Differenze tra le versioni di "Ifigenia in Aulide"

(Nuova pagina: Ifigenia in Aulide (in greco antico Ἰφιγένεια ἡ ἐν Αὐλίδι / Iphighéneia he en Aulídi) è una tragedia di Euripide, scritta tra il 407 ed il 406 a.C., nel pe...)
 
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==Trama==
 
==Trama==
 
Secondo un vaticinio di [[Calcante]], la flotta greca per partire avrebbe dovuto compiere un sacrificio. [[Agamennone]] fa dunque venire, tramite una lettera, la moglie [[Clitennestra]] e la prescelta per il sacrificio, la figlia [[Ifigenia]]. [[Agamennone]] ha però dei dubbi e scrive una lettere di contrordine che però venne intercettata da [[Menelao]]. Al suo arrivo [[Clitennestra]] scopre la verità parlando con il marito. [[Ifigenia]], inizialmente, non vuole essere uccisa, ma poi decide di sacrificarsi per la patria. Al momento del sacrificio, però, compare una cerva che viene così sacrificata mentre [[Ifigenia]] è portata via da [[Artemide]].
 
Secondo un vaticinio di [[Calcante]], la flotta greca per partire avrebbe dovuto compiere un sacrificio. [[Agamennone]] fa dunque venire, tramite una lettera, la moglie [[Clitennestra]] e la prescelta per il sacrificio, la figlia [[Ifigenia]]. [[Agamennone]] ha però dei dubbi e scrive una lettere di contrordine che però venne intercettata da [[Menelao]]. Al suo arrivo [[Clitennestra]] scopre la verità parlando con il marito. [[Ifigenia]], inizialmente, non vuole essere uccisa, ma poi decide di sacrificarsi per la patria. Al momento del sacrificio, però, compare una cerva che viene così sacrificata mentre [[Ifigenia]] è portata via da [[Artemide]].
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==Testo completo==
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La scena rappresenta il campo degli Achei in àulide.
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(Agamènnone esce dalla tenda, e chiama un vecchio servo)
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Agamènnone:
 +
  O vecchio, vien qui, presso questo
 +
  padiglione.
 +
VECCHIO:
 +
  Son qui. Che novelli
 +
  pensieri, Agamènnone, volgi?
 +
Agamènnone:
 +
  T'affretti?
 +
VECCHIO:
 +
  M'affretto. è la mia
 +
  tarda età molto insonne, e ben lieve
 +
  sui cigli mi pesa.
 +
Agamènnone:
 +
  Che stella
 +
  è quella che in cielo veleggia?
 +
VECCHIO:
 +
  è Sirio, che, presso alla Plèiade
 +
  settemplice, in mezzo alla volta
 +
  del cielo, s'affretta.
 +
Agamènnone:
 +
  Non s'ode né voce d'uccello
 +
  né d'onde sciacquío. Su l'Eurípo
 +
  i venti son muti.
 +
VECCHIO:
 +
  Agamènnone re, perché mai
 +
  venuto sei fuor della tenda?
 +
  In àulide tutto è tranquillo:
 +
  immote son tutte le scolte.
 +
  Rientriamo.
 +
Agamènnone:
 +
  Felice ti reputo,
 +
  o vecchio, ed invidio quell'uomo
 +
  che senza pericoli, ignoto,
 +
  senza fama, trascorre la vita.
 +
  Men felice mi sembra chi vive
 +
  tra gli onori.
 +
VECCHIO:
 +
  Ma pur, negli onori,
 +
  della vita consiste il decoro.
 +
Agamènnone:
 +
  è fallace decoro; e il potere,
 +
  sebben dolce, ad averlo t'accora.
 +
  Uno sbaglio talor verso i Numi
 +
  la tua vita sconvolge; talora
 +
  la cruccian gli umori
 +
  degli uomini, tristi e discordi.
 +
VECCHIO:
 +
  Non son queste le cose, Agamènnone,
 +
  che ai príncipi invidio; ed Atrèo
 +
  non ti diede la vita perché
 +
  tu soltanto godessi; ma devi
 +
  provare piaceri e dolori,
 +
  ché tu sei mortale;
 +
  e, voglia o non voglia, dei Numi
 +
  è tale il volere.
 +
  (Agamènnone accende una lampada e si mette a scrivere
 +
  su una tavoletta)
 +
  Che fai?
 +
  Accendi la lampada, e in quella
 +
  tavoletta che teco hai recata,
 +
  tu scrivi, e lo scritto
 +
  cancelli e sigilli, e di nuovo
 +
  riapri, ed a terra lo gitti,
 +
  e quante stranezze commettono
 +
  i folli, commetti.
 +
  Che pena t'angustia, che nuova
 +
  sciagura, Signore? Su, via,
 +
  partecipe fammene, parla.
 +
  Onesto, a te fido sono io:
 +
  ché Tindaro un giorno mi diede,
 +
  fra i doni di nozze, alla tua
 +
  consorte, compagno
 +
  fedele alla sposa.
 +
Agamènnone:
 +
  Leda, figlia di Testio, ebbe tre figlie:
 +
  Clitemnèstra, mia sposa, Febe, ed Elena.
 +
  A richieder costei, si presentarono
 +
  quanti contava piú prestanti giovani
 +
  l'Ellade tutta; e qui minacce sursero
 +
  fra lor di morte, ché nessun voleva
 +
  privo restar della fanciulla. E Tíndaro
 +
  in imbarazzo grande era, se cederla
 +
  convenisse, oppur no, per conseguirne
 +
  maggior vantaggio; e questa idea gli venne:
 +
  che tutti quanti i giovani prestassero,
 +
  stringendosi le mani, e confermassero
 +
  con libagioni e imprecazioni, un giuro
 +
  che tutti l'uomo a cui movesse sposa
 +
  di Tíndaro la figlia, aiuterebbero,
 +
  se mai qualcun glie la rapisse, e in bando
 +
  lui mandasse dal letto; e moverebbero
 +
  a campo, e la città distruggerebbero,
 +
  con l'armi, ellèna fosse, o fosse barbara.
 +
  E poi ch'ebber giurato, e il vecchio Tíndaro
 +
  accortamente con la fine astuzia
 +
  li ebbe ingannati, disse alla sua figlia
 +
  che fra i rivali ella scegliesse quello
 +
  a cui piú d'Afrodite la spingessero
 +
  l'aure dilette. Ed ella scelse, oh, fatto
 +
  mai non l'avesse! Menelào: ché poi,
 +
  dalla terra dei Frigi a Lacedèmone
 +
  quell'uomo giunse che alle Dee fu giudice,
 +
  come n'è fama tra gli Argivi; e un fiore
 +
  parea nelle sue vesti, e d'oro fulgido
 +
  con barbarica pompa, e innamorato
 +
  rapí l'innamorata Elena, e ai campi
 +
  d'Ida l'addusse. E Menelào non c'era.
 +
  Ma come ritornò, furente corse
 +
  l'Ellade tutta, e i giuramenti a Tíndaro
 +
  un giorno fatti ricordò: che aiuto
 +
  convien prestare a chi patí sopruso.
 +
  E alla guerra correndo, allora gli Elleni
 +
  impugnarono l'armi, e in questo d'àulide
 +
  angusto passo vennero, di navi,
 +
  di scudi armati, di cavalli e cocchi.
 +
  E duce me, perché di Menelào
 +
  ero fratello, elessero. Deh, fosse
 +
  toccato ad altri un tanto onor! Ché tutte
 +
  son raccolte le genti, e noi qui stiamo,
 +
  e non possiamo navigare, in àulide.
 +
  E Calcante, indovino, a cui rivolti
 +
  nella distretta ci eravamo, tale
 +
  responso diede: che alla Diva Artèmide
 +
  che quivi ha sede, Ifigenía mia figlia
 +
  sacrificar si dee: sacrificandola,
 +
  facile il mare avremo, e struggeremo
 +
  la gente frigia: se non l'immolassimo
 +
  nulla di ciò conseguiremmo. Appena
 +
  udito ciò, diedi ordine a Taltíbio
 +
  che rimandasse con un alto bàndo
 +
  tutte le genti: ché mia figlia uccidere
 +
  io non l'avrei sofferto mai. Ma qui,
 +
  tanto mi disse il fratel mio, che infine
 +
  mi fe' convinto a osar lo scempio orribile.
 +
  E una lettera scrissi, e l'inviai
 +
  alla consorte mia, perché la figlia
 +
  nostra mandasse, che ad Achille sposa
 +
  esser dovrebbe; e dello sposo i pregi
 +
  magnificavo; e che le navi ascendere
 +
  con gli Achei rifiutava, ove la nostra
 +
  figliuola a Ftia sua sposa non andasse.
 +
  Tal pretesto usai dunque, per convincere
 +
  la sposa mia: d'Ifigenía le nozze
 +
  fingere; e soli fra gli Achei lo sanno
 +
  Calcante Ulisse e Menelào. Ma quello
 +
  che stoltamente allor deliberai,
 +
  or lo muto di nuovo in questa lettera,
 +
  che tu fra l'ombre della notte, o vecchio,
 +
  aprire e poi chiuder m'hai visto. Orsú,
 +
  questa missiva prendi, e ad Argo récati.
 +
  E ciò che nelle sue pieghe essa asconde
 +
  io tutto ti dirò: ché tu fedele
 +
  alla mia casa, a Clitemnèstra sei.
 +
VECCHIO:
 +
  Dimmi, parla, sicché le parole
 +
  ch'io dirò, con lo scritto s'accordino.
