare con le sue genti a Potidea assediata dall'esercito degli [[Ateniesi]] stessi; e così farlo desistere dal portare ad essi soccorso. Volevano anche passare per le sue terre all'altra parte dell'[[Ellesponto]] da Farnace figlio di Farnabazzo (per dove erano indirizzati) il quale gli doveva accompagnare dal re. Ma Learco figliolo di Callimaco, ed Ameniade di Filemone, ambasciatori degli [[Ateniesi]], che casualmente erano presso Sitalce, persuadono il figlio di lui Sadoco, ascritto già alla cittadinanza d'[[Atene]], a metterli nelle loro mani, ciò non potessero, tragittando al re, recar danno ad [[Atene]] medesima che era in parte anche sua città. Egli vi consentì; e mentre si avviavano per la [[Tracia (2)|Tracia]] verso la nave su cui dovevano tragittare l'[[Ellesponto]], prima che vi montassero gli fa arrestare da gente spedita insieme con Learco ed Ameniade, la quale aveva ordine di consegnarli: ed avuti che li ebbero li condussero in [[Atene]]. Al loro arrivo, gli [[Ateniesi]], per paura che Aristeo, stato anche prima di questi fatti manifestamente l'autore delle cose accadute a Potidea ed in [[Tracia (2)|Tracia]], non scappasse e tornasse a far loro danni più grandi, gli ammazzarono tutti in quello stesso giorno senza processo, quantunque e' domandassero di essere uditi, e gli gettarono nei borri; credendo aver diritto di vendicarsi, così per render la pariglia ai [[Lacedemoni]], che avevano ucciso e gettato nei borri i mercatanti degli [[Ateniesi]] e de' loro alleati, i quali avevano presi sulle coste del [[Peloponneso]]. Ed invero gli Spartani sul principio della guerra trucidavano come nemici, quanti per mare arrestavano collegati con gli [[Ateniesi]], ed anche neutrali.
68. Circa il medesimo tempo, sul cader dell'estate, gli Ambracioti proprio, e con essi molti barbari cui avevano sommossi, marciarono contro [[Argo (4)|Argo]] amfilochio e contro il restante dell'Amfilochia. La loro inimicizia contro gli [[Argivi]] ebbe origine di qui. Dopo i fatti troiani Amfiloco figliolo di Amfiarao tornato a casa, non piacendogli lo stato delle cose d'[[Argo (4)|Argo]], aveva fondato [[Argo (4)|Argo]] amfilochio ed il rimanente dell'Amfilochia nel seno ambracico, chiamandola [[Argo (4)|Argo]], col medesimo nome della sua patria. Fu questa la città principale dell'Amfilochia, ed era abitata dalle famiglie più potenti. Ma questi abitanti molte generazioni dopo stretti da calamità invitarono a far corpo di cittadinanza con loro gli Ambracioti che erano a confine dell'Amfilochia; ed allora per la prima volta furono dagli Ambracioti, che si erano riuniti di abitazione con loro, avvezzati al greco linguaggio che ora usano; mentre il resto degli Amfilochi sono barbari. Questi Ambracioti dunque in progresso di tempo cacciano gli [[Argivi]], e ritengono per sé la città: dopo questa espulsione gli Amfilochi si danno agli Acarnani, ed entrambi chiamarono in soccorso gli [[Ateniesi]], i quali spedirono loro Formione ammiraglio con trenta navi. All'arrivo di Formione, essendo stata presa d'assalto [[Argo (4)|Argo]] e gli Ambracioti messi in servitù, vi passarono ad abitare in comune gli Amfilochi e gli Acarnani ; e fu allora per la prima volta stretta lega tra gli [[Ateniesi]] e gli Acarnani. Gli Ambracioti a cagione della schiavitù di quella lor gente avevano da prima preso in odio gli [[Argivi]], e finalmente colgono l'opportunità di guerra per far questa spedizione essi stessi insieme coi Caoni e pochi altri barbari di quelle circostanze. Andati dunque contro [[Argo (4)|Argo]] si impadronirono della campagna: ma poiché, dato l'assalto alla città, non venne lor fatto di espugnarla, ritornarono a casa, e popolo per popolo si separarono. Tali sono i fatti accaduti in quest'estate.
