Modifica di Biblioteca:Ovidio, Amori, Libro III

Attenzione: non hai effettuato l'accesso. Se effettuerai delle modifiche il tuo indirizzo IP sarà visibile pubblicamente. Se accedi o crei un'utenza, le tue modifiche saranno attribuite al tuo nome utente, insieme ad altri benefici.

Questa modifica può essere annullata. Controlla le differenze mostrate sotto fra le due versioni per essere certo che il contenuto corrisponda a quanto desiderato, e quindi salvare le modifiche per completare la procedura di annullamento.
Versione attuale Il tuo testo
Riga 14: Riga 14:
 
Commossa, mi concesse il favore. Si affrettino i dolci Amori fin che il tempo lo consente: un'opera più elevata m'incalza alle spalle.
 
Commossa, mi concesse il favore. Si affrettino i dolci Amori fin che il tempo lo consente: un'opera più elevata m'incalza alle spalle.
  
Non è l'interesse per i cavalli di razza che mi fa' sedere qui; in ogni modo faccio voti perché vinca la gara quello per il quale tieni tu. Io sono venuto per parlare con te e per sederti vicino, perché il sentimento d'amore che susciti in me non ti fosse ignoto. Tu guardi le corse, io guardo te: guardiamo pure entrambi quel che ci piace e lasciamo che i nostri occhi si sazino. O fortunato l'auriga, chiunque sia, per cui fai il tifo! Dunque egli ha avuto la fortuna di suscitare il tuo interesse? Possa questa fortuna capitare anche a me, ed io salirò pieno d'ardore sul carro mentre i cavalli si lanciano fuori dal sacro recinto e ora allenterò le briglie, ora li frusterò sul dorso, ora con la ruota interna sfiorerò la meta; ma se, mentre corro, tu mi guarderai, rallenterò e dalle mie mani le briglie penderanno abbandonate. O Ippodamìa, quanto poco mancò che Pélope, mentre contemplava il tuo volto, cadesse trafitto dalla lancia del re di [[Pisa (1)|Pisa]]! Eppure egli vinse infine secondo l'augurio della sua innamorata: possa ciascuno di noi vincere secondo l'augurio della sua donna. Perché cerchi invano di allontanarti? La linea che separa i posti ci costringe a stare uniti. Il Circo con la sua legge offre questi vantaggi. Tu però, chiunque tu sia che siedi alla sua destra, abbi riguardo per lei: ella è infastidita dal contatto con il tuo fianco; anche tu, che occupi il posto alle nostre spalle, ritrai le gambe, se hai un po' di rispetto, e non fare pressione sulla sua schiena con le tue dure ginocchia. Ma il tuo mantello è sceso troppo e tocca terra: sollevalo, altrimenti provvedo io con le mie mani. Eri una veste maligna, tu che coprivi delle gambe così belle; e per vedere di più... eri proprio una veste maligna. Gambe simili, quelle di [[Atalanta]] in fuga, Milanione avrebbe desiderato sorreggere con le sue mani; così vengono dipinte le gambe di [[Artemide|Diana]] quando, in succinta tenuta da caccia, insegue gli animali selvaggi, ancor più selvaggia di loro. Io arsi di desiderio per quelle gambe che ancora non avevo visto; che accadrà ora che le ho viste? Tu alimenti le fiamme con la fiamma, il mare con l'acqua. A giudicare dalle gambe immagino che mi piaceranno anche le altre tue bellezze, che sono ben nascoste sotto la veste leggera. Vuoi comunque che nel frattempo, agitando con la mano il programma, io susciti un piacevole venticello? O forse questo calore ardente non deriva dalla stagione, ma dalla mia passione ed è l'amore per una donna che brucia il mio cuore ormai schiavo?. Mentre parlavo, la tua bianca veste si è cosparsa di polvere leggera: via, sporca polvere, lontano da questo corpo candido come neve! Ma ormai comincia la sfilata: raccoglietevi e fate silenzio; è il momento di applaudire: avanza il corteo sfavillante d'oro. Al primo posto procede la Vittoria con le ali spiegate: vieni qui, o dea, e fa' che il mio amore sia vincitore. Applaudite Nettuno, voi che guardate troppo fiduciosi alle onde: col mare io non ho nulla da spartire; mi trattiene la mia terra. Applaudi il tuo [[Ares|Marte]], o soldato: io, le armi le odio; a me dà gioia la pace e il trovare in essa l'amore. [[Apollo]] sia propizio agli aùguri, [[Artemide|Diana]] ai cacciatori; le mani degli artisti e degli artigiani si tendano verso di te, o [[Atena|Minerva]]. Voi, contadini, alzatevi al passaggio di [[Demetra|Cerere]] e del giovane [[Dioniso|Bacco]]; ai pugili è caro Pollùce, ai cavalieri Càstore. Io applaudo te, dolce [[Afrodite|Venere]], e gli Amorini signori dell'arco: concedi il tuo assenso alle mie imprese, o dea, e infondi ardire alla mia nuova padrona perché si lasci amare; [[Afrodite|Venere]] ha fatto un cenno di approvazione e con esso mi ha dato presagi favorevoli. Ti prego, prometti anche tu quel che ha promesso la dea; senza offesa per [[Afrodite|Venere]], tu sarai per me una dea ancor più grande. Lo giuro davanti a tanti testimoni e al corteo degli dèi: ti desidero come mia signora per sempre. Ma le tue gambe sono senza sostegno: se ti fa' piacere, puoi appoggiarti con la punta dei piedi fra le travi dello steccato. Ma ecco che nella pista ormai libera del Circo il pretore ha dato il via dalla stessa linea di partenza ai cavalli delle quadrighe: è lo spettacolo più importante. Ho capito per chi fai il tifo; vincerà, chiunque sia a godere delle tue preferenze: perfino i cavalli sembrano sapere quali siano i tuoi desideri. Me infelice, ha preso una curva troppo larga; che fai? L'inseguitore, accostando il carro, sfiora la meta. Che fai, disgraziato? rendi vani i favorevoli auguri della mia donna; tira con mano sicura le redini dalla parte sinistra, te ne scongiuro! Abbiamo dato il nostro sostegno a un incapace. Ma avanti, cittadini, fateli ricominciare e agitando le toghe fate segno da ogni parte. Ecco, li fanno ricominciare; ma, per evitare che il movimento delle toghe ti scompigli i capelli, tu puoi ripararti stringendoti al mio petto. E ormai, aperti i cancelli, si spalancano di nuovo le porte delle scuderie e una schiera variopinta si slancia in avanti sui cavalli che vanno a briglia sciolta. Cerca di vincere almeno questa volta e svetta nello spazio che ti si apre davanti: fa' sì che le mie speranze e quelle della mia donna si realizzino. Le speranze della mia donna si sono realizzate, restano ancora le mie; quello ha conquistato la vittoria, ora devo conquistarla io.