 +
Agamènnone (Legge la lettera):
 +
  Di Leda germoglio, io t'avverto
 +
  in questa missiva
 +
  che tu la tua figlia non mandi
 +
  all'ala d'Eubea sinuosa,
 +
  ad àulide immune dai flutti:
 +
  ché in altra stagione le nozze
 +
  della figlia dobbiam celebrare.
 +
VECCHIO:
 +
  E Achille, deluso del talamo,
 +
  cosí, contro te di furore
 +
  non sarà tutto un fremito, contro
 +
  la tua sposa? Di tanto pericolo
 +
  mi dici che pensi?
 +
Agamènnone:
 +
  Il nome, e non l'opera, Achille
 +
  prestava: di nozze
 +
  nulla ei sa, né di quanto ora faccio,
 +
  né che a lui la fanciulla promisi,
 +
  al legittimo amor del suo talamo.
 +
VECCHIO:
 +
  Agamènnone re, troppo ardire
 +
  fu il tuo, che, promessa tua figlia
 +
  al figliuol della Dea, come vittima
 +
  tu venir la facevi pei Dànai.
 +
Agamènnone:
 +
  Ahimè, ché allor fui dissennato,
 +
  ahimè ch'ora sono sacrilego.
 +
  Ma via, non ti prostri vecchiaia:
 +
  affretta il remeggio dei piedi.
 +
VECCHIO:
 +
  M'affretto, o signore.
 +
Agamènnone:
 +
  E non sia
 +
  che indugi vicino alle fonti
 +
  pei boschi, e che il sonno ti vinca.
 +
VECCHIO:
 +
  Non dire bestemmie.
 +
Agamènnone:
 +
  E ovunque la via si divide,
 +
  tu guarda ed osserva, perché
 +
  non ti sfugga, se mai qualche carro,
 +
  su rapide rote movendo,
 +
  per altro sentiero, qui adduca
 +
  mia figlia alle navi dei Dànai.
 +
VECCHIO:
 +
  Sarà fatto.
 +
Agamènnone:
 +
  E se mai nel corteggio
 +
  t'imbatti che fuor dalle porte
 +
  l'adduca, fa' sí che ritornino,
 +
  le redini scuoti, ed il cocchio
 +
  dei Ciclopi alle sedi respingi.
 +
VECCHIO:
 +
  E come avverrà che, se reco
 +
  un tale messaggio, tua figlia
 +
  tua moglie, mi prestino fede?
 +
Agamènnone:
 +
  Custodisci il suggello, che resti
 +
  sulla lettera impresso. Ora va:
 +
  ché l'alba già brilla, ed imbianca
 +
  la luce, e i cavalli
 +
  del carro del sole.
 +
  Aiutami, in tale disdetta.
 +
  Nessuno dei mortali è beato,
 +
  felice per tutta la vita:
 +
  nessun dai dolori va scevro.
 +
(Il vecchio parte, Agamènnone rientra nella tenda)
 +
(Entrano le donne di Càlcide che formano il coro)
 +
CORO:                                  Strofe prima
 +
  Alla spiaggia, alle sabbie
 +
  eccomi giunta d'àulide,
 +
  poiché dei gorghi d'èuripo
 +
  varcai l'angusto tramite,
 +
  abbandonando Càlcide,
 +
  la mia città, donde si volge, effusa,
 +
  la linfa al mar, dell'inclita Aretusa,
 +
  per veder degli Achèi
 +
  le belle schiere, e i legni che sul pelago
 +
  corrono, e i Semidei.
 +
  Li adduce il biondo Menelào, ci dissero
 +
  gli sposi, ed Agamènnone
 +
  principe, a Troia, pel marino solco,
 +
  con mille remi, a far vendetta d'Elena,
 +
  cui Paride il bifolco
 +
  rapí dai rivi dell'Eurota floridi
 +
  di giuncheti. Fu premio
 +
  promesso a lui da Cípride,
 +
  allor che sulla chiara
 +
  acqua sorgiva, di beltà con Pàllade
 +
  venne, e con Giuno a gara.
 +
 +
                                      Antistrofe prima
 +
  E al bosco, che di vittime
 +
  fuma, giunsi or d'Artèmide,
 +
  tingendo di purpureo
 +
  pudor la gota giovine,
 +
  per ammirar dei Dànai
 +
  le tende, e dei cavalli
 +
  le fitte schiere, e degli scudi i valli.
 +
  E l'uno all'altro accanto
 +
  d'Oilèo vidi il figlio, e di Telàmone,
 +
  di Salamina vanto.
 +
  E dei calcoli intento alle molteplici
 +
  figure, sul suo seggio
 +
  Protesilào poi vidi, e Palamède,
 +
  a cui fu padre il figlio di Posídone,
 +
  e lieto Dïomède,
 +
  del disco al gioco. E, accanto a lui, Meríone,
 +
  ch'ebbe da Marte origine,
 +
  meraviglioso agli uomini.
 +
  Dagli isolani clivi
 +
  vien di Laerte il figlio; e seco è Níreo,
 +
  il piú bel degli Achivi.
 +
 +
                                      Epodo
 +
  E Achille vidi, l'emulo dei turbini,
 +
  nei piedi al vento simile,
 +
  cui generava Tètide,
 +
  e Chirone educò. Sovra i ghiaiòttoli
 +
  correa del lido, e l'impeto
 +
  spingea dei piedi a vincere,
 +
  chiuso nell'armi, in gara una quadriga.
 +
  Eumèlo era l'auriga,
 +
  di Ferète il nipote; ed alti gridi
 +
  levava; e con la sferza i suoi bellissimi
 +
  corsier' dall'aureo morso
 +
  spinger lo vidi al corso.
 +
  Quelli vicini al giogo, aveano macule
 +
  di crini bianchi;
 +
  e quelli ai fianchi,
 +
  che vario il giro nelle curve segnano,
 +
  rossi l'avean nell'altre membra, e vari
 +
  sovra i pié solidunguli.
 +
  Iva con essi a pari
 +
  d'Eaco il nepote,
 +
  chiuso nell'armi, e il cerchio
 +
  sfiorava e i mozzi alle volanti rote.
 +
 +
                                      Strofe seconda
 +
  Vidi cosí le navi innumerevoli,
 +
  spettacolo ineffabile,
 +
  onde paghe feci io - piacer dolcissimo -
 +
  le femminee pupille.
 +
  L'ala destra occupava, con la furia
 +
  di cinquanta navigli, la compagine
 +
  Ftiòta dei Mirmídoni.
 +
  Emblemi delle navi, aurate immagini,
 +
  sopra le poppe, stavan le Nerèidi
 +
  alle navi d'Achille.
 +
 +
                                      Antistrofe seconda
 +
  Accanto ad essi, degli Argivi stavano
 +
  le navi, in ugual numero.
 +
  Al duce loro padre era Mecísteo,
 +
  che fu di Tàlao figlio.
 +
  Quivi era presso Stènelo,
 +
  figlio di Capanèo. Schierate in ordine
 +
  seguíano, e duce il figlio era di Tèseo,
 +
  sessanta navi d'Attica.
 +
  Palla, su carri alati e solidunguli
 +
  corsier', diletto e fausto
 +
  emblema era al naviglio.
 +
 +
                                      Strofe terza
 +
  E dei Beòti vidi poi l'esercito,
 +
  cinquanta navi, che d'emblemi cariche
 +
  avean le poppe loro.
 +
  Di Cadmo sugli aplustri era l'immagine,
 +
  col suo serpente d'oro.
 +
  E il terrigeno Lèito,
 +
  comandava di Fòcide
 +
  l'oste navale ........................
 +
  ......................................
 +
  E il figlio d'Oilèo, che vien dall'inclita
 +
  città di Tronia, di numero pari
 +
  di Locride conduce i marinari.
 +
 +
                                      Antistrofe terza
 +
  Da Micene ciclopia
 +
  mandò l'Atríde in cento legni i nauti,
 +
  e su le navi stesse
 +
  era il germano, amico con l'amico,
 +
  perché l'Ellade avesse
 +
  vendetta della femmina
 +
  che per lo sposo barbaro
 +
  lasciò la patria; e Nestore
 +
  Gerenio vidi, che da Pito....
 +
  ..............................
 +
  ..............................
 +
  Coi pié di tauro, sculto è sulla torre
 +
  d'ogni nave, l'Alfèo che presso scorre.
 +
 +
                                      Epodo
 +
  E c'eran degli Eníadi
 +
  dodici navi, e il principe
 +
  Gonèo ne avea l'impero.
 +
  Presso a loro i Signori eran dell'Elide:
 +
  Epèi la gente li chiamava; ed èurito
 +
  era lor condottiero.
 +
  E, lasciate l'Echínadi,
 +
  isole infeste ai naviganti, Mègete
 +
  figliuolo di Filèo v'era, e l'esercito
 +
  dei Tafi conducea dai bianchi remi.
 +
  E Aiace salaminio
 +
  congiungeva al diritto il sinistro ordine,
 +
  con le dodici sue navi bellissime
 +
  toccando i legni estremi.
 +
  Tale un popol dinanti
 +
  ho udito, ho visto; e dove alcun dei barbari
 +
  navigli al suo contrasto ardisca muovere,
 +
  non sarà che alla patria
 +
  piú mai ritorni: tale
 +
  vidi uno stuol navale.
 +
  E quel che in casa udii
 +
  narrare, non sarà ch'io pur l'oblii.
 +
(Entra Menelào, tenendo la lettera di Agamènnone, tolta al vecchio
 +
servo, che gli tien dietro, cercando invano di farsela restituire)
 +
VECCHIO:
 +
  Menelào, troppo ardisci, ed oltre il lecito.