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68. Circa il medesimo tempo, sul cader dell'estate, gli Ambracioti proprio, e con essi molti barbari cui avevano sommossi, marciarono contro Argo amfilochio e contro il restante dell'Amfilochia. La loro inimicizia contro gli [[Argivi]] ebbe origine di qui. Dopo i fatti troiani Amfiloco figliolo di Amfiarao tornato a casa, non piacendogli lo stato delle cose d'Argo, aveva fondato Argo amfilochio ed il rimanente dell'Amfilochia nel seno ambracico, chiamandola Argo, col medesimo nome della sua patria. Fu questa la città principale dell'Amfilochia, ed era abitata dalle famiglie più potenti. Ma questi abitanti molte generazioni dopo stretti da calamità invitarono a far corpo di cittadinanza con loro gli Ambracioti che erano a confine dell'Amfilochia; ed allora per la prima volta furono dagli Ambracioti, che si erano riuniti di abitazione con loro, avvezzati al greco linguaggio che ora usano; mentre il resto degli Amfilochi sono barbari. Questi Ambracioti dunque in progresso di tempo cacciano gli [[Argivi]], e ritengono per sé la città: dopo questa espulsione gli Amfilochi si danno agli Acarnani, ed entrambi chiamarono in soccorso gli [[Ateniesi]], i quali spedirono loro Formione ammiraglio con trenta navi. All'arrivo di Formione, essendo stata presa d'assalto Argo e gli Ambracioti messi in servitù, vi passarono ad abitare in comune gli Amfilochi e gli Acarnani ; e fu allora per la prima volta stretta lega tra gli [[Ateniesi]] e gli Acarnani. Gli Ambracioti a cagione della schiavitù di quella lor gente avevano da prima preso in odio gli [[Argivi]], e finalmente colgono l'opportunità di guerra per far questa spedizione essi stessi insieme coi Caoni e pochi altri barbari di quelle circostanze. Andati dunque contro Argo si impadronirono della campagna: ma poiché, dato l'assalto alla città, non venne lor fatto di espugnarla, ritornarono a casa, e popolo per popolo si separarono. Tali sono i fatti accaduti in quest'estate.
 
69. All'entrare dell'inverno gli [[Ateniesi]] spedirono venti navi intorno al [[Peloponneso]] con Formione ammiraglio, il quale, facendo massa in [[Naupatto]], stava a riguardo che nessuna nave entrasse od uscisse da [[Corinto (1)|Corinto]] e dal seno criseo. Spedirono medesimamente altre sei navi nella [[Caria (1)|Caria]] e nella [[Licia]] sotto la condotta di Melesandro, per raccoglier denaro da quei luoghi, e non permettere che i pirati dei Peloponnesi uscendo da quelle parti infestassero le barche da carico, che venivano da Faselide e da Fenice, e dalla terraferma di quel dintorni. Melesandro avanzatosi nella [[Licia]] colle genti ateniesi ed alleate che erano sulle navi, vinto in battaglia, e perduta una parte dell'esercito, vi rimase ucciso.
 
69. All'entrare dell'inverno gli [[Ateniesi]] spedirono venti navi intorno al [[Peloponneso]] con Formione ammiraglio, il quale, facendo massa in [[Naupatto]], stava a riguardo che nessuna nave entrasse od uscisse da [[Corinto (1)|Corinto]] e dal seno criseo. Spedirono medesimamente altre sei navi nella [[Caria (1)|Caria]] e nella [[Licia]] sotto la condotta di Melesandro, per raccoglier denaro da quei luoghi, e non permettere che i pirati dei Peloponnesi uscendo da quelle parti infestassero le barche da carico, che venivano da Faselide e da Fenice, e dalla terraferma di quel dintorni. Melesandro avanzatosi nella [[Licia]] colle genti ateniesi ed alleate che erano sulle navi, vinto in battaglia, e perduta una parte dell'esercito, vi rimase ucciso.
