Differenze tra le versioni di "Mitologia slava e greco-romana. Uno studio comparativo"

(Mokoš ed Era)
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<br>Nella mitologia romana, moglie di [[Giove]] (Zeus) era [[Giunone]], regina del cielo, protettrice delle donne, signora delle mogli e delle madri ([[Iuno Matrona]]).<ref>Florence Noiville, ''Mitologia romană'', Editura Meteor Press, București, 2006, p. 9.</ref>  
 
<br>Nella mitologia romana, moglie di [[Giove]] (Zeus) era [[Giunone]], regina del cielo, protettrice delle donne, signora delle mogli e delle madri ([[Iuno Matrona]]).<ref>Florence Noiville, ''Mitologia romană'', Editura Meteor Press, București, 2006, p. 9.</ref>  
 
Mokoš è la «dea che fila la lana», spesso rappresentata con deformità fisiche (grande testa e braccia lunghe).<ref>Anca Irina Ionescu, ''op.cit.'', p. 100.</ref> Protegge, rispetta e governa il lavoro delle donne, specialmente i lavori manuali e la tessitura. A [[Olimpia]], dove sorgeva il tempio di Zeus ed Era, ogni quattro anni, in occasione dell’apertura delle festività dedicate a Zeus, le donne celebravano Era in risposta alla grande ricorrenza, esclusivamente maschile, delle [[Olimpiadi]]. Riceveva in sacrificio una mucca e la sua statua era vestita con un peplo nuovo tessuto da quattordici donne sposate.<ref>Zoe Petre, Alexandra Lițu, Cătălin Pavel (coordonatori), ''op cit.'', p. 196.</ref> La dea Mokoš era colei «colei che piega le sorti» o «colei che annoda i destini», e appariva come una dea del fato o del destino.<ref>Sorin Paliga, Eugen S.Teodor, ''op.cit''., p. 221.</ref> Presso i Greci, Era aveva anche il potere di contrarre e sciogliere i matrimoni. <ref>Zoe Petre, Alexandra Lițu, Cătălin Pavel (coordonatori), ''op cit''., p. 196.</ref>
 
Mokoš è la «dea che fila la lana», spesso rappresentata con deformità fisiche (grande testa e braccia lunghe).<ref>Anca Irina Ionescu, ''op.cit.'', p. 100.</ref> Protegge, rispetta e governa il lavoro delle donne, specialmente i lavori manuali e la tessitura. A [[Olimpia]], dove sorgeva il tempio di Zeus ed Era, ogni quattro anni, in occasione dell’apertura delle festività dedicate a Zeus, le donne celebravano Era in risposta alla grande ricorrenza, esclusivamente maschile, delle [[Olimpiadi]]. Riceveva in sacrificio una mucca e la sua statua era vestita con un peplo nuovo tessuto da quattordici donne sposate.<ref>Zoe Petre, Alexandra Lițu, Cătălin Pavel (coordonatori), ''op cit.'', p. 196.</ref> La dea Mokoš era colei «colei che piega le sorti» o «colei che annoda i destini», e appariva come una dea del fato o del destino.<ref>Sorin Paliga, Eugen S.Teodor, ''op.cit''., p. 221.</ref> Presso i Greci, Era aveva anche il potere di contrarre e sciogliere i matrimoni. <ref>Zoe Petre, Alexandra Lițu, Cătălin Pavel (coordonatori), ''op cit''., p. 196.</ref>
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===Svarog ed Efesto===
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[[Svarog]] è il dio del fuoco<ref>Sorin Paliga, Eugen S.Teodor, ''op.cit.'', p. 222.</ref>, una divinità solare simboleggiante la luce celeste (sole eterno)<ref>Victor Kernbach, ''op.cit.'', p. 659.</ref>; sotto forma ciclica era simboleggiato dal segno della svastica slava, noto come [[Kolovrat]]. Sembra che il dio avesse uno specifico culto del fuoco,<ref>Anca Irina Ionescu, ''op.cit.'', p. 104.</ref> il cui spirito era rappresentato in forma di fiamma eterna. Le fiamme del fuoco simboleggiavano lo spirito immortale e avevano funzione purificatrice.
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<br>Svarog era rappresentato dal fuoco nel camino che aiutava il  popolo a preparare il cibo, vitale per l'esistenza materiale, e dal fuoco nella fornace con cui si forgiavano le armi e gli strumenti di lavoro o per la guerra<ref>Anca Irina Ionescu, ''op.cit.'', p. 105.</ref. Su questa linea si collocano il greco [[Efesto]] e il romano [[Vulcano]]. Nella mitologia greca, Efesto era chiamato «fabbro», simbolo assoluto dell’arte metallurgica.<ref>Victor Kernbach, ''op.cit.'', p. 222.</ref> In suo onore, sull’isola di [[Lemno]], dedicata al dio, tutti i fuochi venivano spenti una volta all’anno, in modo che fosse impossibile utilizzarli nei sacrifici. Poi, una nave portava un «nuovo fuoco» dall’isola di [[Pelos]], da cui si accendeva il fuoco nei focolari domestici, nelle fucine e nei forni.<ref>''Ibidem'', p. 223.</ref> Nella mitologia romana, Vulcano è anche chiamato [[Mulciber]] (fabbro degli dei).<ref>Zoe Petre, Alexandra Lițu, Cătălin Pavel (coordonatori), ''op cit.'', p. 366.</ref>
  