 +
Menelào:
 +
  Vattene! Troppo al tuo signor sei fido.
 +
VECCHIO:
 +
  è questa, che mi fai, bella rampogna.
 +
Menelào:
 +
  Guai a te, se farai ciò che non devi.
 +
VECCHIO:
 +
  Questa lettera aprir tu non dovevi.
 +
Menelào:
 +
  Né tutti danneggiar dovevo gli Ellèni.
 +
VECCHIO:
 +
  Ciò con altri discuti. A me la lettera.
 +
Menelào:
 +
  No, non la lascerò.
 +
VECCHIO:
 +
  Né io la cedo.
 +
Menelào:
 +
  Il capo col mio scettro ora t'insanguino!
 +
VECCHIO:
 +
  Morir pel tuo signore, onore arreca.
 +
Menelào:
 +
  Lasciala: troppo, per un servo parli.
 +
VECCHIO (Grida verso la tenda di Agamènnone):
 +
  Mi fan sopruso, o re! Costui mi strappa
 +
  la tua lettera a forza, e nulla vuole
 +
  fare di quanto è giusto. Odi, Agamènnone!
 +
(Agamènnone esce dalla tenda)
 +
Agamènnone:
 +
  Qual tumulto, è questo dunque sulla soglia, qual conflitto di parole?
 +
Menelào:
 +
  Di parlare pria d'un servo avrò diritto.
 +
Agamènnone:
 +
  Con quest'uomo a che t'azzuffi, gli fai forza, ed ei contrasta?
 +
Menelào:
 +
  Al mio viso il viso leva: tal preambolo mi basta.
 +
Agamènnone:
 +
  Ch'io lo sguardo abbassi, quando pur d'Atrídi è il mio lignaggio?
 +
Menelào:
 +
  Di tristi ordini ministro vedi tu questo messaggio?
 +
Agamènnone:
 +
  Vedo; e tu per prima cosa dei lasciarlo.
 +
Menelào:
 +
  No, che avanti
 +
  vo' mostrare quanto è in esso scritto, ai Dànai tutti quanti.
 +
Agamènnone:
 +
  I sigilli hai franti, e quanto non dovevi ora tu sai?
 +
Menelào:
 +
  So le tue mene segrete: sí che doglia tu n'avrai.
 +
Agamènnone:
 +
  Fu la tua gran tracotanza, per gli Dei! Quando l'hai presa?
 +
Menelào:
 +
  Di tua figlia, che qui d'Argo deve giunger, nell'attesa.
 +
Agamènnone:
 +
  Che t'intrighi dei miei fatti? Sarà questo esser protervo?
 +
Menelào:
 +
  Perché voglia me ne punse dimandai: non son tuo servo.
 +
Agamènnone:
 +
  Questa è nuova! Piú padrone non sarò di casa mia?
 +
Menelào:
 +
  No, ché obliqui i tuoi disegni sono, e tali eran già pria.
 +
Agamènnone:
 +
  Parli ben, ma trista cosa par l'arguzia dei ribaldi.
 +
Menelào:
 +
  Cosa iniqua per gli amici sono i cuor chiusi e non saldi.
 +
  Ora in fallo io ti vo' cogliere, e non sia che l'ira trista
 +
  repudiar ti faccia il vero; né sarà ch'io troppo insista.
 +
  Tu brigasti un dí, per essere duce in Ilio degli Achivi,
 +
  rifiutando in apparenza, ma nel cuor, ben sai, l'ambivi;
 +
  tu, ricordi, eri dimesso, tu stringevi a ognun la mano,
 +
  le tue porte eran dischiuse sempre ad ogni popolano,
 +
  e licenza davi a tutti di parlar, perfino a chi
 +
  non ne aveva voglia, i voti guadagnandoti cosí,
 +
  coi tuoi modi. Ma ben presto, come poi tu fosti in cima,
 +
  li cambiasti, e con gli amici piú non fosti quel di prima:
 +
  fu difficile accostarti, spesso chiuse le tue porte.
 +
  Pur, non deve un galantuomo, quando ride a lui la sorte
 +
  mutar faccia: anzi, agli amici, tanto piú, se in luogo è giunto,
 +
  dove possa, dare aiuto deve. è questo il primo punto
 +
  che ho toccato, perché prima qui scoprii ch'eri dei tristi.
 +
  Quando ad Àulide, e all'esercito degli Ellèni poi venisti,
 +
  nulla tu valevi: l'ira ti colpiva degli Dei,
 +
  né soffiava il vento prospero. Pur, volevano gli Achei
 +
  che quel vano indugio d'àulide si troncasse, e si salpasse.
 +
  Come allora eri sconvolto, come andavi a ciglia basse,
 +
  ché di Priamo la terra, pur guidando mille navi,
 +
  non potevi empir d'armati. Meco allor ti consultavi.
 +
  «Che farò? Devo esser privo del comando? Andrà smarrita
 +
  la mia fama glorïosa? Sono a un passo senza uscita».
 +
  Quando poi Calcante l'augure profetò che convenia
 +
  ad Artèmide immolare la tua figlia Ifigenía,
 +
  perché i Dànai potessero navigar, tu lieto n'eri,
 +
  e la figlia d'immolare promettesti, e volentieri
 +
  dir facesti alla tua sposa - e non già per forza, questo
 +
  non puoi dirlo - che tua figlia qui mandasse col pretesto
 +
  che sposar dovesse Achille. Ora, invece, non vuoi piú,
 +
  e t'ho còlto a scriver questa nuova lettera, che tu
 +
  mai dar morte alla tua figlia non potresti. E sia. La stessa
 +
  aura, ch'or noi respiriamo, quella udí la tua promessa.
 +
  Ciò, del resto, a mille avviene, che al poter la voglia han pronta,
 +
  e faticano, e poi devono rinunciare con grave onta:
 +
  per follia talor di popolo; a ragione poi, quand'essi
 +
  inadatti alla tutela son dei pubblici interessi.
 +
  Ma per l'EIlade è il gran cruccio mio, che mentre si periglia
 +
  a un'impresa glorïosa, per tua colpa e di tua figlia
 +
  deve un barbaro da nulla tollerar che di lei rida.
 +
  Non conviene pel valore solo sceglier chi sia guida
 +
  allo stato ed all'esercito. Chi del senno ebbe la luce
 +
  quello può condurre eserciti, dello Stato quello è duce.
 +
CORO:
 +
  O triste cosa, se i fratelli vengono
 +
  a contrasto, ed ingiurie aspre si scagliano.
 +
Agamènnone:
 +
  Rampognarti, e sia con garbo, devo anch'io; ma sarò breve,
 +
  senza prenderla dall'alto, senza boria, come deve
 +
  un fratello col fratello: perché piace a un uom dabbene
 +
  mantenere il suo decoro. Dimmi un po', da che proviene
 +
  questa tua furia terribile? Forse c'è chi ti soverchi?
 +
  Perché l'occhio pien di sangue vai girando? Forse cerchi
 +
  la tua moglie saggia? Offrirtela non posso io: ché male accorto
 +
  ti mostrasti a custodirla; ma scontar debbo il suo torto
 +
  io, che fallo non commisi? - Ch'io son tutto vanità
 +
  mi rimproveri. Ma tu, non ti curi d'onestà,
 +
  la ragione poni in bando, per goderti a tuo bell'agio
 +
  una bella donna: turpi son le brame del malvagio.
 +
  M'ero appreso a un mal consiglio. Or nel novero dei pazzi
 +
  devo andar, perché lo muto? Tu piuttosto! Ti sbarazzi
 +
  d'una moglie trista, un Nume tal fortuna ti concede,
 +
  e di nuovo tu riprendere te la vuoi. Giuraron fede
 +
  quegli stolidi dei suoi pretendenti. La Speranza
 +
  li convinse, ch'è pur Diva, credo, e non la tua prestanza.
 +
  Or li tieni: in campo guidali: pronti son, ché son dementi.
 +
  Però, Dio, che non è sciocco, ben distingue i giuramenti,
 +
  quei che son prestati senza senno, e quei che sono estorti.
 +
  Non sarà che i miei figliuoli per mia mano cadan morti.
 +
  Non sarà che tu trionfi, a vendetta dello scorno
 +
  d'una pessima consorte, e ch'io debba notte e giorno
 +
  macerarmi nelle lagrime, se con atto iniquo ed empio
 +
  dei figliuoli, a cui la vita diedi pur, facessi scempio.
 +
  Ecco quello ch'io ti dico, senza ambagi e breve e chiaro:
 +
  se ragion tu non intendi, ai miei casi io ben riparo.
 +
CORO:
 +
  Questi discorsi molto differiscono
 +
  da quelli innanzi espressi, ed ammoniscono
 +
  bene a ragion, che i figli si risparmino.
 +
Menelào:
 +
  Amici dunque piú non ho, me misero!
 +
Agamènnone:
 +
  Sí, che li hai, se pur tu non voglia perderli.
 +
Menelào:
 +
  Provar potrai che il tuo padre fu il mio?
 +
Agamènnone:
 +
  Saggio teco esser vo', non già demente.
 +
Menelào:
 +
  Soffrir gli amici con gli amici devono.
 +
Agamènnone:
 +
  Coi benefici, e non coi crucci esortami.
 +
Menelào:
 +
  Questa prova affrontar non vuoi per l'èllade?
 +
Agamènnone:
 +
  Fa' un Dio che teco esca di senno l'èllade.
 +
Menelào:
 +
  Or del tuo scettro mena pompa, e il tuo
 +
  fratel tradisci: ad altri accorgimenti
 +
  ad altri amici io mi rivolgerò.