+
Non è l'interesse per i cavalli di razza che mi fa' sedere qui; in ogni modo faccio voti perché vinca la gara quello per il quale tieni tu. Io sono venuto per parlare con te e per sederti vicino, perché il sentimento d'amore che susciti in me non ti fosse ignoto. Tu guardi le corse, io guardo te: guardiamo pure entrambi quel che ci piace e lasciamo che i nostri occhi si sazino. O fortunato l'auriga, chiunque sia, per cui fai il tifo! Dunque egli ha avuto la fortuna di suscitare il tuo interesse? Possa questa fortuna capitare anche a me, ed io salirò pieno d'ardore sul carro mentre i cavalli si lanciano fuori dal sacro recinto e ora allenterò le briglie, ora li frusterò sul dorso, ora con la ruota interna sfiorerò la meta; ma se, mentre corro, tu mi guarderai, rallenterò e dalle mie mani le briglie penderanno abbandonate. O Ippodamìa, quanto poco mancò che Pélope, mentre contemplava il tuo volto, cadesse trafitto dalla lancia del re di [[Pisa (1)|Pisa]]! Eppure egli vinse infine secondo l'augurio della sua innamorata: possa ciascuno di noi vincere secondo l'augurio della sua donna. Perché cerchi invano di allontanarti? La linea che separa i posti ci costringe a stare uniti. Il Circo con la sua legge offre questi vantaggi. Tu però, chiunque tu sia che siedi alla sua destra, abbi riguardo per lei: ella è infastidita dal contatto con il tuo fianco; anche tu, che occupi il posto alle nostre spalle, ritrai le gambe, se hai un po' di rispetto, e non fare pressione sulla sua schiena con le tue dure ginocchia. Ma il tuo mantello è sceso troppo e tocca terra: sollevalo, altrimenti provvedo io con le mie mani. Eri una veste maligna, tu che coprivi delle gambe così belle; e per vedere di più... eri proprio una veste maligna. Gambe simili, quelle di [[Atalanta]] in fuga, Milanione avrebbe desiderato sorreggere con le sue mani; così vengono dipinte le gambe di [[Artemide|Diana]] quando, in succinta tenuta da caccia, insegue gli animali selvaggi, ancor più selvaggia di loro. Io arsi di desiderio per quelle gambe che ancora non avevo visto; che accadrà ora che le ho viste? Tu alimenti le fiamme con la fiamma, il mare con l'acqua. A giudicare dalle gambe immagino che mi piaceranno anche le altre tue bellezze, che sono ben nascoste sotto la veste leggera. Vuoi comunque che nel frattempo, agitando con la mano il programma, io susciti un piacevole venticello? O forse questo calore ardente non deriva dalla stagione, ma dalla mia passione ed è l'amore per una donna che brucia il mio cuore ormai schiavo?. Mentre parlavo, la tua bianca veste si è cosparsa di polvere leggera: via, sporca polvere, lontano da questo corpo candido come neve! Ma ormai comincia la sfilata: raccoglietevi e fate silenzio; è il momento di applaudire: avanza il corteo sfavillante d'oro. Al primo posto procede la Vittoria con le ali spiegate: vieni qui, o dea, e fa' che il mio amore sia vincitore. Applaudite Nettuno, voi che guardate troppo fiduciosi alle onde: col mare io non ho nulla da spartire; mi trattiene la mia terra. Applaudi il tuo [[Ares|Marte]], o soldato: io, le armi le odio; a me dà gioia la pace e il trovare in essa l'amore. [[Apollo]] sia propizio agli aùguri, [[Artemide|Diana]] ai cacciatori; le mani degli artisti e degli artigiani si tendano verso di te, o [[Atena|Minerva]]. Voi, contadini, alzatevi al passaggio di [[Demetra|Cerere]] e del giovane Bacco; ai pugili è caro Pollùce, ai cavalieri Càstore. Io applaudo te, dolce [[Afrodite|Venere]], e gli Amorini signori dell'arco: concedi il tuo assenso alle mie imprese, o dea, e infondi ardire alla mia nuova padrona perché si lasci amare; [[Afrodite|Venere]] ha fatto un cenno di approvazione e con esso mi ha dato presagi favorevoli. Ti prego, prometti anche tu quel che ha promesso la dea; senza offesa per [[Afrodite|Venere]], tu sarai per me una dea ancor più grande. Lo giuro davanti a tanti testimoni e al corteo degli dèi: ti desidero come mia signora per sempre. Ma le tue gambe sono senza sostegno: se ti fa' piacere, puoi appoggiarti con la punta dei piedi fra le travi dello steccato. Ma ecco che nella pista ormai libera del Circo il pretore ha dato il via dalla stessa linea di partenza ai cavalli delle quadrighe: è lo spettacolo più importante. Ho capito per chi fai il tifo; vincerà, chiunque sia a godere delle tue preferenze: perfino i cavalli sembrano sapere quali siano i tuoi desideri. Me infelice, ha preso una curva troppo larga; che fai? L'inseguitore, accostando il carro, sfiora la meta. Che fai, disgraziato? rendi vani i favorevoli auguri della mia donna; tira con mano sicura le redini dalla parte sinistra, te ne scongiuro! Abbiamo dato il nostro sostegno a un incapace. Ma avanti, cittadini, fateli ricominciare e agitando le toghe fate segno da ogni parte. Ecco, li fanno ricominciare; ma, per evitare che il movimento delle toghe ti scompigli i capelli, tu puoi ripararti stringendoti al mio petto. E ormai, aperti i cancelli, si spalancano di nuovo le porte delle scuderie e una schiera variopinta si slancia in avanti sui cavalli che vanno a briglia sciolta. Cerca di vincere almeno questa volta e svetta nello spazio che ti si apre davanti: fa' sì che le mie speranze e quelle della mia donna si realizzino. Le speranze della mia donna si sono realizzate, restano ancora le mie; quello ha conquistato la vittoria, ora devo conquistarla io.
  