 
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Versione delle 13:52, 29 apr 2012

Un saggio di Mihai Dragnea. Traduzione di Dario Giansanti.

Il testo

Introduzione

La Mitologia (μυθολογία), quale campo di ricerca scientifica, si applica all'insieme delle vicende e delle storie tradizionali. Mythos in greco significa «storia» o «leggenda», e logos «discorso». Di solito, i miti sono rappresentati da opere letterarie, ma sotto il termine «mitologia» possono essere inclusi tutti i racconti tradizionali appartenenti a una data cultura o religione. Nel corso della storia, queste vicende sono circolate in forma letteraria, popolare (ballate, odi, canti popolari, canti epici) o addirittura trasformata in cronache storiche, scritte nelle corti reali o nei monasteri.
In questo lavoro esporrò una serie di analogie tra divinità greco-romane e slave. Ho basato il mio lavoro su informazioni quali le analisi etimologiche, le descrizioni della divinità e dei loro rituali, offerte, sacrifici e festività. Quale fonte principale per le divinità slave, ho usato una cronaca russo-medievale, compilata in ambiente religioso dal monaco Nestore e chiamata dagli specialisti Cronaca Primaria o Cronaca di Nestore. Il documento, scritto a Kiev durante il regno del Gran Principe Iziaslav Sviatopolk II (1093-1113), espone una storia della Rus' kievana tra l’850 e il 1110. Il modello della Cronaca è germanico, e rivolto verso il mondo scandinavo, dal momento che la politica di Sviatopolk era a favore del potere dei Variaghi.
Ho inoltre consultato i volumi del Dizionario di mitologia di Ilie Danilov e Mitologia Slava di Sorin Paliga. Si è occupato di mitologia slava anche Mircea Eliade nella sua Storia delle credenze e delle idee religiose. Tra le mie fonti, Irina Ionescu con Mitologia slava; Victor Kernbach con il suo Dizionario di mitologia generale, Eugen Sorin Teodor e Sorin Paliga in Linguistica e Archeologia degli antichi slavi: Un'altra veduta del basso Danubio. Gli altri materiali sono presentati in bibliografia.
Per quanto riguarda la mitologia greca, Omero ed Esiodo sono le fonti narrative principali. I materiali di riferimento sono in questo caso: Fonti di religione greca di David G. Rice e John E. Stambaugh; e il libro Dizionario di mitologia greco-romana: dei, eroi, miti di Zoe Petre, Alexandra Liţu, Cătălin Pavel, Cristian Olariu, Florica Mihuţ-Bohîlţea e Alexandra Ţârlea.