 +
(Entra un araldo)
 +
ARALDO:
 +
  Agamènnone, re di tutti gli Ellèni,
 +
  eccomi qui, la figlia tua conduco,
 +
  a cui d'Ifigenía tu desti il nome.
 +
  E Clitemnèstra seco vien, la madre
 +
  sua, la tua sposa, e il pargoletto Oreste:
 +
  sí, che goder potrai, poi che da tanto
 +
  da casa lungi sei, del loro aspetto.
 +
  Ma poi che lunga fu la via, vicino
 +
  a una limpida fonte ora al femineo
 +
  piè dan ristoro; e seco le puledre,
 +
  che fra l'erba d'un prato abbiam lasciate
 +
  a pascolare. Ed io son corso qui,
 +
  perché tu possa degnamente accoglierle.
 +
  Ché la fama è già corsa, e già l'esercito
 +
  sa che tua figlia è giunta, e a corsa muovono
 +
  tutte le turbe per vederla: tutto
 +
  si sa sempre dei grandi, esposti sempre
 +
  sono agli occhi di tutti. Ed uno dice:
 +
  «Di che si tratterà? D'un matrimonio?
 +
  O di che altro? Oppur per desiderio
 +
  della sua figlia, ha qui fatto Agamènnone
 +
  venire Ifigenía?» Risponde un altro:
 +
  «Vogliono all'ara presentar d'Artèmide
 +
  la giovinetta, alla Signora d'àulide.
 +
  Chi mai la sposerà?» - Su via, per questa
 +
  cerimonia i canestri or tu prepara,
 +
  le fronti vostre coronate, e tu,
 +
  re Menelào, prepara l'imenèo,
 +
  e il flauto squilli e i piè danzino: tale
 +
  per la fanciulla fausta luce brilla.
 +
Agamènnone:
 +
  Sta bene: ora entra nella tenda: il resto,
 +
  se fortuna ci assiste, andrà pel meglio. -
 +
  Ahi, che farò, misero me? Di dove
 +
  prender le mosse? A che giogo fatale
 +
  avvinto son! M'ha prevenuto il Dèmone,
 +
  che d'ogni astuzia mia stato è piú scaltro.
 +
  Oh quanto giova esser del volgo! Piangere
 +
  posson senza riguardo, e ciò che vogliono
 +
  liberamente dir; ma per me, nobile,
 +
  tutto ciò sconverrebbe. Al viver nostro
 +
  dà le norme il decoro; e della turba
 +
  siamo gli schiavi. Ed io, cosí, di piangere
 +
  or mi vergogno, e poi, misero me,
 +
  mi vergogno di non piangere, quando
 +
  sono caduto in cosí gran sciagura.
 +
  Che potrò dire alla mia sposa? come
 +
  l'accoglierò? come oserò lo sguardo
 +
  levar su lei? Mi die' l'ultimo colpo,
 +
  venendo senza esser chiamata. Eppure,
 +
  che accompagni la figlia è ben diritto,
 +
  ch'essa a nozze la guidi, ed offra a lei
 +
  ogni piú caro dono, e me sorprenda
 +
  nella tristizia mia. Ma la fanciulla...
 +
  Che dico, ahimè! fanciulla? Essa d'Averno
 +
  sarà sposa fra poco. Oh, che pietà!
 +
  Mi par d'udirla già, ch'essa m'implora:
 +
  «Dunque tu, padre mio, m'ucciderai?
 +
  Simili nozze celebrar tu possa,
 +
  e chi tu prediligi!» - E Oreste qui
 +
  sarà, che grida non intelligibili
 +
  leverà, ché non parla, e pure, io bene
 +
  saprò capirle, Ahimè, figlio di Priamo,
 +
  a che rovina m'hai condotto, Pàride,
 +
  sposando Elena! è tua tutta la colpa.
 +
CORO:
 +
  E gemo anch'io, come ad estranea gemere
 +
  per la sciagura dei signor' s'addice.
 +
Menelào:
 +
  La man, fratello, ch'io la stringa, porgimi.
 +
Agamènnone:
 +
  Eccola, hai vinto: un infelice io sono.
 +
Menelào:
 +
  Per Pèlope io ti giuro, che fu padre
 +
  del tuo padre e del mio, per quell'Atrèo
 +
  che la vita ci die', ch'io ti favello
 +
  senza niun artifizio, a cuore aperto,
 +
  quello solo ch'io sento. Allor ch'io vidi
 +
  il pianto che dagli occhi a te sgorgava,
 +
  sentii pietà, versai lagrime anch'io,
 +
  e ciò ch'io dissi lo rinnego, e duro
 +
  con te non sono, e accedo al tuo parere,
 +
  e la figlia t'esorto a non uccidere,
 +
  per anteporre il mio vantaggio al tuo.
 +
  Giusto non è che tu pianga, ed a me
 +
  rida la sorte, che i tuoi figli muoiano,
 +
  e i miei vedan la luce. E infatti, che
 +
  vado cercando? Se di sposa ho brama,
 +
  non posso altrove una eccellente eleggerne?
 +
  Trarre a rovina il fratel mio dovrò,
 +
  ciò che piú che ad ogni altro a me sconviene,
 +
  e avere Elena in cambio? Il male in cambio
 +
  del bene? Oh, fui demente, oh, fui fanciullo,
 +
  pria di veder da presso che significhi
 +
  uccidere una figlia. E poi, pietà
 +
  di lei mi vinse, misera fanciulla,
 +
  che consanguinea m'è, che cader vittima
 +
  dovrebbe per il mio talamo. E che
 +
  rapporto c'è fra la tua figlia ed Elena?
 +
  Si sciolgano le schiere, Àulide lascino;
 +
  e tu non bagnar piú gli occhi di lagrime,
 +
  fratello mio, né provocarmi al pianto.
 +
  Ché se ti resta ancora ombra di scrupolo
 +
  circa il responso di Calcante, niuno
 +
  ne resta a me: per parte mia, sei libero.
 +
  - Ma come mai dai tuoi fieri propositi
 +
  hai desistito? - Ho fatto bene: amore
 +
  del fratello mi mosse; ed attenersi
 +
  al consiglio miglior non è da tristi.
 +
CORO:
 +
  Son generose, son degne di Tàntalo
 +
  figlio di Giove, le parole tue:
 +
  tu non fai torto ai tuoi progenitori.
 +
Agamènnone:
 +
  Ti sono grato, o Menelào, che, contro
 +
  l'opinïone mia, queste parole
 +
  di te degne hai soggiunte. Avvampar sogliono
 +
  le fraterne discordie, o per amore,
 +
  o per avidità di potere: io
 +
  aborro questi parentaggi d'odio
 +
  reciproco; ma or mi lega il fato
 +
  cosí, ch'io debbo la mia figlia uccidere.
 +
Menelào:
 +
  Come? Chi può costringerti ad ucciderla?
 +
Agamènnone:
 +
  Tutto raccolto degli Achei l'esercito.
 +
Menelào:
 +
  No, se di furto ad Argo la rinvii.
 +
Agamènnone:
 +
  Far lo potrei. Ma come poi nascondere...
 +
Menelào:
 +
  Che cosa? Troppo non temer le turbe.
 +
Agamènnone:
 +
  Calcante ad essi svelerà l'oracolo.
 +
Menelào:
 +
  No, se potessi prevenirlo: è facile.
 +
Agamènnone:
 +
  Tutti i profeti ambizïone han troppa.
 +
Menelào:
 +
  Né la presenza lor giova, né piace.
 +
Agamènnone:
 +
  Non temi inoltre... - in mente ora mi viene.
 +
Menelào:
 +
  Come intender posso io ciò che non dici?
 +
Agamènnone:
 +
  Di Sísifo il rampollo? Egli sa tutto.
 +
Menelào:
 +
  Che me, che te danneggi Ulisse? Oh, no!
 +
Agamènnone:
 +
  è sempre doppio, e tien sempre dal popolo.
 +
Menelào:
 +
  Soffre d'ambizïone, un male grave.
 +
Agamènnone:
 +
  Figúrati costui, che fra gli Achei
 +
  surto a parlare, di Calcante sveli
 +
  i vaticinî, e ch'io feci promessa
 +
  d'immolar la mia figlia, ed or mi nego.
 +
  Quando avrà tratto dalla sua l'esercito
 +
  con simili argomenti, ingiungerà
 +
  che, uccisi me e te, gli Argivi immolino
 +
  la mia figliuola. E se fuggissi ad Argo,
 +
  là verrebbero, e me distruggerebbero,
 +
  e meco i valli dei Ciclopi, e a sacco
 +
  metterebber la terra. O me tapino,
 +
  in quali angustie i Numi mi costringono!
 +
  Solo un favore, appena fra l'esercito
 +
  sarai tornato, o Menelào, ti chiedo:
 +
  che di ciò nulla Clitemnèstra sappia,
 +
  prima ch'io m'abbia la fanciulla, e all'Ade
 +
  io l'offra; e quanto men si può di lagrime
 +
  debba versar nella sciagura mia.
 +
  (Alle donne del coro)
 +
  O stranïere, e voi motto non fate.
 +
(Menelào parte)
 +
CORO:                                  Strofe
 +
  Beati quelli per cui savia modera
 +
  Afrodite le sue grazie, e i legittimi
 +
  talami sol conoscono,
 +
  che gli estri mai non seppero
 +
  delle amorose furie!
 +
  Ché Amor, dalla cesarie
 +
  d'oro, vibra dall'arco un dardo duplice,
 +
  e l'uno ha vita prospera,
 +
  l'altro guida al disordine.