 
70. Nello stesso inverno i Potideesi non potendo durare nell'assedio, da che le invasioni dei Peloponnesi nell'[[Attica]] non valevano punto meglio a distrarre da loro gli [[Ateniesi]], ed era fallito il frumento, e sopravvenuti molti e diversi danni circa le altre grasce, cosicché alcuni si mangiavano tra loro, allora alla perfine trattano della dedizione con Senofonte figliolo di Euripide, con Estiodoro di Aristoclide e Fanomaco di Callimaco generali degli [[Ateniesi]], destinati ad assediarli, i quali vi si accomodarono, tra perché vedevano gl'incomodi di lor gente in quel luogo esposto ai rigori dell'inverno, e perché consideravano che l'assedio costava già alla Repubblica duemila talenti. Capitolarono dunque a condizione d'uscire essi, i figlioli, le mogli e la guarnigione ausiliaria con un sol vestito, ma le donne con due, portando pur seco una determinata somma di denaro pei bisogni del viaggio: uscirono infatti interposta la fede pubblica, e si rifugiarono nella Calcidia, e dove ognuno poté. Ma in [[Atene]], ove si credeva che avrebbero potuto prender Potidea a discrezione, incolpavano i comandanti della capitolazione di quella città fatta senza loro saputa, e vi spedirono a ripopolarla colonia proprio di [[Ateniesi]]. Tali furono gli avvenimenti di quest'inverno, e finiva il secondo anno di questa guerra che ha descritta Tucidide.
 
70. Nello stesso inverno i Potideesi non potendo durare nell'assedio, da che le invasioni dei Peloponnesi nell'[[Attica]] non valevano punto meglio a distrarre da loro gli [[Ateniesi]], ed era fallito il frumento, e sopravvenuti molti e diversi danni circa le altre grasce, cosicché alcuni si mangiavano tra loro, allora alla perfine trattano della dedizione con Senofonte figliolo di Euripide, con Estiodoro di Aristoclide e Fanomaco di Callimaco generali degli [[Ateniesi]], destinati ad assediarli, i quali vi si accomodarono, tra perché vedevano gl'incomodi di lor gente in quel luogo esposto ai rigori dell'inverno, e perché consideravano che l'assedio costava già alla Repubblica duemila talenti. Capitolarono dunque a condizione d'uscire essi, i figlioli, le mogli e la guarnigione ausiliaria con un sol vestito, ma le donne con due, portando pur seco una determinata somma di denaro pei bisogni del viaggio: uscirono infatti interposta la fede pubblica, e si rifugiarono nella Calcidia, e dove ognuno poté. Ma in [[Atene]], ove si credeva che avrebbero potuto prender Potidea a discrezione, incolpavano i comandanti della capitolazione di quella città fatta senza loro saputa, e vi spedirono a ripopolarla colonia proprio di [[Ateniesi]]. Tali furono gli avvenimenti di quest'inverno, e finiva il secondo anno di questa guerra che ha descritta Tucidide.
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97. L'impero degli Odrisii, quanto alla sua grandezza, dalla parte che arriva sino al mare, si stende dalla città di Abdera al [[Ponto]] Eussino fin dove imbocca il fiume Istro. Il giro di questa costa per il cammino più corto, se il vento soffi continuomente da poppa, con una nave tonda si fa in quattro giorni ed altrettante notti. Per terra poi la via più corta da Abdera sino all'Istro un uomo spedito la fornisce in undici giornate: tanta è la sua estensione su la parte di mare. Ma verso terraferma da Bizanzio fino ai Leei e allo [[Strimone]] (imperocché in questa linea è la maggior distanza del mare da terra) la gita può compirsi da un uomo spedito in tredici giornate. Il tributo di tutto il paese barbaro e delle città greche, secondo che lo han pagato sotto Seute (che succeduto nel regno a Sitalce lo rese gravissimo) montava alla somma di circa quattrocento talenti d'argento, che si pagavano in oro ed argento. Né di minor valore erano i doni i quali non al re solamente, ma ai magnati degli Odrisii e potenti presso lui venivano offerti, che in oro e che in argento, senza contare le stoffe a opera e lisce ed altri mobili. Poiché, al contrario di quel che si pratica nel regno di Persia, aveano cotesti signori messa l'usanza, che dura anche presso gli altri Traci, di pigliare piuttosto che dare; ed era maggior vergogna per chi richiesto non dava, che per chi chiedendo non otteneva. Cotale usanza per la potenza di quelli durò lungo tempo; né era possibile di concluder nulla senza donativi, il perché il regno venne a gran potenza, sendo che di quei di Europa tra il seno ionico e il [[Ponto]] Eussino, esso fu il più considerabile pel provento di denaro e per ogni altra sorta di opulenza. Ma nel valor guerriero e nella moltitudine delle soldatesche fu di gran lunga inferiore a quel degli Sciti; al quale non che sieno da agguagliare le nazioni d'Europa, ma neanche in Asia avvi nazione, che da solo a solo possa resistere contro tutti gli Sciti d'accordo. Nondimeno in accorgimento e prudenza per le altre cose concernenti la vita, non sono da mettere alla pari con le altre nazioni.