 
Si è messa a ridere e parlando con gli occhi mi ha fatto una mezza promessa.
 
Si è messa a ridere e parlando con gli occhi mi ha fatto una mezza promessa.
Riga 20: Riga 20:
 
Questo per ora mi basta: il resto concedimelo altrove.
 
Questo per ora mi basta: il resto concedimelo altrove.
  
E poi va' a credere che gli dèi esistono! Ella è venuta meno alla fede promessa, eppure la sua bellezza è rimasta immutata. Quanto erano lunghi i suoi capelli, quando ancora non aveva spergiurato, tanto sono lunghi ora, dopo che ha offeso gli dèi. Prima era bianca come la neve e il bianco dell'incarnato si tingeva del colore della rosa: ora la medesima tinta rosata risplende sul suo bianco volto. Aveva il piede minuto: minutissimo è rimasto. Era alta e bella: alta e bella rimane. Aveva gli occhi penetranti: ora brillano come stelle e con essi quella spergiura cento volte mi ha tratto in inganno. Si vede che anche gli dèi immortali permettono alle donne di giurare il falso: anche la bellezza è una dea. Ultimamente, mi ricordo, ella ha giurato sui suoi occhi e sui miei: e a patirne sono stati i miei. Rispondete, o dèi: se era stata lei ad ingannarvi e non l'avete punita, perché a subire le conseguenze di una colpa altrui devo essere io? (Eppure non vi ha reso odiosi l'aver ordinato la morte della figlia di Cèfeo per colpa dell'infausta bellezza di sua madre). Non basta che voi siate stati per me testimoni privi di valore e che ella rida a un tempo di me e di voi, che ha ingannato impunemente? Io, che ho subìto l'inganno, sarò dunque la vittima dell'ingannatrice, in modo che ella possa scontare il suo spergiuro attraverso la mia punizione? O quello di dio è un nome senza valore, di cui si ha un'inutile paura e che turba le genti sciocche e credule, oppure, se un qualche dio esiste, si innamora delle giovani donne: allora non c'è da stupirsi che conceda ad esse sole un potere assoluto. Contro noi uomini [[Ares|Marte]] si arma della spada apportatrice di morte, [[Pallade (2)|Pallade]], dalla mano invincibile, scaglia contro di noi la sua lancia, per noi [[Apollo]] incurva l'arco pieghevole, contro di noi il sommo Giove impugna nella destra il fulmine; i celesti, benché offesi, hanno paura di dispiacere alle belle, anzi hanno addirittura timore di chi non ebbe timore di loro. E c'è ancora qualcuno che devotamente si preoccupa di porre incenso sugli altari? Certo gli uomini dovrebbero avere maggior coraggio. Giove col suo fulmine saetta boschi e roccheforti, ma impedisce ai suoi dardi di colpire le spergiure. Tante avrebbero meritato d'essere incenerite: Sèmele sola bruciò miseramente. Trovò il castigo per la sua compiacenza (ma se si fosse sottratta all'amante che veniva da lei, al padre non sarebbe toccato di far da madre a [[Dioniso|Bacco]]). Ma perché mi lamento e rivolgo improperi a tutti quanti i celesti? Anche gli dèi hanno gli occhi, anch'essi hanno un cuore. Io pure, se fossi un dio, consentirei a una donna dalla bocca menzognera di ingannare senza danno la mia maestà divina; io stesso sarei pronto a giurare che le donne hanno giurato il vero e non sarei considerato un dio severo. Ad ogni modo, tu, o donna, fa' un uso più misurato di questo dono degli dèi, o almeno risparmia i miei occhi. O amante crudele, ponendo sotto custodia la tua giovane donna non concludi nulla: ognuna deve essere tutelata dalla propria indole. Se una donna, rimosso il timore, è casta, allora è veramente casta; ma colei che non pecca perché non può, quella pecca. Quand'anche tu ne abbia ben custodito il corpo, col pensiero ti tradisce: non si può sorvegliare la volontà di alcuna donna; ma neppure il corpo puoi preservare, anche se chiudi tutto: quando avrai chiuso tutti fuori, l'amante sarà già entrato. Colei che è libera di tradire, tradisce di meno: la possibilità stessa rende meno vivi gli stimoli del peccato. Dammi ascolto, smetti di sollecitarne le tentazioni con i divieti; le vincerai meglio con la tua condiscendenza. Ho visto or ora con i miei occhi un cavallo galoppare veloce come un lampo resistendo al morso con la bocca ribelle; non appena si accorse che le redini erano state allentate e che le briglie erano rilasciate sulla sua criniera scomposta, si fermò. Ci opponiamo sempre ai divieti e desideriamo quel che ci vien negato: così l'ammalato si protende verso l'acqua che non può bere. Argo aveva cento occhi sulla fronte e cento sulla nuca, eppure Amore da solo spesso sfuggì ad essi; Dànae, che era stata portata vergine in una dimora infrangibile, fatta di ferro e di pietra, divenne madre: [[Penelope]], pur priva di guardiano, restò incontaminata fra tanti giovani pretendenti. Noi desideriamo maggiormente tutto ciò che viene custodito e sono proprio le precauzioni ad attirare il ladro; pochi s'innamorano della donna che l'altro permette di amare. Ella non piace per la sua bellezza, ma per l'amore del suo uomo: pensano che abbia non so quale attrattiva che ti ha conquistato. Colei che l'amante custodisce non diventa onesta, ma come adultera attrae: la paura stessa le conferisce un valore più grande di quello del suo corpo. Sdégnati pure: un amore illecito piace; è attraente soltanto colei che può dire:
+
E poi va' a credere che gli dèi esistono! Ella è venuta meno alla fede promessa, eppure la sua bellezza è rimasta immutata. Quanto erano lunghi i suoi capelli, quando ancora non aveva spergiurato, tanto sono lunghi ora, dopo che ha offeso gli dèi. Prima era bianca come la neve e il bianco dell'incarnato si tingeva del colore della rosa: ora la medesima tinta rosata risplende sul suo bianco volto. Aveva il piede minuto: minutissimo è rimasto. Era alta e bella: alta e bella rimane. Aveva gli occhi penetranti: ora brillano come stelle e con essi quella spergiura cento volte mi ha tratto in inganno. Si vede che anche gli dèi immortali permettono alle donne di giurare il falso: anche la bellezza è una dea. Ultimamente, mi ricordo, ella ha giurato sui suoi occhi e sui miei: e a patirne sono stati i miei. Rispondete, o dèi: se era stata lei ad ingannarvi e non l'avete punita, perché a subire le conseguenze di una colpa altrui devo essere io? (Eppure non vi ha reso odiosi l'aver ordinato la morte della figlia di Cèfeo per colpa dell'infausta bellezza di sua madre). Non basta che voi siate stati per me testimoni privi di valore e che ella rida a un tempo di me e di voi, che ha ingannato impunemente? Io, che ho subìto l'inganno, sarò dunque la vittima dell'ingannatrice, in modo che ella possa scontare il suo spergiuro attraverso la mia punizione? O quello di dio è un nome senza valore, di cui si ha un'inutile paura e che turba le genti sciocche e credule, oppure, se un qualche dio esiste, si innamora delle giovani donne: allora non c'è da stupirsi che conceda ad esse sole un potere assoluto. Contro noi uomini [[Ares|Marte]] si arma della spada apportatrice di morte, [[Pallade (2)|Pallade]], dalla mano invincibile, scaglia contro di noi la sua lancia, per noi [[Apollo]] incurva l'arco pieghevole, contro di noi il sommo Giove impugna nella destra il fulmine; i celesti, benché offesi, hanno paura di dispiacere alle belle, anzi hanno addirittura timore di chi non ebbe timore di loro. E c'è ancora qualcuno che devotamente si preoccupa di porre incenso sugli altari? Certo gli uomini dovrebbero avere maggior coraggio. Giove col suo fulmine saetta boschi e roccheforti, ma impedisce ai suoi dardi di colpire le spergiure. Tante avrebbero meritato d'essere incenerite: Sèmele sola bruciò miseramente. Trovò il castigo per la sua compiacenza (ma se si fosse sottratta all'amante che veniva da lei, al padre non sarebbe toccato di far da madre a Bacco). Ma perché mi lamento e rivolgo improperi a tutti quanti i celesti? Anche gli dèi hanno gli occhi, anch'essi hanno un cuore. Io pure, se fossi un dio, consentirei a una donna dalla bocca menzognera di ingannare senza danno la mia maestà divina; io stesso sarei pronto a giurare che le donne hanno giurato il vero e non sarei considerato un dio severo. Ad ogni modo, tu, o donna, fa' un uso più misurato di questo dono degli dèi, o almeno risparmia i miei occhi. O amante crudele, ponendo sotto custodia la tua giovane donna non concludi nulla: ognuna deve essere tutelata dalla propria indole. Se una donna, rimosso il timore, è casta, allora è veramente casta; ma colei che non pecca perché non può, quella pecca. Quand'anche tu ne abbia ben custodito il corpo, col pensiero ti tradisce: non si può sorvegliare la volontà di alcuna donna; ma neppure il corpo puoi preservare, anche se chiudi tutto: quando avrai chiuso tutti fuori, l'amante sarà già entrato. Colei che è libera di tradire, tradisce di meno: la possibilità stessa rende meno vivi gli stimoli del peccato. Dammi ascolto, smetti di sollecitarne le tentazioni con i divieti; le vincerai meglio con la tua condiscendenza. Ho visto or ora con i miei occhi un cavallo galoppare veloce come un lampo resistendo al morso con la bocca ribelle; non appena si accorse che le redini erano state allentate e che le briglie erano rilasciate sulla sua criniera scomposta, si fermò. Ci opponiamo sempre ai divieti e desideriamo quel che ci vien negato: così l'ammalato si protende verso l'acqua che non può bere. Argo aveva cento occhi sulla fronte e cento sulla nuca, eppure Amore da solo spesso sfuggì ad essi; Dànae, che era stata portata vergine in una dimora infrangibile, fatta di ferro e di pietra, divenne madre: [[Penelope]], pur priva di guardiano, restò incontaminata fra tanti giovani pretendenti. Noi desideriamo maggiormente tutto ciò che viene custodito e sono proprio le precauzioni ad attirare il ladro; pochi s'innamorano della donna che l'altro permette di amare. Ella non piace per la sua bellezza, ma per l'amore del suo uomo: pensano che abbia non so quale attrattiva che ti ha conquistato. Colei che l'amante custodisce non diventa onesta, ma come adultera attrae: la paura stessa le conferisce un valore più grande di quello del suo corpo. Sdégnati pure: un amore illecito piace; è attraente soltanto colei che può dire:
  