Perun e Zeus

Un dio supremo era a capo del pantheon slavo. Bog «ricco, potente» è il termine generico per la maggiore divinità in slavo. Va però notato che quest'ultimo epiteto può essere attribuito a divinità diverse, a seconda della loro posizione nella gerarchia divina (ad esempio Perun bog, Svarog bog). Il termine è di origini indoeuropee, e deriva dal persiano bay, che significa «dio», nel senso di «dio che elargisce», gentile, generoso e forte. Procopio ed Helmold affermano che il sistema teologico slavo sia gerarchico, con gli altri dèi subordinati all'autorità del dio supremo.
Secondo Helmold, alla funzione di «dio supremo» le tribù slave del Baltico assegnavano Svantevit. Quelle orientali, Perun. Secondo il linguista Sorin Paliga, l'aggettivo rumeno bogat «ricco» sarebbe derivato dall'antica radice indoeuropea.[1] Il termine si riferisce specificatamente al dio Perun. Come per Zeus, a Perun venivano assegnati onori reali, quale «colui che distribuisce la ricchezza», o «colui che custodisce i mortali».[2] Possiamo stabilire una connessione tra Perun e Zeus sia dal punto di vista etimologico, nonché per il loro rango a capo del pantheon greco.
Il nome Zeus è esito ellenico del teonimo sanscrito Dyaus Pitar, «Padre celeste».[3] Il medesimo mitema è presente nella mitologia romana, dove Giove è chiamato Deus Pater, a simboleggiare il potere assoluto su uomini e dèi in qualità di «Padre celeste».[4] Come Zeus, il dio Perun governava i tuoni[5], i fulmini e il fuoco eterno (ignis aeternus), attributi del suo potere assoluto sugli dèi e sugli uomini.
Perun veniva raffigurato come un uomo di statura imponente, con la testa (capelli) d'argento e i baffi d'oro[6]. Portava un martello, un'ascia e un arco da guerra, e aveva fulmini come frecce.
La medesima rappresentazione caratterizzava Zeus.[7] Nella titanomachia, Zeus scende dall'Olimpo, accompagnato da tuoni e lampi, e scaglia fulmini contro i Titani e i Giganti.[8] Ha per appellativo Keraunos (dal nome arcadico del fulmine).[9] Nella Teogonia di Esiodo, Zeus è descritto bello, forte e robusto,[10] proprio come Perun. A Roma, Giove ha per soprannome Fulgur «signore della folgore» o Summanus «origine dei lampi notturni».[11] Perun è indicato come «colui che porta la pioggia» o «colui che porta le nuvole», elementi essenziali per la fecondità della natura.[12] Un simile attributo, «adunatore delle nuvole», è attribuito anche a Zeus nella Teogonia di Esiodo.[13] Nella mitologia romana, Giove ha per epiteti Elicius, «produttore di pioggia», e Vernus «dio della pioggia di primavera».[14]
Qualsiasi alleanza o qualsiasi forma di giuramento veniva stretta in nome di Perun. Così nella mitologia greca: Omero racconta nell'Iliade dei voti pattuiti in nome di Zeus. A entrambe le divinità venivano praticati sacrifici umani. La Cronaca di Nestore ci informa che Vladimir, principe della Rus' di Kiev, dopo aver innalzato a Kiev diversi idoli pagani, sacrificò loro vittime umane. Nestore ci dice che gli Slavi sacrificavano agli dèi persino i propri figli. E a proposito di sacrifici umani presso gli antichi Greci, le Anabasi (vol.VI) di Senofonte riportano che, obbedendo all'oracolo di Delfi, due persone vennero abbattute sugli altari in onore di Zeus.