 
97. L'impero degli Odrisii, quanto alla sua grandezza, dalla parte che arriva sino al mare, si stende dalla città di Abdera al [[Ponto]] Eussino fin dove imbocca il fiume Istro. Il giro di questa costa per il cammino più corto, se il vento soffi continuomente da poppa, con una nave tonda si fa in quattro giorni ed altrettante notti. Per terra poi la via più corta da Abdera sino all'Istro un uomo spedito la fornisce in undici giornate: tanta è la sua estensione su la parte di mare. Ma verso terraferma da Bizanzio fino ai Leei e allo [[Strimone]] (imperocché in questa linea è la maggior distanza del mare da terra) la gita può compirsi da un uomo spedito in tredici giornate. Il tributo di tutto il paese barbaro e delle città greche, secondo che lo han pagato sotto Seute (che succeduto nel regno a Sitalce lo rese gravissimo) montava alla somma di circa quattrocento talenti d'argento, che si pagavano in oro ed argento. Né di minor valore erano i doni i quali non al re solamente, ma ai magnati degli Odrisii e potenti presso lui venivano offerti, che in oro e che in argento, senza contare le stoffe a opera e lisce ed altri mobili. Poiché, al contrario di quel che si pratica nel regno di Persia, aveano cotesti signori messa l'usanza, che dura anche presso gli altri Traci, di pigliare piuttosto che dare; ed era maggior vergogna per chi richiesto non dava, che per chi chiedendo non otteneva. Cotale usanza per la potenza di quelli durò lungo tempo; né era possibile di concluder nulla senza donativi, il perché il regno venne a gran potenza, sendo che di quei di Europa tra il seno ionico e il [[Ponto]] Eussino, esso fu il più considerabile pel provento di denaro e per ogni altra sorta di opulenza. Ma nel valor guerriero e nella moltitudine delle soldatesche fu di gran lunga inferiore a quel degli Sciti; al quale non che sieno da agguagliare le nazioni d'Europa, ma neanche in Asia avvi nazione, che da solo a solo possa resistere contro tutti gli Sciti d'accordo. Nondimeno in accorgimento e prudenza per le altre cose concernenti la vita, non sono da mettere alla pari con le altre nazioni.
 
98. Sitalce dunque re di sì vasto paese preparava il suo esercito, e poiché ebbe ordinato il tutto, mosso il campo si incamminava verso la Macedonia, passando prima pe' suoi stati, e dipoi per Cercina monte disabitato, conterminale dei Sinti e de' [[Peoni]]i, tenendo la strada da lui stesso aperta col taglio della foresta quando portò la guerra contro i [[Peoni]]i. Da Odrise marciando pel monte avevano a destra i [[Peoni]]i, a sinistra i Sinti e i Maidi, e passato che l'ebbero giunsero a Dobero città della [[Peoni]]a. Nel cammino non soffrì perdita veruna dell'esercito, salvo che pochi per malattia, anzi lo ebbe accresciuto; imperocché molti di quei Traci liberi lo seguitarono, benché non chiamati, per avidità di bottino: talché si dice l'intero esercito essere stato non meno di cento cinquantamila, per la maggior parte fanti, ed il terzo cavalli. Il grosso della cavalleria lo somministravano principalmente gli Odrisii, e con esso loro i Geti. Della fanteria i più agguerriti erano quei che portavano coltella, gente libera scesa da Rodope. Il resto poi della turba che li seguiva era un mescuglio di ogni sorta di gente, formidabile più che altro pel suo gran numero.
