Palinuro

Vecchio suddito di Priamo, era figlio di un troiano chiamato Iaso; sopravvisse alla distruzione di Troia. Si aggregò ai compagni di Enea, divenendo il nocchiero della nave del semidio. La guidò per tutto il Mediterraneo: ma durante una delle ultime traversate, quella che avrebbe portato Enea a Cuma, avvenne l'inaspettato, di notte. Mentre Palinuro come sempre stava pilotando diligentemente la nave, il dio Sonno prese le sembianze del suo amico Forbante per convincerlo a lasciargli il timone, ma egli rifiutò. Allora il dio addormentò con la sua magia il nocchiero e lo buttò in mare. Una volta finito in acqua, Palinuro non si perse d'animo, e dopo tre giorni e tre notti di nuoto ininterrotto riuscì a toccare terra: era un promontorio dell'Italia Meridionale. Stremato, si buttò sul lido per riposare: ma di lì a poco venne assalito da alcuni uomini appartenenti a una popolazione selvaggia, che lo uccisero e ne gettarono il cadavere in mare. Quando Enea scese vivo negli inferi con l'aiuto della Sibilla, vide l'anima del timoniere al di fuori dell'Ade, insieme a tutti i morti rimasti insepolti. Palinuro in lacrime lo fermò e dopo avergli raccontato l'accaduto gli chiese disperatamente di avviare le ricerche del corpo, per permettere così alla sua anima di entrare nel regno dei morti vero e proprio. Ma intervenne la Sibilla per dirgli che ogni tentativo di ritrovare il cadavere sarebbe stato inutile, e che dunque egli doveva rassegnarsi al suo triste destino. Pure le parole della sacerdotessa non furono tutte amare: ella infatti rivelò che gli assassini di Palinuro, in seguito ad eventi prodigiosi, avrebbero un giorno innalzato un grandioso cenotafio in onore dell'eroe, dando poi il suo nome al promontorio.

La morte di Palinuro era stata voluta da Nettuno, che aveva preteso il sacrificio di un compagno di Enea prima che questi giungesse a Cuma.