Ifigenia in Tauride

IFIGENIA IN TAURIDE
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Titolo orig.: -
Autore: Euripide
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Sezione: Mitologia Greca
Anno: 414 a.C.
Tipo: Fonti Antiche
Genere: Tragedie
Subgenere: {{{subgenere}}}
Lingua orig.: Greco antico
In Biblioteca: Si
Traduzione: Italiano

Ifigenia in Tauride (Iφιγένεια ἡ ἐν Ταύροις) è una tragedia di Euripide. Alcuni pongono la sua prima rappresentazione nel 414 a.C., altri nel 411 a.C. o nel 409 a.C..

TRAMA[modifica]

Al momento del sacrificio, Ifigenia viene miracolosamente trasportata in Tauride, dove diviene sacerdotessa di Artemide, ministra di un rito atroce: ogni straniero approdato laggiù deve essere sacrificato alla dea. Sopraggiungono Pilade ed Oreste che Ifigenia, a causa di un sogno presago, credeva morto, Oreste è ancora perseguitato dalle Erinni ed è stato inviato in quella terra per rapire il simulacro di Artemide e riportarlo in Attica. Un mandriano racconta come i due siano stati scoperti e catturati. Quindi c'è la scena del riconoscimento tra Ifigenia ed Oreste e la fuga organizzata per raggirare Toante, favorita dall'intervento di Atena, che permette ai fuggitivi di tornare in patria.

STRUTTURA[modifica]

La tragedia sembra essere divisa in due grandi parti separate dalla scena del riconoscimento: una prima parte (“lenta” e “piatta”), in cui due grandi monologhi drammatici aumentano il "pathos" alla narrazione, e una seconda parte (più psicologica e brillante), in cui si assiste all'elaborazione del piano per raggiungere la salvezza e l'espiazione.
La vicenda è tutta retta dagli dei e tutto ruota attorno a figure divine: lo scopo del viaggio è dettato da Apollo, la meta è una terra (e un tempio) di Artemide, e uno dei personaggi principali (Ifigenia) è una sacerdotessa. Una tragedia così ricca di spunti religiosi era molto suggestiva e apprezzata: il pubblico si identificava in questi personaggi colpiti da sorte divina avversa e riuscivano a giustificare ogni male nella loro vita. Gli spettatori, vedendo tragedie come questa, elaboravano anche una buona opinione delle loro terra; infatti, Euripide descrive le terre lontane (popolate dai “barbari” – non greci) come selvaggi, crudeli, primitivi luoghi di convivenza incivile.
La tragedia si apre con un monologo (lungo 66 versi) in cui Ifigenia, sola in scena, descrive la situazione e mette gli spettatori al corrente degli antefatti. Parla della sua storia, delle sue vicende, del passato e del presente. Una prima interessante immagine è quella del sogno: la protagonista ricorda quando “la notte è venuta recando visioni strane” e racconta il sogno interpretandolo univocamente come se le immagini evocate nella sua mente fossero corrette, certe, sicure. Il sogno è un motivo drammaturgico importante e abbastanza ricorrente: consente raccordi temporali e spaziali con fatti remoti o fuori scena, e consente di filtrare la violenza attraverso allusioni moltiplicatrici degli eventi drammatici. In questo caso il sogno ha la funzione di legare la storia di Ifigenia e quella di Oreste, spiegando il polo taurico e quello greco (contrapposti).
La tragedia continua con l'ingresso in scena del coro che, “dialogando” con Ifigenia, annuncia l'arrivo di un mandriano: questo personaggio ricopre la figura del messaggero preposto all'annuncio di avvenimenti accaduti fuori scena; l'uomo descrive la cattura dei due giovani stranieri e, su ordine della donna li conduce al tempio. L'incontro tra i due fratelli è l'inizio di un lungo processo di riconoscimento tipico della tragedia: lunghe sticomitie e monologhi brevi permettono il riconoscimento. Il dialogo, strutturato con un intenso botta e risposta (più di cento versi alternati tra l'uno e l'altro personaggio), crea un'atmosfera frenetica e agitata che poi si risolverà con l'agnizione dei due parenti. Tramite domande incrociate e verifiche accurate, i due si convincono della parentela e, da "straniero", Oreste entra nel cuore della sorella come "amata".
Il riconoscimento permette l'inizio di una seconda parte della tragedia: finisce la sezione “religiosa" ed inizia la sezione più vivace in cui lo scopo è la fuga e il mezzo è l'astuzia.

IL TESTO[modifica]

Per visualizzare il testo integrale vai a Biblioteca:Euripide, Ifigenia in Tauride