 +
  Deh, questo dal mio talamo
 +
  resti ognor lungi, o Cípride.
 +
  La moderata Càrite
 +
  sopra me imperi, e il Desiderio lecito.
 +
  D'Afrodite goder mi sia concesso
 +
  i piaceri; ma stia lungi ogni eccesso.
 +
 +
                                      Antistrofe
 +
  Sono diverse l'indoli degli uomini,
 +
  varii i costumi. Ma l'onesto e il nobile
 +
  fra tutti puoi distinguere.
 +
  Anche t'avvia sul tramite
 +
  di virtú, chi ben t'educa.
 +
  Saggezza e verecondia
 +
  sono una cosa; e pregio ha quel criterio
 +
  che il dovere sa scernere:
 +
  allor si può presumere
 +
  d'aver perenne gloria.
 +
  A virtude aspirare è sommo merito
 +
  per le donne, se valgono
 +
  schivar gli amori subdoli;
 +
  e la nativa agevole misura
 +
  dell'uom, vantaggio alla città procura.
 +
 +
                                      Epodo
 +
  E tu venisti, o Pàride,
 +
  dove pastor di mandrie
 +
  crescesti, fra le candide
 +
  giovenche d'Ida; e sufolavi barbare
 +
  melodi, e sul tuo calamo
 +
  emulavi d'Olimpo i frigi flauti.
 +
  E pascevan le floride
 +
  giovenche, allor che giunsero
 +
  le tre Dive al giudizio,
 +
  e la follia t'invase,
 +
  che t'inviò ne l'Ellade,
 +
  di Menelào presso l'eburnee case.
 +
  E, d'Elena nel ciglio
 +
  figgendo il ciglio, ella d'amor fu scossa,
 +
  e sentisti anche tu la gran percossa.
 +
  Da gara nacque gara;
 +
  ed ora, e navi e cuspidi
 +
  di Troia ai danni l'Ellade prepara.
 +
(Giungono sopra un carro Clitemnèstra ed Ifigenía)
 +
CORIFEA:
 +
  Viva viva! Dei grandi è pur grande
 +
  la fortuna. Vedete Ifigenía,
 +
  la signora, la figlia del re,
 +
  Clitemnèstra vedete, la figlia
 +
  di Tíndaro! Nate da grandi,
 +
  si levano a eccelsa fortuna.
 +
  I possenti ed i ricchi, son numi
 +
  per gli uomini senza fortuna.
 +
  Fermiamoci, o figlie di Càlcide,
 +
  la regina accogliamo, ché il piede
 +
  in fallo non metta, mentre essa
 +
  a terra dal cocchio discende,
 +
  con cuore devoto, con mano
 +
  leggera, ché, appena qui giunta,
 +
  sbigottire non debba la figlia
 +
  d'Agamènnone eccelsa, né causa
 +
  noi siam di terrore alle argive,
 +
  noi, ospiti, alle ospiti.
 +
(Si affollano intorno al carro)
 +
Clitemnèstra:
 +
  La gentilezza tua per buon augurio
 +
  tengo, e le tue buone parole; e in cuore
 +
  nutro speranza che a felici nozze
 +
  abbia la sposa addotta. Ora, dal carro
 +
  prendete i doni che per dote io reco
 +
  della fanciulla, e cauti trasportateli
 +
  dentro la tenda. E tu, figlia, non muoverti
 +
  dal cocchio, a terra non posare il piede,
 +
  tenera e stanca quale or sei. Fanciulle,
 +
  or fra le vostre braccia ricevetela,
 +
  aiutatela a scendere. Ed a me
 +
  il fulcro della mano alcuno porga,
 +
  ch'io possa abbandonar senza disagio
 +
  del cocchio il seggio. E innanzi voi ponetevi
 +
  coi puledri aggiogati: ombroso è l'occhio,
 +
  se non lo calmi, dei puledri. E questo
 +
  d'Agamènnone figlio anche prendete,
 +
  Oreste: ch'egli non favella ancora.
 +
  O figlio, dormi? T'ha sopito il trotto
 +
  del carro? Su, col buon augurio svégliati,
 +
  ché tua sorella si fa sposa. Nobile
 +
  essa, e lo sposo nobile sarà,
 +
  della Nerèide il figlio ai Numi simile.
 +
  Accanto a me scendi, figliuola, fatti,
 +
  Ifigenía, presso alla madre, ché
 +
  la mia felicità vedan queste ospiti.
 +
  E poi saluta il tuo padre diletto. -
 +
  (Giunge Agamènnone)
 +
  Agamènnone re, mio grande orgoglio,
 +
  obbedïenti al cenno tuo venimmo.
 +
Ifigenía:
 +
  O madre mia, non adirarti! Io corro,
 +
  il seno mio del padre al seno stringo.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Dev'essere cosí, figlia: ché tu
 +
  piú d'ogni altro mio figlio il padre amasti.
 +
Ifigenía:
 +
  Che gioia, dopo tanto, alfin vederti!
 +
Agamènnone:
 +
  Ed io te: tu parlasti anche per me.
 +
Ifigenía:
 +
  Salute! Presso te fu bene addurmi.
 +
Agamènnone:
 +
  Non so s'io dire ciò debba, o non dirlo.
 +
Ifigenía:
 +
  Ahimè!
 +
  Godi a vedermi, eppur non sei sereno!
 +
Agamènnone:
 +
  Un duce, un re, molti pensieri angustiano.
 +
Ifigenía:
 +
  Or lascia ogni pensiero, e bada a me.
 +
Agamènnone:
 +
  Vicino a te son tutto, e non altrove.
 +
Ifigenía:
 +
  Il ciglio spiana, rasserena il guardo.
 +
Agamènnone:
 +
  Ecco: godo a vederti, o figlia, godo.
 +
Ifigenía:
 +
  E dal tuo ciglio intanto versi lagrime?
 +
Agamènnone:
 +
  Perché dovremo a lungo esser lontani.
 +
Ifigenía:
 +
  No, non t'intendo, o padre mio carissimo.
 +
Agamènnone:
 +
  Io sí, t'intendo; e ciò piú m'addolora.
 +
Ifigenía:
 +
  Parlerò, se t'allieta, oscuramente.
 +
Agamènnone:
 +
  Ahimè, tacer non posso! Oh, tu sei buona.
 +
Ifigenía:
 +
  Presso i tuoi figli, o padre, in casa resta.
 +
Agamènnone:
 +
  Lo bramo, né bramar posso, e mi cruccio.
 +
Ifigenía:
 +
  E guerra e guai di Menelào si sperdano.
 +
Agamènnone:
 +
  Altri perir, come io perii, faranno.
 +
Ifigenía:
 +
  Da quanto indugi nei recessi d'àulide!
 +
Agamènnone:
 +
  E debbo ancora trattener l'esercito.
 +
Ifigenía:
 +
  O padre, di': dove han soggiorno i Frigi?
 +
Agamènnone:
 +
  Ove Pàride mai nato non fosse!
 +
Ifigenía:
 +
  Mi lasci, o padre! E vai molto lontano?
 +
Agamènnone:
 +
  E lontano anche tu gir devi, o figlia.
 +
Ifigenía:
 +
  Deh, navigare
 +
  io potessi con te!
 +
Agamènnone:
 +
  Navigherai
 +
  tu pure, ove di me sarai ben memore.
 +
Ifigenía:
 +
  E sola o con mia madre andar dovrò?
 +
Agamènnone:
 +
  Senza la madre e senza il padre, sola.
 +
Ifigenía:
 +
  Forse lungi di qui, padre, m'accasi.
 +
Agamènnone:
 +
  Non dei saper, ché sei fanciulla: taci.
 +
Ifigenía:
 +
  Debella i Frigi, e a me presto ritorna.
 +
Agamènnone:
 +
  Qui pria sacrificar debbo una vittima.
 +
Ifigenía:
 +
  Assisterò, vedrò quanto è pur lecito.
 +
Agamènnone:
 +
  Vedrai, starai presso all'acqua lustrale.
 +
Ifigenía:
 +
  Intrecceremo danze all'ara intorno?
 +
Agamènnone:
 +
  Quanto beata piú di me ti reputo,
 +
  che nulla intendi! Nella tenda ora entra,
 +
  ch'esser vedute alle fanciulle spiace.
 +
  E un bacio dammi, e porgimi la destra,
 +
  ché lungo tempo star dovrai lontana
 +
  dal padre. - O seno, o gote, o bionde chiome,
 +
  di quanto danno la città dei Frigi
 +
  ed Elena per te fu causa! Taccio
 +
  ché rugiada urge le mie ciglia, mentre
 +
  ti stringo al seno. E tu, figlia di Leda,
 +
  perdona a me, se troppo io mi commòvo,
 +
  quando in procinto sono di concedere
 +
  la mia figlia ad Achille. Il suo commiato
 +
  lieto sarà, ma piange sempre il cuore
 +
  d'un padre, quando i figli suoi, cresciuti
 +
  con tanta pena, ad altre case affida.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Tanto stolta non sono; e sii pur certo
 +
  che troppo anch'io la stessa doglia provo,
 +
  per rinfacciarla a te, mentre la figlia
 +
  conduco a nozze. Or dimmi tu: ché il nome
 +
  so del giovine a cui sposa concedi
 +
  la figlia nostra; ma di quale stirpe,
 +
  di quale terra sia saper desidero.
 +
Agamènnone:
 +
  D'àsopo nacque la fanciulla Egìna.
 +
Clitemnèstra:
 +
  E sposo a lei chi fu, mortale o Nume?
 +
Agamènnone:
 +
  Giove. E d'Enòna il primo, èaco n'ebbe.