Il giorno dedicato a Perun era il giovedi; la festa di Perun era celebrata il 21 giugno. I Romani celebravano una cerimonia a Giove, sotto la denominazione di Summanus, il 20 giugno.
La vittoria di Perun sul suo nemico (probabilmente Veles) aveva l’effetto di liberare le acque pluviali.
Nella mitologia greca, Zeus aveva l’epiteto di Eleutherios, «liberatore», e si diceva avesse diviso il cielo, le acque e la terra con i suoi fratelli Poseidone e Ade. Dalle cronache slave apprendiamo che la quercia è l'albero sacro a Perun, così come in Grecia i templi dedicati a Zeus venivano costruiti presso una quercia sacra, sulla quale si diceva si fosse posata una colomba nera.
La quercia era considerata sacra a Zeus, e Ateneo, nel Deipnosophists (libro XI), afferma che un certo Liceo, sacerdote di Zeus, praticò un sacrificio al dio presso una quercia.[15] Procopio di Cesarea ci informa che i russi, diretti a Costantinopoli, sbarcavano sull'isola di San Giorgio, dove adoravano un'enorme quercia, ai cui piedi offrivano sacrifici. In Ucraina, a Zaporižžja, è stata fotografata una quercia alta più di sei metri, vecchia di secoli. I ricercatori sostengono che fosse stata un albero sacro. Una tradizione locale afferma che se il primo fulmine di primavera cade dietro la quercia, non si sarà più tormentati dal mal di schiena.
Sacro a Perun era il bue, animale che gli antichi slavi aggiogavano all'aratro. Nel tardo VI secolo, Procopio di Cesarea bizantina nella Guerra Gotica, scrive a proposito degli slavi: «Credono che solo Dio stesso, il creatore di fulmine, è padrone di tutto, e gli offrono buoi in sacrificio...»[16]
In Grecia, la Bouphónia, o «uccisione dei tori», rappresentava il supremo rituale di sacrificio. Il bue abbattuto in questa celebrazione annuale, veniva poi impagliato e aggiogato ad un aratro. Il sacerdote fuggiva e il coltello veniva gettato in mare. Il rito aveva luogo sull'Acropoli, nel santuario di Zeus Polieus.
È noto che la ricchezza, presso le antiche società di matrice indoeuropea, era rappresentato dal possesso di mandrie e armenti. Inoltre, si considerava beato l'uomo che moriva colpito da un fulmine, in quanto si diceva fosse stato chiamato in cielo dal dio Perun, il quale gli aveva perdonato i peccati mortali. Un dettaglio che ritroviamo nella mitologia greca, dove Semele veniva fulminata per punizione da Zeus.
Dopo la cristianizzazione degli Slavi, il culto di Perun venne associato a quello del Profeta Elia, il quale «correva come un matto, attraverso il cielo, col carro di fuoco» e puniva i malvagi con il fulmine. Nella mitologia romana, Giove scendeva sul Campidoglio su un carro trainato da quattro cavalli.