 
Ho paura.
 
Ho paura.
Riga 48: Riga 48:
 
Perché ti fai gioco di me? Chi ti obbligava, insensato, a coricarti nel mio letto, se non ne avevi voglia? O una maga di [[Eea]] ti tiene in suo potere avendo trafitto la tua immagine, oppure giungi spossato dall'amore di un'altra.
 
Perché ti fai gioco di me? Chi ti obbligava, insensato, a coricarti nel mio letto, se non ne avevi voglia? O una maga di [[Eea]] ti tiene in suo potere avendo trafitto la tua immagine, oppure giungi spossato dall'amore di un'altra.
  
E, senza porre indugio, saltò giù, appena coperta dalla tunica slacciata (ed era bella mentre balzava fuori a piedi nudi), e, perché le sue ancelle non potessero capire che io non l'avevo toccata, nascose questa umiliazione lavandosi. E qualcuno ammira ancora le arti liberali o pensa che le poesie d'amore abbiano qualche pregio? Un tempo il talento poetico valeva più dell'oro, ma ora essere nullatenenti è segno di grande inciviltà. Dopo che i miei libretti di poesie sono molto piaciuti alla mia donna, dove a loro è stato concesso di entrare, a me non è concesso; dopo avermi colmato di lodi, ha chiuso me e le mie lodi fuori della porta: con tutto il mio talento io vado girando indegnamente qua e là. Ecco, a me viene preferito un neo-ricco, un cavaliere che si è abbeverato di sangue e che ha raggiunto la dignità equestre grazie alle sue ferite. E tu, amor mio, hai cuore di stringere costui fra le tue belle braccia? Hai cuore, amor mio, di abbandonarti al suo abbraccio? Se non lo sai, quel capo era avvezzo a indossare un elmo e al fianco, che è al tuo servizio, era cinta una spada; la mano sinistra, a cui ora poco si addice un tardivo anello di cavaliere, reggeva uno scudo; toccagli la destra: è stata intrisa di sangue. E tu puoi toccare questa destra per cui qualcuno perse la vita? Ahimè, dov'è finita la tua sensibilità? Guarda le cicatrici, segni di una passata battaglia: tutto quel che possiede, l'ha acquistato pagando col proprio corpo. Forse egli ti svelerà quanti uomini ha sgozzato: e tu, cupida, dopo una simile confessione tocchi quelle mani? Ed io, vate incontaminato delle [[Muse]] e di [[Apollo]], recito un'inutile poesia davanti a una porta impenetrabile. Voi, che avete senno, imparate non le nostre arti di oziosi, ma come seguire le schiere che corrono disordinate e i crudeli accampamenti e invece di allineare versi, allineate la prima fila: se tu combattessi, Omero, ti si potrebbe concedere una notte. Giove, consapevole che nulla ha più potere dell'oro, divenne egli stesso il compenso della fanciulla sedotta. Finché mancava una contropartita, il padre restava rigido, lei stessa insensibile, i battenti di [[bronzo]], la torre di ferro; ma quando lo scaltro seduttore si presentò sotto forma di dono, fu lei stessa ad offrire il grembo e, invitata a concedersi, si concesse. Ma quando il regno del cielo apparteneva al vecchio Saturno, la terra nascondeva nel profondo delle tenebre ogni ricchezza: aveva spinto verso gli Inferi il [[bronzo]] e l'argento e le grandi masse d'oro e di ferro, e nessuno ne faceva tesoro. Essa però aveva di meglio da offrire: messi senza far uso del vomere ricurvo, frutta e miele, trovato nel cavo di una quercia. Eppure nessuno fendeva la terra con un robusto aratro, né l'agrimensore delimitava i terreni con alcun confine. Nessuno solcava i flutti che si sollevano immergendovi il remo: a quei tempi per l'uomo la spiaggia era il limite estremo del cammino. O natura umana, ti adoperasti contro te stessa e fosti troppo intelligente a tuo danno. A che ti giovò circondare le città di mura e di torri, a che spingere alle armi mani nemiche? Che cosa avevi a che fare col mare? Avresti dovuto accontentarti della terraferma. Perché non conquisti come terzo regno anche il cielo? Per quanto ti è possibile, aspiri anche al cielo: Romolo, [[Dioniso|Bacco]], Ercole ed ora anche Cesare hanno un loro tempio. Dal suolo anziché biade caviamo fuori oro massiccio; i soldati sono padroni di ricchezze acquisite col sangue; il senato è precluso ai poveri, è il capitale che permette di ricoprire una carica: esso crea l'autorevole giudice; esso l'austero cavaliere. Siano pur padroni di tutto: agli uni obbedisca servilmente il Campo di [[Ares|Marte]] e il Fòro, gli altri amministrino la pace e le guerre feroci; purché non tentino, cùpidi, di comperare con il loro denaro la mia donna e consentano che anche il povero possieda qualcosa (tanto mi basta). Ma oggi, quand'anche una donna eguagliasse in austerità le Sabine, chi può farle molti doni le dà ordini come a una schiava. Quanto a me, il guardiano mi allontana, la donna, se ci son io, ha paura del marito; ma se metterò mano alla borsa, marito e guardiano mi lasceranno campo libero. Oh, se un dio, vendicatore degli amanti trascurati, riducesse in polvere ricchezze tanto malamente acquisite!