 +
Clitemnèstra:
 +
  E qual d'èaco figlio indi regnò?
 +
Agamènnone:
 +
  Pelèo: sposa ebbe questi la Nerèide.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Un Dio gliela concesse? O a forza l'ebbe?
 +
Agamènnone:
 +
  Giove a lui la promise, a lui la diede.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Dove sposò? Fra l'estuar del ponto?
 +
Agamènnone:
 +
  Nel Pelio sacro, ove abita Chirone.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Dove, dicon, soggiorno hanno i Centauri?
 +
Agamènnone:
 +
  Qui le sue nozze i Numi celebrarono.
 +
Clitemnèstra:
 +
  E chi educava Achille? Il padre o Tètide?
 +
Agamènnone:
 +
  Chirone, lungi dalle triste genti.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Saggio il maestro e chi glie l'affidò.
 +
Agamènnone:
 +
  Di tal uomo sarà sposa tua figlia.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Da non spregiare. E dove abiterà?
 +
Agamènnone:
 +
  A Ftia, presso i confini, in Apidàno.
 +
Clitemnèstra:
 +
  La mia figlia, la tua, lí condurrà?
 +
Agamènnone:
 +
  Chi la possederà dovrà decidere.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Fortuna a loro! E in che dí sposeranno?
 +
Agamènnone:
 +
  Quando piena la luna in ciel rifulga.
 +
Clitemnèstra:
 +
  La vittima alla Diva offriste già?
 +
Agamènnone:
 +
  Ero in procinto; a tale ufficio intendo.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Súbito poi celebrerai le nozze?
 +
Agamènnone:
 +
  Quando l'ostie dovute abbiano i Numi.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Per le donne il convito ove imbandire?
 +
Agamènnone:
 +
  Qui, vicino alle belle argive navi.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Sta bene; e arrida prospero l'evento.
 +
Agamènnone:
 +
  Sai sposa mia, che devi fare? Ascoltami.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Che cosa? Ad ubbidirti io sono avvezza.
 +
Agamènnone:
 +
  Intanto, io, là, dov'è pure lo sposo...
 +
Clitemnèstra:
 +
  Farete ciò che far deve la madre?
 +
Agamènnone:
 +
  Celebrerò fra i Danäi le nozze.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Ed io, frattanto, dove esser dovrò?
 +
Agamènnone:
 +
  Ritorna ad Argo, e alle fanciulle bada.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Lasciar mia figlia? E chi terrà la fiaccola?
 +
Agamènnone:
 +
  Io: quella che conviene a nozze simili.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Tal non è l'uso, a cui convien chinarsi.
 +
Agamènnone:
 +
  Mischiarti fra le schiere a te sconviene.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Ma mi convien la figlia a nozze addurre.
 +
Agamènnone:
 +
  E lasciar sole in casa l'altre figlie?
 +
Clitemnèstra:
 +
  Nei ginecei, ben custodite sono.
 +
Agamènnone:
 +
  Ciò ch'io ti dico, fa'.
 +
Clitemnèstra:
 +
  No, per la Dea
 +
  che in Argo impera. Delle cose pubbliche
 +
  abbi tu cura, ed io delle domestiche,
 +
  di ciò che occorre a giovinette spose.
 +
(Esce)
 +
Agamènnone:
 +
  Ahimè, ché indarno m'affannai, deluso
 +
  fui, ché speravo allontanar dal campo
 +
  la sposa mia: ché contro i miei piú cari
 +
  debbo cercar pretesti e sotterfugi,
 +
  e d'ogni parte sono vinto. Eppure,
 +
  da Calcante indovino andrò, con lui
 +
  consulterò quanto alla Diva piaccia.
 +
(Esce)
 +
CORO:                                  Strofe
 +
  Al Simoenta, ai vortici
 +
  d'argento, giungerà la moltitudine
 +
  dell'esercito achèo, sopra le rapide
 +
  navi, chiuso nell'armi, ai valli d'Ilio,
 +
  alla febèa di Troia
 +
  pianura, ove, raccontano,
 +
  Cassandra avventa all'aura i flavi riccioli,
 +
  e, a farsi adorna, il pallido
 +
  serto d'alloro alle sue chiome gira,
 +
  allor che nel suo seno ineluttabile
 +
  la fatidica possa il Nume spira.
 +
 +
                                      Antistrofe
 +
  E staran sugli aerei
 +
  spalti i Troiani, e intomo al muro d'Ilio,
 +
  allor che Marte dallo scudo bronzeo,
 +
  coi bei navigli attraversando il pelago,
 +
  verrà, verrà con l'impeto
 +
  dei remi, ai molli tramiti
 +
  del Simoenta: ch'esso, dei Dïòscuri
 +
  che si libran nell'ètere
 +
  vuol ricondurre la sorella, Elèna,
 +
  dalla reggia di Priamo ai lidi d'Ellade
 +
  con lance e scudi; e avran gli Dei gran pena.
 +
 +
                                      Epodo
 +
  E le torri marmoree
 +
  della rocca di Pergamo
 +
  con le omicide cuspidi
 +
  circondate, e dai culmini
 +
  distrutta la città,
 +
  le figliuole di Priamo
 +
  e la sposa nel pianto immergerà,
 +
  e di Giove la figlia
 +
  che lo sposo tradiva, Elena, lagrime
 +
  versare anche dovrà.
 +
  Deh, mai tale presagio
 +
  io debba avere di futuro danno,
 +
  come le spose frigie ornate d'oro!
 +
  Ai telai sederanno
 +
  e diranno fra loro:
 +
  «Chi dunque, per la florida
 +
  chioma ghermita, con furia di lagrime,
 +
  dalla distrutta patria
 +
  ne rapirà sua preda,
 +
  per te, che sei germoglio
 +
  d'un collilungo cigno, se veridica
 +
  è la fama che a Giove, allor che aligera
 +
  parvenza assunse, te generò Leda,
 +
  se pure inani favole
 +
  queste non sono, che gli uomini appresero
 +
  dalle pïerie tàvole».
 +
(Giunge Achille)
 +
ACHILLE:
 +
  Il condottier dov'è qui degli Achìvi?
 +
  Qual dei famigli a lui dirà che Achille
 +
  il figlio di Pelèo, giunto alla sua
 +
  tenda, lo cerca? Non è forse pari
 +
  per tutti, il peso dell'indugio? Alcuni
 +
  fra quanti siam su questa spiaggia, privi
 +
  di sposa ancora, vuote abbiam lasciato
 +
  le nostre case; ed altri abbandonarono
 +
  e spose e figli: tal brama di zuffe
 +
  invase, non senza voler dei Numi,
 +
  l'Ellade tutta. Ora è giusto ch'io dica
 +
  quello che m'interessa; ed altri esponga
 +
  ciò ch'egli brama. Io, Fàrsalo e Pelèo
 +
  abbandonato, in questo Eurípo attendo,
 +
  dove soffio non spira; e i miei Mirmídoni
 +
  debbo frenare; e quelli ognor m'incalzano
 +
  e mi dicono: «Achille, or che s'attende?
 +
  Per quanto ancor l'ore contar dovremo,
 +
  pria di muovere ad Ilio? Or, se da compiere
 +
  c'è qualche opra, si compia; e non attendere
 +
  piú a lungo, qui, l'indugio degli Atrídi».
 +
Clitemnèstra:
 +
  Dal di dentro i tuoi detti uditi, ho, figlio
 +
  della Diva Nerèide; e sono uscita.
 +
ACHILLE:
 +
  Divo Pudore, e quale donna mai
 +
  veggo, d'assetto cosí bello e ornato?
 +
Clitemnèstra:
 +
  Non mi conosci tu? S'intende: mai
 +
  non mi vedesti; e ben pregi il pudore.
 +
ACHILLE:
 +
  Chi sei? Perché venuta sei dei Dànai,
 +
  fra le schiere, fra genti armate a guerra?
 +
Clitemnèstra:
 +
  Figlia di Leda io sono: il nome mio
 +
  è Clitemnèstra: il mio sposo Agamènnone.
 +
ACHILLE:
 +
  Brevi ed acconce fûr le tue parole;
 +
  ma non conviene ch'io parli con femmine.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Resta: ché fuggi? A me porgi la destra,
 +
  e sia preludio di felici nozze.
 +
ACHILLE:
 +
  Che dici? A te la destra? D'Agamènnone
 +
  il rispetto mi tien, ch'io pur ti tocchi.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Figlio della Nerèide, a te ben lecito
 +
  è, poiché tu sposar devi mia figlia.
 +
ACHILLE:
 +
  Sposar tua figlia? Io resto muto, o donna:
 +
  sconvolto è il tuo pensier, che cosí parli?
 +
Clitemnèstra:
 +
  Vergogna insita è in tutti, allor che veggono
 +
  amici nuovi, e che di nozze parlino.
 +
ACHILLE:
 +
  Promesso alla tua figlia io mai non fui,
 +
  né mai gli Atrídi mi parlâr di nozze.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Che significa ciò? Tu dei miei detti
 +
  fai meraviglia ancora, ed io dei tuoi.
 +
ACHILLE:
 +
  Argomentiamo: argomentare a entrambi
 +
  conviene, che né tu né io mentiamo.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Tale ingiuria m'han fatta? A infinte nozze
 +
  strinsi mia figlia, sembra. Io pur n'ho scorno.
 +
ACHILLE:
 +
  Entrambi alcun ci offese, e me e te;
 +
  pur non fartene cruccio, e non curartene.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Addio! Non oso piú guardarti: vittima
 +
  fui d'un indegno tratto, e il falso io dissi.