Veles ed Ermes

Secondo per importanza nella mitologia slava, è il dio Veles, pure chiamato Volos. Per capire meglio il carattere domestico di questa divinità dobbiamo evitare di assegnare alla radice skot, che significa «bestiame», «animali domestici», il suo significato negativo. Con la migrazione degli indo-europei, la parola skot era sinonimo di ricchezza e abbondanza, essendo molto ben rappresentata nel Rig-Veda. Nel Medioevo russo, skot significava «casa» ma anche «ricchezza», «opulenza», «fortuna» o «denaro». Tra gli Slavi, era Veles che apportava ricchezza e prosperità, considerato il «dio delle greggi» e degli animali. Era il dio protettore dei contadini, e la gente lo pregava per accrescere le ricchezze e aumentare le rese agricole.
Nella mitologia greca, Ermes appariva come un dio pastorale, arcadico, protettore delle greggi e delle mandrie. Ermes faceva la fortuna dei commercianti, accrescendo il denaro e distribuendo le ricchezze. Mercurio era il protettore dei mercanti anche nella mitologia romana. Veselovskii ritiene che il nome di Veles sia da connettere all'antico culto slavo dei morti o, più esattamente, all'anima dei defunti. Egli stabilisce un parallelo etimologico tra le lingue slave e baltiche, notando che in lituano velis significa «morto» e velci «anime dei defunti». Una versione lituana di Veles è rappresentata da Velinas, che nel Baltico è il creatore dei rettili, degli uccelli neri (corvi o cornacchie) e dei lupi, e che, come Odino, è circondato dalle anime dei guerrieri, gli Einherjar. Il legame con gli uccelli neri e i lupi è un elemento primordiale di morte e di contatto tra i due mondi: la vita terrena e l’esistenza dopo la morte. Il lupo simboleggia la lotta e il coraggio, il corvo la saggezza.
La celebrazione dei morti nella mitologia lituana si chiama Vėliai. La parola Velos (plurale Vėliai «festa dei morti») deriva da Vėlė «anime dei morti». Secondo un antico rituale lituano, la dea chiamata Veliona veniva invitata a partecipare al «banchetto dei morti». Se ammettessimo che Veliona appare come una dea nella mitologia lituana, strettamente legata a quella slava, questa teoria potrebbe essere corretta. Veles ci appare come un dio acquatico, con un carattere ctonio, ingannatore, acerrimo nemico di Perun (vedi Loki e Thor), ma anche come stregone. Alcuni storici russi, analizzando i dati della mitologia slava, ritengono che il destino cosmico di Veles sia fare da «collegamento» tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti, con un ruolo di «guida». Nell’antico mondo greco, Ermes era il messaggero degli dèi e la guida delle anime umane verso il regno ipoctonio di Ade. Il Mercurio dei romani aveva ugualmente il ruolo di psicopompo verso il mondo sotterraneo di Plutone.
Prima che il popolo russo si convertisse al cristianesimo, ai tempi di Vladimir, i sette idoli degli dèi dell’antica mitologia slavo-orientale, venivano innalzati nei grandi centri urbani della Rus’ kievana, soprattutto a Kiev. È interessante notare che la statua di Veles non faceva parte di questo gruppo, né era contemplato tra i sette idoli sulla collina sacra di Kiev, ma si trovava da qualche parte nella pianura, nei pressi del mercato.
Da qui si è concluso che Veles fosse anche un dio del commercio. Presso i Greci, Ermes appare anche come protettore dei commercianti. Nella mitologia romana, Mercurio è il dio del commercio, protettore dei mercanti e dei ladri. Veles fu anche considerato «dio della poesia» come attributo esplicativo alle sue capacità intellettuali. Così Ermes era considerato il protettore della scrittura e la sua festività, la Hermania, aveva un significato intellettuale.

Chors e Apollo

Il dio Chors (Khursun nella lingua scitica) è il sole.[17] Il suo nome è registrato nella Cronaca di Nestore. Il significato della parola è «in movimento», «di corsa». L’iranico xorsed significa «sole», da cui il nome della dinastia iranica Khores[18], che ha lo stesso significato di «sole».[19] Chors appare giovane e bello, con capelli d'oro, riccioluti.[20] Il nome del dio può significare «brillare», da un persiano xurset «sole splendente» o «maestà regale», e può prestarsi come modello divino per ogni sovrano del mondo slavo precristiano. Chors era il dio della luce solare, del giallo disco del sole.[21] Il carattere solare e il nome del dio sono rintracciabili in molte parole, come chorošij «buono, bello», pochorošet’ «migliorare», prichorošivatisja «abbellire, adornare», chorovod «danza», chorom «in coro».
In molte nazioni slave, choro significa «disco d'oro», «cerchio», con riferimento a danze rituali di carattere urano-solari. Da qui il nome della danza circolare rumena detta horă. Anche il nome della città ucraina di Korsun’ è in onore del dio della luce solare. È possibile che l’odierna regione di Cherson, in Ucraina, porti il nome del dio.
Nella mitologia greca, Apollo, il rappresentante degli olimpici di seconda generazione, appare come un dio della luce solare, simbolo della purezza dei raggi del sole, Febo.[22] La descrizione di Apollo «dai capelli d'oro» indica un’emanazione divina della luce del sole.[23] Il suo carattere di protettore, rende Apollo una divinità positiva, sempre soccorrevole verso le persone bisognose. Dopo aver ucciso il drago Pitone, Apollo seppellì il cadavere del mostro nel luogo in cui sarebbe stato in seguito costruito il famoso oracolo di Delfi, dove veniva profetizzata al popolo la volontà di Zeus, padre di Apollo.[24] Dicono che Chors venne sconfitto dal Dio Nero, ma venne riportato in vita dagli antichi Slavi come un dio della guarigione, della sopravvivenza, del trionfo contro la malattia e la debolezza, fino a venire considerato «signore delle erbe medicamentose». Il dio era considerato uno straordinario guaritore, così come di Apollo sappiamo che uno dei suoi titoli era appunto Apollo Medicus.[25]

