Arabia

SCHEDA
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IDENTITÀ
Nome orig.: -
Altri nomi: Pancaia
Etimologia: -
Sesso: Neutro
Genitori: [[]] e [[]]
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Fratelli/Sorelle:
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LOCALIZZAZIONE
Sezione: Mitologia Classica
Continente: Europa
Area: Mediterraneo
Paese: Grecia
Regione: [[{{{regione}}}]]
Provincia: [[{{{provincia}}}]]
Città: [[{{{citta}}}]]
Origine: Greci
CLASSIFICAZIONE
Tipologia: Luoghi
Sottotipologia: Luoghi Naturali
Specificità: Regioni
Subspecifica: -
CARATTERI
Aspetto:
Indole: -
Elemento:
Habitat:
ATTRIBUTI
Fisici
Animali
Vegetali
Minerali
Alimenti
Colori
Numeri
Armi
Abbigliamento
Altri
Personaggi
TEMATICHE

Nell’antichità con questo nome si indicavano non soltanto i territori corrispondenti all’attuale penisola arabica, ma anche numerose regioni limitrofe, le cui popolazioni conducevano vita nomade. A quest’area remota e affascinante dai confini incerti e oscillanti si attribuivano peculiarità che contribuivano a conferirle un’aura mitica. Terra di tutti i prodigi, patria di animali straordinari e di piante dalle essenze misteriose.

ORIGINE[modifica]

Talvolta nelle fonti antiche l’Arabia è indicata anche con il nome di Pancaia, che propriamente si riferisce a un’isola posta non lontano dalle sue coste: così, per esempio, Virgilio menziona la «Pancaia con i suoi deserti pingui d’incenso»[1] e Tibullo fa allusione alla «ricca Pancaia.</ref>Tibullo, Libro III, 2, 23</ref>
La parte della penisola arabica corrispondente all’attuale Yemen era indicata dagli antichi con la definizione di «terre di Saba», mentre la «regione detta Arabia Felice» è ricordata da Plinio in relazione con Petra, dove arriva il deserto di Palmira[2].

ETIMOLOGIA[modifica]

Quanto al toponimo, l’Arabia «è stata così chiamata in quanto sacra: è questo infatti il significato del termine» secondo Isidoro di Siviglia, che non manca di sottolineare a sua volta l’abbondanza di incenso e di piante profumate che crescono nella regione[3]. In realtà sembra che l’origine dell’espressione «Arabia Felice» derivi da un’erronea interpretazione, prima greca e poi latina, di un termine arabo, yemen o haiman, che significa «sud» e che indicava per l’appunto la parte meridionale della penisola arabica, oggi Yemen; la parola venne tradotta erroneamente con «felice», complice anche la descrizione che alcune fonti (a partire da Erodoto) davano della regione: un paradiso terrestre pieno di essenze e di profumi meravigliosi e dal clima perfetto, oltre che teatro di notevoli prodigi[4]. Ammiano Marcellino può quindi scrivere che «l’Arabia Felice [è] così chiamata perché trabocca al tempo stesso di prodotti della terra e dell’allevamento […] e di ogni sorta di soavi profumi»[5]. Ma non sempre, come ricordano altre fonti, la regione aveva goduto di una simile benedizione del cielo: «l’Arabia, che viene chiamata Felice ai giorni nostri», cioè all’epoca omerica, «ben lungi dall’essere ricca, era un paese privo di risorse, che aveva per città degli accampamenti di tende; non c’è che una piccola parte della regione che produce delle spezie, ed è questa che ha fatto dare questa definizione al paese intero, per il fatto che, presso di noi, questa merce è rara e preziosa» [6].