 +
ACHILLE:
 +
  Ciò che mi dici, anch'io ti dico: ora entra
 +
  in questa tenda, ed il tuo sposo interroga.
 +
(Dalla tenda esce il vecchio servo)
 +
VECCHIO:
 +
  O nipote d'èaco, o figlio della Dea, le mie parole
 +
  sono a te rivolte: arrèstati; e tu ancor, di Leda prole.
 +
ACHILLE:
 +
  Chi dall'uscio semichiuso chiama a sé timidamente?
 +
VECCHIO:
 +
  Servo io sono, e non m'esalto: la fortuna nol consente.
 +
ACHILLE:
 +
  Mio non già: nulla in comune Agamènnone ha con me.
 +
VECCHIO:
 +
  Di costei, che vedi: Tíndaro, il suo padre, a lei mi die'.
 +
ACHILLE:
 +
  Ecco, indugio; e tu che brami di', perché vuoi che qui attenda.
 +
VECCHIO:
 +
  Tu soltanto e la regina siete innanzi a questa tenda?
 +
ACHILLE:
 +
  Esci pur dal padiglione del re, parla: soli siamo.
 +
VECCHIO:
 +
  O Fortuna, o Provvidenza, salvi sian quelli ch'io bramo.
 +
ACHILLE:
 +
  I tuoi detti non son brevi: gioveranno pel futuro.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Se qualcosa devi dirmi, non tardar, te ne scongiuro.
 +
VECCHIO:
 +
  Sai chi son, sai quanto affetto per te nutro e pei tuoi figli.
 +
Clitemnèstra:
 +
  So che sei della mia casa fra i piú antichi dei famigli.
 +
VECCHIO:
 +
  Come parte di tua dote m'ebbe il re, ciò pur t'è noto.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Sí: venisti meco in Argo, e mi fosti ognor devoto.
 +
VECCHIO:
 +
  Cosí appunto; ed il tuo sposo di te meno a me fu caro.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Ciò che vai dicendo, a me lo dovresti dir men chiaro.
 +
VECCHIO:
 +
  La tua figlia il padre stesso di sua mano uccider vuole.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Come? O vecchio, tu sei pazzo. Sperse sian le tue parole!
 +
VECCHIO:
 +
  La sua spada vuol che sanguini nella bianca gola immersa.
 +
Clitemnèstra:
 +
  O me misera! Il mio sposo la ragione ha dunque persa?
 +
VECCHIO:
 +
  Salda l'ha, tranne per te, per tua figlia; per noi, no.
 +
Clitemnèstra:
 +
  E per qual ragione? Quale triste genio l'invasò?
 +
VECCHIO:
 +
  Fu Calcante, perché possano degli Achei giunger le squadre...
 +
Clitemnèstra:
 +
  Dove? Ahimè! Povera figlia mia, che morte avrai dal padre!
 +
VECCHIO:
 +
  Perché possa Elena avere Menelào, dinanzi a Troia.
 +
Clitemnèstra:
 +
  è destino che mia figlia, perché torni Elena, muoia?
 +
VECCHIO:
 +
  Ad Artèmide dal padre suo sgozzata. Or tutto io dissi.
 +
Clitemnèstra:
 +
  E le nozze, dunque, furono un pretesto, ch'io venissi?
 +
VECCHIO:
 +
  Perché tu lieta ad Achille conducessi Ifigenía.
 +
Clitemnèstra:
 +
  In che abisso entrambe siamo rovinate, o figlia mia!
 +
VECCHIO:
 +
  Fu tremendo d'Agamènnone l'atto, orrendo è il vostro schianto.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Sono, ahimè!, perduta, a fiumi giú dai cigli erompe il pianto.
 +
VECCHIO:
 +
  Una madre i figli piangere n'ha ragion, come altri mai.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Ma tu, ciò che dici, o vecchio, di saper, come lo sai?
 +
VECCHIO:
 +
  Ti recavo, oltre la prima che tu avesti, una missiva.
 +
Clitemnèstra:
 +
  M'imponea la figlia a morte di recare, o l'impediva?
 +
VECCHIO:
 +
  L'impediva: folle quando me la diede, piú non era.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Ed a me tu quella lettera non recasti? In che maniera?
 +
VECCHIO:
 +
  Menelào me la strappava; del mal nostro è desso il reo.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Odi tu, della Nèreide figlio, figlio di Pelèo?
 +
ACHILLE:
 +
  Tu sei misera, io mal tollero che fui tratto in questo inganno.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Col pretesto di tue nozze la mia figlia uccideranno.
 +
ACHILLE:
 +
  Del tuo sposo il fallo, poco non pensar che anche me tocchi.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Il pudor non mi trattiene dal gittarmi ai tuoi ginocchi,
 +
  io mortale, a te figliuolo d'una Dea. Quale albagia
 +
  posso avere? O per chi piú che per te, figliuola mia,
 +
  adoprar mi debbo? E aiuto dammi tu nella disdetta,
 +
  o figliuolo della Diva, ed a quella che fu detta
 +
  sposa tua, sia pure invano, ma fu detta; ond'io le chiome
 +
  di ghirlande le recinsi, ed a te l'addussi, come
 +
  al suo sposo: di sua morte sarà questo invece il giorno.
 +
  Ma su te, qualor soccorso non le dia, cadrà lo scorno:
 +
  ché se tu, con lei dal giogo nuzïal non fosti unito,
 +
  della misera fanciulla detto pur fosti marito.
 +
  Per la man tua, la tua gota, la tua madre, se perduto
 +
  m'ha il tuo nome, nel tuo nome ora sia ch'io trovi aiuto.
 +
  Poiché, tranne il tuo ginocchio, non c'è altar che m'assicuri,
 +
  non c'è amico che m'aiuti; e tu sai quanto son duri
 +
  i disegni d'Agamènnone, come atroci. E io, donna, quale
 +
  tu mi vedi, son qui giunta a un esercito navale,
 +
  non piú docile al comando, e disposto ad osar tutto
 +
  contro i duci, ov'essi indugino, ma da trame utile frutto
 +
  sol che vogliano. Or, se cuore hai di stendermi la destra,
 +
  sono salva: se rifiuti, già perduta è Clitemnèstra.
 +
CORO:
 +
  è cosa grande l'esser madre: è filtro
 +
  possente in seno a tutti quanti gli esseri,
 +
  sí che pei figli ogni fatica affrontino.
 +
ACHILLE:
 +
  Pieno d'eccelso ardor l'animo mio
 +
  balza, che ognor misura serba, e quando
 +
  la sciagura l'opprime, e quando prospera
 +
  la fortuna lo esalta. E quanti nutrono
 +
  simili sensi, di lor vita guidano
 +
  diritto il corso, e lor compagno è il senno.
 +
  Giova talor non troppo essere saggi,
 +
  giova talor nutrire util pensiero.
 +
  Ed io, cresciuto in casa d'un piissimo
 +
  uom, di Chirone, i semplici costumi
 +
  appresi, ed agli Atrídi ubbidirò,
 +
  quando leciti siano i lor comandi;
 +
  e quando turpi, disubbidirò:
 +
  serbando intatta l'indole mia libera,
 +
  in Troia il mio valor farò palese.
 +
  O donna, che patisci acerbi danni
 +
  dai tuoi piú cari, io te, per quanto un uomo
 +
  giovane possa, di pietà cingendoti,
 +
  consolare saprò. Non mai la figlia
 +
  tua, già promessa a me, sarà sgozzata
 +
  dal padre suo. Non mai concederò
 +
  la mia persona, che serva al tuo sposo
 +
  per tendere lacciuoli: il nome mio,
 +
  sebbene ferro mai non abbia stretto,
 +
  ucciderebbe la tua figlia: piú
 +
  non sarebbe il mio nome immacolato,
 +
  se per me, per le mie nozze, morisse
 +
  questa fanciulla, che patisce pene
 +
  orride, insopportabili, che vittima
 +
  procombe di soprusi indegni e nuovi.
 +
  Fra gli Argivi sarei tutti il piú tristo,
 +
  un uom sarei da nulla, e Menelào
 +
  fra gli eroi conterebbe, e non di Pèleo
 +
  figlio sarei, ma d'un malvagio dèmone,
 +
  se, del tuo sposo in cambio, il nome mio
 +
  divenisse assassino. Oh, per Nerèo
 +
  che fra gli umidi gorghi ebbe la vita,
 +
  che vita diede alla mia madre Tètide,
 +
  Agamènnone re la figlia tua
 +
  non toccherà, neppur le somme dita
 +
  alle sue vesti avvicinar potrà.
 +
  O Sípilo, se no, donde proviene
 +
  d'Atrèo la stirpe, ed è rocca di barbari,
 +
  città sarebbe, e piú nessuno il nome
 +
  di Ftia ricorderebbe. Assai dovranno
 +
  saper d'amaro acque lustrali ed orzo
 +
  al profeta Calcante. Ed uomo è forse
 +
  un profeta, che assai dice menzogne,
 +
  e poche verità, quando l'imbrocca,
 +
  e quando sbaglia, si dilegua? E questo
 +
  io non lo dico per le nozze: mille
 +
  fanciulle essermi spose bramerebbero.
 +
  Ma grave torto a me fece Agamènnone:
 +
  a me chieder doveva il nome mio,
 +
  per adescar la figlia; e Clitemnèstra
 +
  meglio da me sarebbe stata indotta
 +
  a cedere la figlia. Ed io concesso
 +
  agli Ellèni l'avrei, se non concederlo
 +
  contesa avesse la partenza. Opposto
 +
  non mi sarei, che prospera la sorte
 +
  volgesse a quelli onde alleato io venni.