 
98. Sitalce dunque re di sì vasto paese preparava il suo esercito, e poiché ebbe ordinato il tutto, mosso il campo si incamminava verso la Macedonia, passando prima pe' suoi stati, e dipoi per Cercina monte disabitato, conterminale dei Sinti e de' [[Peoni]]i, tenendo la strada da lui stesso aperta col taglio della foresta quando portò la guerra contro i [[Peoni]]i. Da Odrise marciando pel monte avevano a destra i [[Peoni]]i, a sinistra i Sinti e i Maidi, e passato che l'ebbero giunsero a Dobero città della [[Peoni]]a. Nel cammino non soffrì perdita veruna dell'esercito, salvo che pochi per malattia, anzi lo ebbe accresciuto; imperocché molti di quei Traci liberi lo seguitarono, benché non chiamati, per avidità di bottino: talché si dice l'intero esercito essere stato non meno di cento cinquantamila, per la maggior parte fanti, ed il terzo cavalli. Il grosso della cavalleria lo somministravano principalmente gli Odrisii, e con esso loro i Geti. Della fanteria i più agguerriti erano quei che portavano coltella, gente libera scesa da Rodope. Il resto poi della turba che li seguiva era un mescuglio di ogni sorta di gente, formidabile più che altro pel suo gran numero.
99. Facevano pertanto la massa a Dobero, e disponevano di assaltare dalla parte montuosa la Macedonia inferiore, di cui era padrone Perdicca, poiché sono compresi tra' Macedoni anche i Lincesti e gli Elimioti ed altri popoli più dilungi dal mare, i quali sebbene confederati de' Macedoni e loro soggetti, pure hanno ognuno il suo regno. Ma quella che di presente si chiama Macedonia marittima l'acquistarono e vi regnarono i primi [[Alessandro]] padre di Perdicca e i suoi maggiori discendenti da Temene, che ab antico venivano da [[Argo (4)|Argo]] in questo modo. Primieramente superarono in battaglia e scacciarono dalla Pieria i Pierii, che poi presero stanza in Fagrete sotto il monte Pangeo al di là dello [[Strimone]], ed in altri luoghi (onde ancora si chiama seno pierico quella terra che dalle falde del Pangeo si stende alla marina), quindi dalla Bottia i Bottiesi che ora abitano ai confini dei Calcidesi. Acquistarono ancora lungo il fiume Axio una lingua di terra della [[Peoni]]a, che dall'alto della montagna va sino a Pella ed al mare, e di là dall'Axio fino allo [[Strimone]] posseggono quella che si chiama Migdonia, d'onde scacciarono gli Edoni. Cacciarono inoltre da quella adesso chiamata Evordia gli Evordi (la maggior parte dei quali restò trucidata, ed una piccola porzione passò a stanziare intorno a Fusca), e dall'Almopia gli Almopi. Finalmente questi nuovi Macedoni ridussero in loro potestà altri popoli, e li ritengono ancora, come Antemunte, Grestonia, Bisalda, con gran parte del territorio che apparteneva ai veri Macedoni. Tutto questo corpo di stati è compreso sotto il nome di Macedonia, di cui era re Perdicca figliolo di [[Alessandro]], quando Sitalce vi portò le armi.
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99. Facevano pertanto la massa a Dobero, e disponevano di assaltare dalla parte montuosa la Macedonia inferiore, di cui era padrone Perdicca, poiché sono compresi tra' Macedoni anche i Lincesti e gli Elimioti ed altri popoli più dilungi dal mare, i quali sebbene confederati de' Macedoni e loro soggetti, pure hanno ognuno il suo regno. Ma quella che di presente si chiama Macedonia marittima l'acquistarono e vi regnarono i primi [[Alessandro]] padre di Perdicca e i suoi maggiori discendenti da Temene, che ab antico venivano da Argo in questo modo. Primieramente superarono in battaglia e scacciarono dalla Pieria i Pierii, che poi presero stanza in Fagrete sotto il monte Pangeo al di là dello [[Strimone]], ed in altri luoghi (onde ancora si chiama seno pierico quella terra che dalle falde del Pangeo si stende alla marina), quindi dalla Bottia i Bottiesi che ora abitano ai confini dei Calcidesi. Acquistarono ancora lungo il fiume Axio una lingua di terra della [[Peoni]]a, che dall'alto della montagna va sino a Pella ed al mare, e di là dall'Axio fino allo [[Strimone]] posseggono quella che si chiama Migdonia, d'onde scacciarono gli Edoni. Cacciarono inoltre da quella adesso chiamata Evordia gli Evordi (la maggior parte dei quali restò trucidata, ed una piccola porzione passò a stanziare intorno a Fusca), e dall'Almopia gli Almopi. Finalmente questi nuovi Macedoni ridussero in loro potestà altri popoli, e li ritengono ancora, come Antemunte, Grestonia, Bisalda, con gran parte del territorio che apparteneva ai veri Macedoni. Tutto questo corpo di stati è compreso sotto il nome di Macedonia, di cui era re Perdicca figliolo di [[Alessandro]], quando Sitalce vi portò le armi.