FAUNA[modifica]

«In quella regione il terreno era assolutamente pianeggiante, uniforme come il mare, e pieno di assenzio; ogni altra pianta o canna che vi crescesse era profumata come le piante aromatiche. Non vi erano però alberi. Vi erano invece animali di ogni specie» dice Senofonte.[7]
La fenice, mitico uccello di cui Plinio riteneva esistesse un unico esemplare [8] e che ogni cinquecento anni portava a Eliopoli le spoglie del padre morto per poi rinascere dalle proprie ceneri.
Vi erano poi misteriosi serpenti alati, che venivano però messi in fuga e uccisi dagli ibis, volatili che per questo motivo erano ritenuti sacri dagli Egizi[9]. Tali serpenti alati, di piccole dimensioni e di svariati colori, custodivano secondo la tradizione gli alberi che producevano l’incenso; per raccogliere quest’ultimo era necessario allontanare i serpenti, e l’unico modo per farlo era bruciare lo storace, una specie di gomma resinosa.[10] Eccezionalmente prolifici, questi rettili alati si riproducono in modo diverso da tutti gli altri serpenti: nel momento in cui il maschio e la femmina si accoppiano, la femmina addenta il suo compagno alla gola e lo divora. «Il maschio muore così, ma la femmina paga a sua volta la morte del maschio nel modo seguente: vendicando il loro padre, i piccoli, quando sono ancora nel ventre della madre, ne divorano l’utero, ed è appunto divorandone le viscere che si aprono una via di uscita».[11]
L’Arabia era considerata poi patria di numerosi animali ibridi, tra i quali si mescolavano creature reali e immaginarie, dai camelopardi agli struzzi, ritenuti questi ultimi un incrocio di un volatile come l’oca e di un cammello, del quale avrebbero le dimensioni e la forma degli occhi e più in generale della testa.[12]

FLORA[modifica]

Stupefacente era il modo in cui gli Arabi raccoglievano la cassia: «Si coprono di pelli di bue e di altri animali tutto il corpo e il viso, tranne gli occhi, e poi vanno in cerca della cassia: la pianta cresce in un lago poco profondo, ma sul lago e nei dintorni vivono degli animali alati, assai simili ai pipistrelli, i quali lanciano strida terribili e oppongono un’accanita resistenza; bisogna raccogliere la cassia tenendoli lontani dagli occhi».[13]
Anche il cinnamomo era ricercato dagli Arabi e procurato con un astuto procedimento: «Raccontano che sarebbero dei grandi uccelli a trasportare i fuscelli che noi, con un termine appreso dai Fenici, chiamiamo cinnamomo: li trasporterebbero per la costruzione dei loro nidi, fatti di fango a ridosso di monti scoscesi, assolutamente inaccessibili all’uomo». Per raggiungerli e procurarsi quelle essenze preziose gli Arabi lasciano ai piedi dei nidi dei grossi pezzi di animali squartati, di cui gli uccelli si cibano: essi si calano sulle prede e le portano al nido, ma essendo esse molto pesanti quest’ultimo si spezza e precipita al suolo, rendendo così facile raccoglierne i preziosi frammenti.[14]
Il ledano, o ladano, infine, ultima essenza profumata di questo paese dal quale «esala un profumo di una meravigliosa dolcezza», «si trova nella barba dei caproni, dove si attacca come se fosse vischio quando attraversano la boscaglia. Viene usato per preparare molti unguenti ed è l’aroma che gli Arabi bruciano più di ogni altro».[15]
Plinio obietta che «gli Arabi non hanno né il cinnamomo né la cannella e nondimeno l’Arabia è detta Felice, un epiteto falso e pieno di ingratitudine, che fa passare per dono degli dèi celesti quello di cui la regione è piuttosto debitrice verso le potenze infernali»; la fortuna della regione «l’ha fatta il lusso degli uomini che arriva fino alla morte e fa bruciare per i defunti quei prodotti che prima si intendevano creati per gli dèi», come il cinnamomo e la cannella[16]. Nella regione, e più precisamente nei luoghi di essa in cui era stato allevato Dioniso, cinnamomo e cannella si trovavano in abbondanza nei nidi degli uccelli, e soprattutto in quello della mitica fenice; si riteneva anche che la cannella crescesse intorno alle paludi dell’Arabia e che venisse difesa con le unghie da una terribile specie di pipistrelli e da serpenti alati; con queste favole, osserva maliziosamente Plinio, si aumentava il prezzo della merce.[17] Così come favolosa, ai suoi occhi, appare un’altra diceria relativa all’Arabia, quella secondo la quale «sotto i raggi del sole di mezzogiorno si solleva da tutta la penisola una sorta di profumo indescrivibile, formato dall’accordo delle varie specie di profumi che porta il soffio della brezza».[18]

