Utnapishtim

Figlio di Ubara-Tutu, può essere considerato il Noè dei Sumeri. Quando Enlil decise di sterminare il genere umano, Ea (secondo altre leggende Shamash) gli ordinò di costruire un’arca cubica di novanta metri di lato, su cui imbarcare la sua parentela, gli animali e i suoi beni. Dopo sei giorni e sette notti di diluvio, l’arca si arenò sul monte Nissur. Sette giorni dopo, Utnapishtim lasciò libere prima una colomba, poi una rondine, che però fecero ritorno non avendo trovato terra asciutta dove posarsi. Infine il corvo non tornò, e Utnapishtim e i suoi parenti uscirono dall’arca e sacrificarono agli dèi, che accorsero al sacrificio. Tuttavia Enlil, vedendo che qualcuno era sopravvissuto, si adirò, ma poi, ai rimproveri degli altri dèi, si placò e donò l’immortalità a Utnapishtim e a sua moglie. Da lui si recherà Gilgamesh, cercando invano di ottenere l’immortalità. Così, nella tavola XI dell’epopea di Gilgamesh (circa 2400 a.C.), è narrata in prima persona da Utnapishtim la storia del diluvio:


La nave fu pronta il settimo giorno.
Faticosa fu la nave da caricare:
portar pesi bisognava su passerelle in alto e in basso,
finché la nave non galleggiò immersa per due terzi.
Tutti i miei averi vi caricai:
quanto avevo d'argento, vi caricai;
quanto avevo d'oro, vi caricai;
quanto avevo di seme vitale, vi caricai.
Feci salire a bordo la mia famiglia e schiatta,
selvaggina del campo, animali del campo;
vi feci entrare tutti i figli dei maestri.
Il termine che Samas m'aveva posto
(«Quando colui ch'è causa del crepuscolo di sera,
farà piovere grandine,
allora entra nella nave e serra la porta!»),
questo termine venne:
colui ch'è causa del crepuscolo di sera,
fece piovere grandine.
Osservai il cielo:
il cielo era terribile da vedersi.
Entrai nella nave e serrai la porla.
Al timoniere Pusur-Amurri, custode della nave,
consegnai la casa galleggiante con quanto conteneva.
Al primo albeggiare del giorno,
nere nubi salirono dal fondo del cielo.
In esse tuona Adad,
lo precedono Shullat e Chanish,
suoi araldi, per monti e pianure.
Eragal strappa il palo d'ancoraggio,
Nimurta scatena la corrente.
Gli Annunaki sollevarono fiaccole
per infiammare la terra con spaventoso splendore.
Angoscia pervase il cielo a causa di Adad,
ogni chiarore in tenebre si mutò;
come una pentola si ruppe la vasta terra.
Un giorno intero soffiò il vento dal sud,
soffiò per immergere i monti nell'acqua.


(...)


Per sei giorni e sette notti
persistono il vento, il diluvio.
Dopo d'aver come un esercito combattuto,
il mare si placò,
cessarono l'uragano e il diluvio.
Allora aprii uno sportello, luce m'irrorò il volto.
Osservai il cielo: silenzio attorno
e la stirpe umana fattasi terra!
Liscia come un tetto era la palude.
Allora m'inginocchiai piangendo,
lagrime scesero per le mie gote.
Scrutai se vi fossero rive nella distesa del mare:
sorse un'isola di dodici cubiti per dodici.
L'abbrivo portò la nave al monte Nissur.
Il monte Nissur trattenne ferma la nave;
un giorno, un altro giorno il monte Nissur trattenne ferma la nave.
Un terzo giorno, un quarto il monte Nissur trattenne ferma la nave,
un quinto giorno, un sesto il monte Nissur trattenne ferma la nave.
Quand'ecco, venuto il settimo giorno,
feci uscire una colomba:
la colomba volò via e poi tornò:
non v’era posto per posarsi, così tornò.
Feci uscire una rondine:
la rondine volò via e poi tornò:
non v'era posto per posarsi, così tornò.
Feci uscire un corvo:
anche il corvo volò via; vedendo dove l'acqua stava scemando,
mangiò frugò gracchiò e non fece ritorno.
Allora lasciai uscire tutti quanti ai quattro venti; apparecchiai un sacrificio,
una libagione offersi sulla cima del monte:
sette vassoi e sette posai
su legno di cedro, mirto e canne.
Gli dèi sentirono la fragranza,
gli dèi sentirono la gradita fragranza,
come mosche si raccolsero gli dèi attorno al sacrificante



(76-109; 127-161)