Dažbog ed Elios

Dazbog è un altro importante dio, adorato al tempo di Vladimir, gran principe della Rus’ kievana.[26] Dažbog appare sotto il nome di Radegast presso gli slavi del Baltico. È un dio solare[27] che rappresenta la fertilità, il potere maschile[28], ed è considerato antenato delle genti slave. Ciò è confermato dall’apostolo di Pskov, nel XIV secolo.
Dažbog comune con il greco Elios lo status di divinità solare.[29] Elios era infatti il dio pre-olimpico del Sole, con l’aspetto di un giovane bello e potente, simbolo di fertilità.[30]
Gli Slavi credevano che Dažbog attraversasse il cielo su un carro da guerra trainato da quattro cavalli bianchi con bellissime ali d'oro. La luce del sole proveniva dallo scudo di fuoco, che Dažbog portava sempre con sé. Di notte, Dažbog attraverso il cielo da est a ovest illuminando la terra con la sua gloria divina. Due volte al giorno, mattina e sera, egli attraversa il grande oceano con una barca trainata da oche, anatre e cigni. Ciò spiega perché gli antichi slavi attribuissero uno speciale potere a certi loro talismani, sui quali era raffigurata un’anatra dalla testa di cavallo. Essi credevano che Dažbog (il sole) li avrebbe aiutato, dovunque essi si trovassero, nel Vecchio Mondo o nel Mondo Oscuro. Ai tempi della Russia pagana, era vietato uccidere i cigni, con la motivazione che si trattava di animali sacri.
Nella mitologia greca, Elios attraversava quotidianamente il cielo su un carro trainato da quattro cavalli recalcitranti: Piroo, Eoo, Aetone e Flegonte.[31] Di Apollo, sappiamo che si recò da Delfi fin presso gli Iperborei su un carro trainato da cigni bianchi come la neve.[32] Vladimir Toporov ritiene che il nome Chors rappresenti la variante iranica, mentre Dažbog sia la versione slavizzata di Chors (Chorsun). Dažbog è stato paragonato da alcuni ad Apollo, il quale rappresenta il potere della fertilità e del calore solare. Lo storico russo Boris Ryabakov ritiene che Dažbog sia la personificazione del potere solare di Chors.

Stribog e i Venti

Stribog è dio dello spirito, del vento, della tempesta[33], dell’aria, del ghiaccio, del freddo e del cielo, avendo un carattere di divinità uranica. Secondo l'antica tradizione slava, sarebbe stato il «padre delle otto direzioni del vento”. Egli è il collegamento tra il Cielo (regno degli dei) e la Terra (mondo degli uomini), e il suo ruolo è stabilire il contatto tra i due mondi.
Alcuni storici ritengono che l'origine del nome Stribog sia legato alla vecchia parola slava strga, che significa «spargere» o «tendere». Nell’Explanatory Dictionary of the Live Great Russian Language di Vladimir Dal, si possono trovare le parole stryj «zio paterno» e stryt’, dove stryvat significa «allungare», «distruggere». Inoltre, ci sono altre parole che hanno la stessa radice presente nel nome Stribog: stremlitelnyi «veloce», bystryi «veloce», strela «freccia», prostranstvo «trasparenza» e strach «paura». L’etimologia del nome può anche essere interpretato attraverso uno Staryj Bog «vecchio dio». Inoltre, l’antico radicale russo streg «più vecchio».[34]
Secondo l’antica leggenda slava, il vento aveva molti nipoti e figli, rappresentati negli aspetti dei venti minori[35]:

  • Posvist (il vento più forte, il dio della tempesta),
  • Podoga (vento caldo, luminoso, dio della bella stagione),
  • Podaga (vento caldo, adescatore, che soffia dai deserti, dal sud)
  • Vento dell’ovest (un po’ asciutto, a volte furioso, ma per lo più blando)
  • Siverko (il vento del nord; porta il freddo dell’Oceano Artico, assai aspro),
  • Vento dell’est (ha un carattere imprevedibile, misterioso, maligno).


Possiamo stabilire una connessione tra questi venti cardinali slavi e le divinità corrispondenti della mitologia greca. Così la titanide Eos (Aurora, nella mitologia romana), moglie del titano Astreo, diede vita ai quattro venti (Anemoi):

Mokoš ed Era

Mokos è l'unica femminile delle sette divinità principali degli slavi orientali. Sembra fosse l’unica dea nel pantheon slavo all’epoca di Vladimir.[36] Dea elargitrice dei buoni raccolti, era considerata protettrice della famiglia; attraverso l'amore, la saggezza e la temperanza, armonizzava i rapporti tra i membri della famiglia, istituendo un equilibrio essenziale per la felicità domestica. Nella mitologia greca, Era, sotto la denominazione di Teleia, sovrintendeva al matrimonio.[37]
Nella mitologia romana, moglie di Giove (Zeus) era Giunone, regina del cielo, protettrice delle donne, signora delle mogli e delle madri (Iuno Matrona).[38] Mokoš è la «dea che fila la lana», spesso rappresentata con deformità fisiche (grande testa e braccia lunghe).[39] Protegge, rispetta e governa il lavoro delle donne, specialmente i lavori manuali e la tessitura. A Olimpia, dove sorgeva il tempio di Zeus ed Era, ogni quattro anni, in occasione dell’apertura delle festività dedicate a Zeus, le donne celebravano Era in risposta alla grande ricorrenza, esclusivamente maschile, delle Olimpiadi. Riceveva in sacrificio una mucca e la sua statua era vestita con un peplo nuovo tessuto da quattordici donne sposate.[40] La dea Mokoš era colei «colei che piega le sorti» o «colei che annoda i destini», e appariva come una dea del fato o del destino.[41] Presso i Greci, Era aveva anche il potere di contrarre e sciogliere i matrimoni. [42]

Svarog ed Efesto

Svarog è il dio del fuoco[43], una divinità solare simboleggiante la luce celeste (sole eterno)[44]; sotto forma ciclica era simboleggiato dal segno della svastica slava, noto come Kolovrat. Sembra che il dio avesse uno specifico culto del fuoco,[45] il cui spirito era rappresentato in forma di fiamma eterna. Le fiamme del fuoco simboleggiavano lo spirito immortale e avevano funzione purificatrice.
Svarog era rappresentato dal fuoco nel camino che aiutava il popolo a preparare il cibo, vitale per l'esistenza materiale, e dal fuoco nella fornace con cui si forgiavano le armi e gli strumenti di lavoro o per la guerraErrore nelle note: </ref> di chiusura mancante per il marcatore <ref> In suo onore, sull’isola di Lemno, dedicata al dio, tutti i fuochi venivano spenti una volta all’anno, in modo che fosse impossibile utilizzarli nei sacrifici. Poi, una nave portava un «nuovo fuoco» dall’isola di Pelos, da cui si accendeva il fuoco nei focolari domestici, nelle fucine e nei forni.[46] Nella mitologia romana, Vulcano è anche chiamato Mulciber (fabbro degli dei).[47]