MITO[modifica]

L’«Arabia ricca di palme» è menzionata da Ovidio nelle Metamorfosi[19] tra le terre che percorre Mirra, l’eroina protagonista di un sinistro mito accanto al padre Cinira, con il quale essa si unì in un amore incestuoso: dal loro connubio nacque il bellissimo Adone, mentre Mirra, implorando gli dèi di permetterle di «non profanare vivendo i vivi, e morta i trapassati», ottenne che le venisse negata «vita e morte», trasformandosi in qualcos’altro: gli dèi la mutarono infatti nell’albero della mirra, dal cui tronco «trasudano tiepide gocce» dell’essenza che da lei prende il nome.[20]
Ovidio ricorda anche che la terra degli «Arabi che raccolgono l’incenso» viene attraversata da Demetra, madre di Persefone, durante la sua disperata peregrinazione alla ricerca della figlia, rapita dal dio degli Inferi nelle campagne vicino a Enna.[21]
Divinità connessa con l’Arabia è anche Dioniso, che secondo alcune fonti vi ebbe i natali (qui potrebbe infatti trovarsi la località di Nisa dove egli venne alla luce) e vi passò durante i suoi lunghi viaggi in Oriente, spiegati come fuga dalla collera di Era che lo inseguiva.
Raccontando la storia della rissa che si scatena alle nozze di Perseo con Andromeda, Ovidio precisa che tra i combattenti abbattuti da Perseo figura anche un Echemmone che proviene dal territorio dei Nabatei.[22] Alcune delle popolazioni confinanti con quelle dei Nabatei, di cui Petra era capitale, erano messe dalla tradizione in relazione con Minosse, re di Creta (per esempio i Minei, che secondo alcuni ne erano i discendenti) e con il fratello di lui Radamanto (i Radamei).[23]

CORRELAZIONI[modifica]

Voci[modifica]

Nome Tipologia Origine Sesso
Adone Umani Greci Maschio
Demetra Divinità Greci Femmina
Era Divinità Greci Femmina
Mirra Umani Greci Femmina
Perseo (1) Semidèi Greci Maschio
Potamoi Divinità Greci Maschio

Pagine[modifica]

BIBLIOGRAFIA[modifica]

Fonti Antiche[modifica]

Fonti Moderne[modifica]


ATTENZIONE: Nessun risultato.

NOTE[modifica]

  1. Virgilio, Georgiche, Libro II
  2. Plinio, Storia Naturale, V, 87
  3. Isidoro di Siviglia, Etimologie, XIV, 15
  4. Strabone, Geografia, XIV#9
  5. Strabone, Geografia, XXIII, 6, 45
  6. Strabone, Geografia, I, 2, 32
  7. Senofonte, Anabasi, I, 5#1
  8. Plinio, Storia Naturale, X, 3
  9. Erodoto, Storie, II#75
  10. Erodoto, Storie, III#107
  11. Erodoto, Storie, III#109
  12. Diodoro Siculo, Biblioteca Storica, II, 50, 3-7)
  13. Erodoto, Storie, III#110
  14. Erodoto, Storie, III#111
  15. Erodoto, Storie, III#113
  16. Plinio, Storia Naturale, XII, 82
  17. Plinio, Storia Naturale, XII, 85
  18. Plinio, Storia Naturale, XII, 86
  19. Ovidio, Metamorfosi, Libro X
  20. Ovidio, Metamorfosi, Libro X
  21. Ovidio, Fasti, IV, 569
  22. Ovidio, Metamorfosi, Libro V
  23. Plinio, Storia Naturale, VI, 157-158