 
100. Or questi Macedoni, per la impossibilità di resistere al numeroso esercito che li assaliva, si ritirarono ai luoghi forti di situazione, e nelle poche castella del paese. Perocché quelle che ora vi si veggono le edificò poi Archelao figliolo di Perdicca, giunto che fu ad esser re: aperse e dirizzò strade, ordinò acconciamente tutte le altre cose, e particolarmente la milizia, fornendola di cavalleria e di fanteria grave e di ogni altro corredo, meglio che tutti insieme gli altri otto re prima di lui. L'esercito dei Traci partendo da Dobero, assaltò primieramente gli stati antichi di Filippo, espugnò Edomene, ed ebbe per dedizione Gortinia, Atalanta ed alcuni altri castelli, i quali si resero, atteso l'amicizia avevano per Aminta figliolo di Filippo che si trovava nell'esercito. Assediarono anche Europo, ma non poterono prenderla: allora si avanzarono nel resto della Macedonia su la sinistra di Pella e di Cirro; ma al di qua di queste due città non arrivarono né alla Bottica né alla Pieria, anzi davano il guasto alla Migdonia, alla Grestonia e ad Antemunte. I Macedoni poi non avevano neanche il pensiero di far loro resistenza colla fanteria: ma colle genti a cavallo chiamate dagli alleati dell'interno, benché poche di fronte a molti, dove giudicassero opportuno correvano addosso all'esercito dei Traci, e dovunque gli attaccassero, nessuno sosteneva l'impeto d'uomini a cavallo valorosi ed armati di lorica. Laonde, come ché accerchiati dalla moltitudine, osavano mettersi a repentaglio con oste tanto più numerosa di loro: ma da ultimo si rimasero anche da ciò, reputandosi inabili a cimentarsi contro forze sì esorbitanti.
 
100. Or questi Macedoni, per la impossibilità di resistere al numeroso esercito che li assaliva, si ritirarono ai luoghi forti di situazione, e nelle poche castella del paese. Perocché quelle che ora vi si veggono le edificò poi Archelao figliolo di Perdicca, giunto che fu ad esser re: aperse e dirizzò strade, ordinò acconciamente tutte le altre cose, e particolarmente la milizia, fornendola di cavalleria e di fanteria grave e di ogni altro corredo, meglio che tutti insieme gli altri otto re prima di lui. L'esercito dei Traci partendo da Dobero, assaltò primieramente gli stati antichi di Filippo, espugnò Edomene, ed ebbe per dedizione Gortinia, Atalanta ed alcuni altri castelli, i quali si resero, atteso l'amicizia avevano per Aminta figliolo di Filippo che si trovava nell'esercito. Assediarono anche Europo, ma non poterono prenderla: allora si avanzarono nel resto della Macedonia su la sinistra di Pella e di Cirro; ma al di qua di queste due città non arrivarono né alla Bottica né alla Pieria, anzi davano il guasto alla Migdonia, alla Grestonia e ad Antemunte. I Macedoni poi non avevano neanche il pensiero di far loro resistenza colla fanteria: ma colle genti a cavallo chiamate dagli alleati dell'interno, benché poche di fronte a molti, dove giudicassero opportuno correvano addosso all'esercito dei Traci, e dovunque gli attaccassero, nessuno sosteneva l'impeto d'uomini a cavallo valorosi ed armati di lorica. Laonde, come ché accerchiati dalla moltitudine, osavano mettersi a repentaglio con oste tanto più numerosa di loro: ma da ultimo si rimasero anche da ciò, reputandosi inabili a cimentarsi contro forze sì esorbitanti.