+
E, senza porre indugio, saltò giù, appena coperta dalla tunica slacciata (ed era bella mentre balzava fuori a piedi nudi), e, perché le sue ancelle non potessero capire che io non l'avevo toccata, nascose questa umiliazione lavandosi. E qualcuno ammira ancora le arti liberali o pensa che le poesie d'amore abbiano qualche pregio? Un tempo il talento poetico valeva più dell'oro, ma ora essere nullatenenti è segno di grande inciviltà. Dopo che i miei libretti di poesie sono molto piaciuti alla mia donna, dove a loro è stato concesso di entrare, a me non è concesso; dopo avermi colmato di lodi, ha chiuso me e le mie lodi fuori della porta: con tutto il mio talento io vado girando indegnamente qua e là. Ecco, a me viene preferito un neo-ricco, un cavaliere che si è abbeverato di sangue e che ha raggiunto la dignità equestre grazie alle sue ferite. E tu, amor mio, hai cuore di stringere costui fra le tue belle braccia? Hai cuore, amor mio, di abbandonarti al suo abbraccio? Se non lo sai, quel capo era avvezzo a indossare un elmo e al fianco, che è al tuo servizio, era cinta una spada; la mano sinistra, a cui ora poco si addice un tardivo anello di cavaliere, reggeva uno scudo; toccagli la destra: è stata intrisa di sangue. E tu puoi toccare questa destra per cui qualcuno perse la vita? Ahimè, dov'è finita la tua sensibilità? Guarda le cicatrici, segni di una passata battaglia: tutto quel che possiede, l'ha acquistato pagando col proprio corpo. Forse egli ti svelerà quanti uomini ha sgozzato: e tu, cupida, dopo una simile confessione tocchi quelle mani? Ed io, vate incontaminato delle [[Muse]] e di [[Apollo]], recito un'inutile poesia davanti a una porta impenetrabile. Voi, che avete senno, imparate non le nostre arti di oziosi, ma come seguire le schiere che corrono disordinate e i crudeli accampamenti e invece di allineare versi, allineate la prima fila: se tu combattessi, Omero, ti si potrebbe concedere una notte. Giove, consapevole che nulla ha più potere dell'oro, divenne egli stesso il compenso della fanciulla sedotta. Finché mancava una contropartita, il padre restava rigido, lei stessa insensibile, i battenti di [[bronzo]], la torre di ferro; ma quando lo scaltro seduttore si presentò sotto forma di dono, fu lei stessa ad offrire il grembo e, invitata a concedersi, si concesse. Ma quando il regno del cielo apparteneva al vecchio Saturno, la terra nascondeva nel profondo delle tenebre ogni ricchezza: aveva spinto verso gli Inferi il [[bronzo]] e l'argento e le grandi masse d'oro e di ferro, e nessuno ne faceva tesoro. Essa però aveva di meglio da offrire: messi senza far uso del vomere ricurvo, frutta e miele, trovato nel cavo di una quercia. Eppure nessuno fendeva la terra con un robusto aratro, né l'agrimensore delimitava i terreni con alcun confine. Nessuno solcava i flutti che si sollevano immergendovi il remo: a quei tempi per l'uomo la spiaggia era il limite estremo del cammino. O natura umana, ti adoperasti contro te stessa e fosti troppo intelligente a tuo danno. A che ti giovò circondare le città di mura e di torri, a che spingere alle armi mani nemiche? Che cosa avevi a che fare col mare? Avresti dovuto accontentarti della terraferma. Perché non conquisti come terzo regno anche il cielo? Per quanto ti è possibile, aspiri anche al cielo: Romolo, Bacco, Ercole ed ora anche Cesare hanno un loro tempio. Dal suolo anziché biade caviamo fuori oro massiccio; i soldati sono padroni di ricchezze acquisite col sangue; il senato è precluso ai poveri, è il capitale che permette di ricoprire una carica: esso crea l'autorevole giudice; esso l'austero cavaliere. Siano pur padroni di tutto: agli uni obbedisca servilmente il Campo di [[Ares|Marte]] e il Fòro, gli altri amministrino la pace e le guerre feroci; purché non tentino, cùpidi, di comperare con il loro denaro la mia donna e consentano che anche il povero possieda qualcosa (tanto mi basta). Ma oggi, quand'anche una donna eguagliasse in austerità le Sabine, chi può farle molti doni le dà ordini come a una schiava. Quanto a me, il guardiano mi allontana, la donna, se ci son io, ha paura del marito; ma se metterò mano alla borsa, marito e guardiano mi lasceranno campo libero. Oh, se un dio, vendicatore degli amanti trascurati, riducesse in polvere ricchezze tanto malamente acquisite!
  