Note

  1. Sorin Paliga, Mitologia slavilor, Editura Meteor Press, Bucureşti, 2008, p. 29.
  2. Victor Kernbach, Mituri esenţiale, Editura Univers Enciclopedic, Bucureşti, 1996, p. 68.
  3. Idem, Dicţionar de mitologie generală, Editura Albatros, Bucureşti, 1983, p. 776.
  4. Victor Kernbach, op.cit., p. 317.
  5. Tamara Kondratieva, Vechea Rusie, Editura Corint, Bucureşti, 2000, p. 34.
  6. Cronica lui Nestor, Traducere G. Popa Lisseanu, Tipografia Bucovina, Bucureşti, 1935, p. 80.
  7. Roger. D. Woodard, The Cambridge Companion to Greek Mythology, Cambridge University Press, p. 89.
  8. Victor Kernbach, op.cit., p. 275.
  9. Idem, Dicţionar de mitologie generală, Editura Albatros, Bucureşti, 1983, p. 777.
  10. N. A. Kun, Legendele şi miturile Greciei antice, Editura Știinţifică, Bucureşti, 1964, p. 10.
  11. Victor Kernbach, op.cit., p. 317.
  12. Ilie Danilov , Dicţionar de mitologie slavă, Editura Polirom, Bucureşti, 2007, p. 185-186.
  13. Victor Kernbach, op.cit., p. 276.
  14. Ibidem, p. 317.
  15. David G. Rice, John E. Stambaugh, op.cit., p. 101-102.
  16. Eugenio R. Luján, Procopius, De bello Gothico III 38.17-23: a description of ritual pagan Slavic slayings?, p. 105-106
  17. Ilie Danilov, op.cit., p. 106.
  18. Este vorba despre Cyrus. Numele său reprezintă forma latinizată a vechiului cuvânt persan Kūruš-Khores.
  19. B.A. Rybakov, op.cit., p. 280-281.
  20. Ilie Danilov, op.cit., p. 106.
  21. Victor Kernbach, op.cit., p. 275.
  22. Victor Kernbach, op.cit., p. 61.
  23. N. A. Kun, op.cit., p. 27.
  24. Ibidem, p. 29.
  25. Victor Kernbach, Mituri esențiale, p. 242.
  26. Anca Irina Ionescu, Mitologia slavilor, Editura Lider, București, 2000, p. 92.
  27. Sorin Paliga, Eugen S.Teodor, op.cit., p. 220.
  28. Anca Irina Ionescu, op.cit., p. 93.
  29. Zoe Petre, Alexandra Lițu, Cătălin Pavel (coordonatori), op cit., p. 193.
  30. Victor Kernbach, Dicționar de mitologie generală, p. 258.
  31. Bernard Evslin, Ned Hoopes, The Greek Gods, Editura Scholastic Inc., f.l., 1966, p. 71.
  32. N. A. Kun, op.cit., p. 31.
  33. Victor Kernbach, op.cit., p. 656.
  34. Ilie Danilov, op.cit., p. 224.
  35. Ibidem, p. 225.
  36. Ibidem, p. 16.
  37. Zoe Petre, Alexandra Lițu, Cătălin Pavel (coordonatori), op cit., p. 195.
  38. Florence Noiville, Mitologia romană, Editura Meteor Press, București, 2006, p. 9.
  39. Anca Irina Ionescu, op.cit., p. 100.
  40. Zoe Petre, Alexandra Lițu, Cătălin Pavel (coordonatori), op cit., p. 196.
  41. Sorin Paliga, Eugen S.Teodor, op.cit., p. 221.
  42. Zoe Petre, Alexandra Lițu, Cătălin Pavel (coordonatori), op cit., p. 196.
  43. Sorin Paliga, Eugen S.Teodor, op.cit., p. 222.
  44. Victor Kernbach, op.cit., p. 659.
  45. Anca Irina Ionescu, op.cit., p. 104.
  46. Ibidem, p. 223.
  47. Zoe Petre, Alexandra Lițu, Cătălin Pavel (coordonatori), op cit., p. 366.