 
101. Intanto Sitalce dichiarava a Perdicca le cagioni della sua spedizione: ma siccome gli [[Ateniesi]] diffidando ch'ei v'andrebbe non erano comparsi colla flotta, e solo gli avevano inviato ambasciatori con dei presenti, prende il partito di distaccare parte di sua gente contro i Calcidesi ed i Bottici, e rinchiusi che li ebbe dentro le castella, ne saccheggiò il territorio. In vedendolo osteggiare intorno a questi luoghi, i [[Tessali]] di mezzogiorno, i Magneti e gli altri sudditi dei [[Tessali]], e gli altri Greci fino alle Termopili temettero che l'esercito potesse avanzarsi anche contro di loro, e già si andavano preparando. Impaurirono anche tutti i Traci settentrionali abitatori delle pianure di là dallo [[Strimone]], i Panei, gli Odomanti, i Droi, i Dersei, popoli tutti indipendenti. Corse pur voce fino tra quei Greci che erano nemici degli [[Ateniesi]], che indotti da questi per titolo di alleanza marcerebbero anche contro di loro. Sitalce però, intanto che si tratteneva, dava il guasto alla Calcidica, alla Bottica ed alla Macedonia. Con tutto ciò non gli riuscendo nulla di quel per cui erasi mosso, tanto più che l'esercito era stremo di vettovaglia e molestato dal verno, si lascia persuadere a sollecitare la ritirata da Seute figliolo di Spardoco, suo nipote, che aveva dopo lui la più grande autorità. Si era Perdicca conciliato segretamente Seute, colla promessa di dargli in sposa la sua sorella con ricca dote. Sitalce pertanto acconsentì e tornò sollecitamente a casa coll'esercito, dopo essersi fermato trenta giorni, otto dei quali presso i Calcidesi. Dipoi Perdicca, secondo che avea promesso, dà a Seute la sua sorella Stratonica. Così andò la spedizione di Sitalce.
 
101. Intanto Sitalce dichiarava a Perdicca le cagioni della sua spedizione: ma siccome gli [[Ateniesi]] diffidando ch'ei v'andrebbe non erano comparsi colla flotta, e solo gli avevano inviato ambasciatori con dei presenti, prende il partito di distaccare parte di sua gente contro i Calcidesi ed i Bottici, e rinchiusi che li ebbe dentro le castella, ne saccheggiò il territorio. In vedendolo osteggiare intorno a questi luoghi, i [[Tessali]] di mezzogiorno, i Magneti e gli altri sudditi dei [[Tessali]], e gli altri Greci fino alle Termopili temettero che l'esercito potesse avanzarsi anche contro di loro, e già si andavano preparando. Impaurirono anche tutti i Traci settentrionali abitatori delle pianure di là dallo [[Strimone]], i Panei, gli Odomanti, i Droi, i Dersei, popoli tutti indipendenti. Corse pur voce fino tra quei Greci che erano nemici degli [[Ateniesi]], che indotti da questi per titolo di alleanza marcerebbero anche contro di loro. Sitalce però, intanto che si tratteneva, dava il guasto alla Calcidica, alla Bottica ed alla Macedonia. Con tutto ciò non gli riuscendo nulla di quel per cui erasi mosso, tanto più che l'esercito era stremo di vettovaglia e molestato dal verno, si lascia persuadere a sollecitare la ritirata da Seute figliolo di Spardoco, suo nipote, che aveva dopo lui la più grande autorità. Si era Perdicca conciliato segretamente Seute, colla promessa di dargli in sposa la sua sorella con ricca dote. Sitalce pertanto acconsentì e tornò sollecitamente a casa coll'esercito, dopo essersi fermato trenta giorni, otto dei quali presso i Calcidesi. Dipoi Perdicca, secondo che avea promesso, dà a Seute la sua sorella Stratonica. Così andò la spedizione di Sitalce.

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