 
Se la madre pianse Mèmnone, se la madre pianse Achille, e un fato doloroso suscita commozione anche nelle grandi dèe, tu, che non lo meriti, o Elegia, sciogli piangendo i tuoi capelli: ahimè, ora il tuo nome risponderà troppo alla realtà! Il celebre cantore delle tue poesie, la tua gloria, Tibullo, ormai corpo senza vita, brucia sul rogo innalzato per lui. Ecco il figlio di [[Afrodite|Venere]] con la faretra rovesciata e l'arco spezzato e la fiaccola spenta; guarda come avanza mesto con le ali abbassate e come si strazia il petto percuotendolo con mano ostile. I suoi capelli sciolti sul collo sono intrisi di lacrime e con la bocca tremante non fa' che singhiozzare. Così narrano che egli sia uscito dal tuo palazzo, o bellissimo Iulo, per il funerale di suo fratello [[Enea]]. Anche [[Afrodite|Venere]] non è meno turbata per la morte di Tibullo di quando il cinghiale selvaggio squarciò il ventre al giovane [[Adone]]. E dire che noi poeti siamo definiti venerandi cantori, protetti degli dèi, e qualcuno pensa che abbiamo un sacro potere. Ma naturalmente la crudele morte non rispetta nulla di consacrato; essa pone le sue nere mani su ogni cosa. A che cosa giovarono al tracio Òrfeo il padre e la madre, a che cosa il fatto che al suo canto gli animali selvaggi restassero vinti e incantati? Si racconta che nella profondità delle selve anche per Lino il padre [[Apollo]] abbia cantato sull'afflitta cetra un canto lamentoso. Aggiungi il poeta meonio dal quale, come da una fonte perenne, le labbra dei poeti sono irrorate con l'acqua delle [[Muse]]; il giorno estremo fece sprofondare anche lui nelle tenebre dell'oltretomba; soltanto la poesia sfugge alle avide brame del rogo. Duratura, opera dei poeti, resta la fama dell'assedio di [[Troia]] e della lenta tessitura della tela, disfatta di notte con l'inganno. Così Némesi e Delia, l'una nuova passione, l'altra primo amore, saranno a lungo famose. A che servono i vostri sacri riti? A che giovano ora i sistri egizi? A che l'aver dormito sole nel letto vuoto? Quando chi è buono ci viene strappato da un destino crudele (perdonate questa mia confessione), io son portato a credere che gli dèi non esistono. Conduci pure una vita da santo: da santo morirai; celebra i sacri culti: mentre li stai celebrando, la morte crudele ti trascinerà dai templi nel profondo di un sepolcro. Abbi fiducia nella bellezza dei componimenti poetici: ecco, Tibullo è morto; una piccola urna contiene quello che resta di un così grande poeta. Le fiamme del rogo ti hanno dunque ghermito, venerando cantore, e non hanno esitato a cibarsi del tuo cuore? Avrebbero potuto distruggere i templi d'oro degli dèi beati, esse che hanno osato macchiarsi di simile sacrilegio! La dea signora della rocca di Èrice ha distolto lo sguardo; qualcuno dice anche che non ha saputo trattenere le lacrime. Meglio così, comunque, che se, sconosciuto, tu fossi stato seppellito nel paese dei [[Feaci]], in una terra priva per te di valore. Qui, almeno, mentre morivi tua madre ti ha chiuso gli occhi bagnati di pianto ed ha portato un estremo omaggio alle tue ceneri; qui a condividere il dolore della povera madre è venuta la sorella che, scarmigliata, si andava lacerando i capelli, e Némesi e Delia, il tuo primo amore, unirono i loro baci con quelli dei tuoi cari e non lasciarono il tuo rogo nella solitudine. Delia allontanandosi disse:
 
Se la madre pianse Mèmnone, se la madre pianse Achille, e un fato doloroso suscita commozione anche nelle grandi dèe, tu, che non lo meriti, o Elegia, sciogli piangendo i tuoi capelli: ahimè, ora il tuo nome risponderà troppo alla realtà! Il celebre cantore delle tue poesie, la tua gloria, Tibullo, ormai corpo senza vita, brucia sul rogo innalzato per lui. Ecco il figlio di [[Afrodite|Venere]] con la faretra rovesciata e l'arco spezzato e la fiaccola spenta; guarda come avanza mesto con le ali abbassate e come si strazia il petto percuotendolo con mano ostile. I suoi capelli sciolti sul collo sono intrisi di lacrime e con la bocca tremante non fa' che singhiozzare. Così narrano che egli sia uscito dal tuo palazzo, o bellissimo Iulo, per il funerale di suo fratello [[Enea]]. Anche [[Afrodite|Venere]] non è meno turbata per la morte di Tibullo di quando il cinghiale selvaggio squarciò il ventre al giovane [[Adone]]. E dire che noi poeti siamo definiti venerandi cantori, protetti degli dèi, e qualcuno pensa che abbiamo un sacro potere. Ma naturalmente la crudele morte non rispetta nulla di consacrato; essa pone le sue nere mani su ogni cosa. A che cosa giovarono al tracio Òrfeo il padre e la madre, a che cosa il fatto che al suo canto gli animali selvaggi restassero vinti e incantati? Si racconta che nella profondità delle selve anche per Lino il padre [[Apollo]] abbia cantato sull'afflitta cetra un canto lamentoso. Aggiungi il poeta meonio dal quale, come da una fonte perenne, le labbra dei poeti sono irrorate con l'acqua delle [[Muse]]; il giorno estremo fece sprofondare anche lui nelle tenebre dell'oltretomba; soltanto la poesia sfugge alle avide brame del rogo. Duratura, opera dei poeti, resta la fama dell'assedio di [[Troia]] e della lenta tessitura della tela, disfatta di notte con l'inganno. Così Némesi e Delia, l'una nuova passione, l'altra primo amore, saranno a lungo famose. A che servono i vostri sacri riti? A che giovano ora i sistri egizi? A che l'aver dormito sole nel letto vuoto? Quando chi è buono ci viene strappato da un destino crudele (perdonate questa mia confessione), io son portato a credere che gli dèi non esistono. Conduci pure una vita da santo: da santo morirai; celebra i sacri culti: mentre li stai celebrando, la morte crudele ti trascinerà dai templi nel profondo di un sepolcro. Abbi fiducia nella bellezza dei componimenti poetici: ecco, Tibullo è morto; una piccola urna contiene quello che resta di un così grande poeta. Le fiamme del rogo ti hanno dunque ghermito, venerando cantore, e non hanno esitato a cibarsi del tuo cuore? Avrebbero potuto distruggere i templi d'oro degli dèi beati, esse che hanno osato macchiarsi di simile sacrilegio! La dea signora della rocca di Èrice ha distolto lo sguardo; qualcuno dice anche che non ha saputo trattenere le lacrime. Meglio così, comunque, che se, sconosciuto, tu fossi stato seppellito nel paese dei [[Feaci]], in una terra priva per te di valore. Qui, almeno, mentre morivi tua madre ti ha chiuso gli occhi bagnati di pianto ed ha portato un estremo omaggio alle tue ceneri; qui a condividere il dolore della povera madre è venuta la sorella che, scarmigliata, si andava lacerando i capelli, e Némesi e Delia, il tuo primo amore, unirono i loro baci con quelli dei tuoi cari e non lasciarono il tuo rogo nella solitudine. Delia allontanandosi disse:

Per favore tieni presente che tutti i contributi a Il Crepuscolo degli Dèi possono essere modificati, stravolti o cancellati da altri contributori. Se non vuoi che i tuoi testi possano essere alterati, allora non inserirli.
Inviando il testo dichiari inoltre, sotto tua responsabilità, che è stato scritto da te personalmente oppure è stato copiato da una fonte di pubblico dominio o similarmente libera (vedi Il Crepuscolo degli Dèi:Copyright per maggiori dettagli). Non inviare materiale protetto da copyright senza autorizzazione!

Annulla Guida (si apre in una nuova finestra)