 +
  Ma i duci in nessun conto ora mi tengono:
 +
  bene trattarmi, o male, è ugual per essi.
 +
  Ma ragione farà presto la spada,
 +
  che, prima ancor di giungere tra i Frigi,
 +
  io di macchie sanguigne spruzzerò,
 +
  se vorrà la tua figlia alcun rapirmi.
 +
  Sta pur tranquilla. A te parvi un grandissimo
 +
  Nume, e non ero; e adesso io tal sarò.
 +
CORO:
 +
  Parole hai dette, o figlio di Pelèo,
 +
  degne di te, della marina Diva.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Ahimè!
 +
  Come fare io potrò che le mie lodi
 +
  non sian soverchie, e che non siano scarse
 +
  tanto, ch'io perda il tuo favore? I buoni
 +
  chi di lodi li colma hanno a dispetto.
 +
  E mi vergogno poi, che questi lagni
 +
  porgerti devo, per un mal che tocca
 +
  me sola, e immune tu ne sei. Ma bello
 +
  è, per un uomo retto, agli infelici,
 +
  pur se rimane ai loro mali estraneo,
 +
  recar soccorso. Abbi di me pietà,
 +
  ché ne son degne le mie pene. Genero
 +
  sperai te prima avere, e poi rimasi
 +
  con la vana speranza; e tristo augurio
 +
  sarebbe per le tue nozze future
 +
  la morte della mia figlia; e tu schivalo.
 +
  Ma savie furon le tue prime e l'ultime
 +
  parole; e, se tu vuoi, salva sarà
 +
  la figlia mia. Vuoi ch'ella cada supplice
 +
  dinanzi ai tuoi ginocchi? Ad una vergine
 +
  ciò si sconviene; ma se tu lo brami,
 +
  di pudore velato il ciglio nobile,
 +
  essa verrà. Ma, se da te lo stesso
 +
  posso impetrar, senza che venga, resti
 +
  pur nella tenda. è il suo pudor lodevole:
 +
  pur serbarlo convien quanto bisogna.
 +
ACHILLE:
 +
  Non condurre tua figlia al mio cospetto,
 +
  non affrontiamo degli stolti il biasimo:
 +
  ch'or, lungi d'ogni sua briga domestica,
 +
  l'esercito qui accolto, ama le tristi
 +
  e malefiche ciance; e, sia pregando,
 +
  sia non pregando, il vostro scopo in tutto
 +
  conseguirete: è mio solenne impegno
 +
  liberarvi dai mali; e del mio dire
 +
  ciò sappi sol: ch'esso non fu mendace.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Sii tu felice, che soccorri i miseri.
 +
ACHILLE:
 +
  Odimi, perché tutto a ben proceda.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Che vuoi tu dire? Darti ascolto è d'uopo.
 +
ACHILLE:
 +
  A miglior senno si richiami il padre.
 +
Clitemnèstra:
 +
  è vile, e troppa tema ha dell'esercito.
 +
ACHILLE:
 +
  Ma gli argomenti l'un l'altro s'abbattono.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Vana speranza. E che far devo? Dimmelo.
 +
ACHILLE:
 +
  La figlia pria che non uccida pregalo;
 +
  e se resiste, a me devi ricorrere.
 +
  Perché, se voi lo convincete, inutile
 +
  sarà l'opera mia, ché la salvezza
 +
  avrete allora conseguita, ed io
 +
  meglio procederò verso l'amico,
 +
  né rampognare mi potrà l'esercito
 +
  se la ragione e non la forza adopero.
 +
  Pur senza me, cosí possano compiersi
 +
  gli eventi che agli amici gaudio arrechino.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Saggio parlasti; e far bisogna quello
 +
  che dici tu. Ma se di ciò che bramo
 +
  alcunché non conseguo, ove potrò
 +
  vederti ancora, ove recarmi, o me
 +
  misera, dove, per trovar la tua
 +
  mano, dei mali miei soccorritrice?
 +
ACHILLE:
 +
  Vigilerò, dove bisogni: niuno
 +
  scorgerti deve sbigottita muovere
 +
  per l'esercito acheo: torto alla casa
 +
  non far del padre. Non è degno Tíndaro
 +
  di mala fama, ch'è sommo fra gli Ellèni.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Sarà cosí. Comanda: a me conviene
 +
  far ciò che dici tu. Se i Numi esistono,
 +
  prospera sorte tu godrai, ché sei
 +
  giusto. E se no, l'affaticar che giova?
 +
(Clitemnèstra entra nella tenda. Achille esce per tornare fra l'esercito)
 +
CORO:                                  Strofe
 +
  Sul flauto libio, sopra la cetera
 +
  dei balli amica, sui cavi biodi
 +
  contesti nella sampogna, il cantico
 +
  di nozze espresse dolci melodi
 +
  quando le Pierïe Dive, dai riccioli
 +
  belli, al festino dei Numi vennero,
 +
  battendo in danza dell'aureo sandalo
 +
  la lieve pesta,
 +
  quel dí che a nozze moveva Pèleo,
 +
  Tètide e il germine d'èaco esaltando nei loro cantici,
 +
  su l'alpe dei Centauri,
 +
  nella Pelia foresta.
 +
  E il dardanio fanciullo,
 +
  di Giove al talamo dolce trastullo,
 +
  il frigio Ganimède,
 +
  dal fondo grembo all'anfore
 +
  d'oro, attingeva il nèttare.
 +
  E, su la sabbia candida
 +
  volgendo in giro il piede,
 +
  danzaron l'imenèo
 +
  le cinquanta figliuole di Nerèo.
 +
 +
                                      Antistrofe
 +
  Cinte le chiome di verdi foglie,
 +
  stringendo in pugno tronchi di pino,
 +
  venne l'equestre stuol dei Centauri,
 +
  di Bacco ai calici colmi, al festino
 +
  dei Numi. Ed alte grida levarono:
 +
  «Figlio di Nèreo, Chiron, veridico
 +
  vate dei cantici febèi, pronòstica
 +
  che un tuo figliuolo
 +
  sarà purissima luce pei Tèssali,
 +
  che coi Mirmídoni guerrieri, armati di scudo e lancia,
 +
  a saccheggiar di Priamo
 +
  giunge il celebre suolo,
 +
  cinto dell'armi d'oro
 +
  d'Efesto delle mani lavoro.
 +
  A lei la genitrice
 +
  ne farà dono, Tétide
 +
  ond'ebbe il vital gèrmine.
 +
  Celebreranno i Dèmoni,
 +
  quell'imenèo felice
 +
  del figliuol di Pelèo,
 +
  della marina figlia di Nerèo».
 +
 +
                                      Epodo
 +
  A te la chioma ricciola bella
 +
  gli Achivi, o vergine, ghirlanderanno,
 +
  come a vitella
 +
  varïopinta, che giunga intatta
 +
  dai suoi rocciosi montani spechi,
 +
  a te la tenera gola di sangue cospargeranno.
 +
  Né fra sampogne tu, né fra gli echi
 +
  di pastorali canti crescesti.
 +
  Per qualche eletto giovine d'Ìnaco,
 +
  te crebbe, pura
 +
  sposa, materna gelosa cura.
 +
  Qual forza avranno piú
 +
  verecondia e virtú,
 +
  quando trionfa l'empio,
 +
  né gara è fra i mortali, perché s'eviti
 +
  lo sdegno dei Celesti?
 +
(Dalla tenda esce Clitemnèstra)
 +
Clitemnèstra:
 +
  Uscita sono dalla tenda, e cerco
 +
  lo sposo mio, già da gran tempo uscito.
 +
  La misera mia figlia, in pianto immersa,
 +
  empie l'aria col suon vario dei lagni,
 +
  poi che la morte che dal padre inflitta
 +
  le sarà, seppe. Io parlo d'Agamènnone;
 +
  ed ei s'appressa al luogo ove convinto
 +
  d'empiezza contro i figli suoi sarà.
 +
Agamènnone:
 +
  Figlia di Leda, in buon momento fuori
 +
  della tenda ti trovo, ove a proposito
 +
  d'Ifigenía, ciò ti dirò, che, a nozze
 +
  movendo, le fanciulle udir non debbono.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Qual cosa mai tanto opportuna giunge?
 +
Agamènnone:
 +
  Fa' dalla tenda la fanciulla uscire,
 +
  ch'essa col padre suo venga. è già pronta
 +
  l'acqua lustrale, ed i granelli d'orzo
 +
  da gittare sul fuoco, e le vitelle
 +
  che cadran, prima delle nozze, il negro
 +
  sangue spruzzando, vittime d'Artèmide.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Le tue parole son belle; ma l'opere
 +
  tue, non saprei come trovar parole
 +
  per approvarle. - O figlia, esci qui fuori.
 +
  Di tuo padre sai ben quanto ei decise.
 +
  E prendi Orèste, il tuo fratello, avvolgilo
 +
  nel peplo, o figlia, e conducilo qui.
 +
  Ecco, tua figlia ad ubbidirti è pronta.
 +
  Altre cose io, per me, per lei dirò.
 +
Agamènnone:
 +
  Figlia mia, perché piangi, e dolcemente
 +
  piú non mi guardi, e gli occhi a terra abbassi,
 +
  e velo ad essi fai del peplo?
 +
Clitemnèstra:
 +
  Ahimè!
 +
  Da qual dei mali miei comincerò?
 +
  D'essere primo ciascun d'essi è degno.
 +
Agamènnone:
 +
  Che c'è? D'un solo cuore a me rivolte,
 +
  turbato avete ed agitato il guardo.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Ai detti miei franco rispondi, o sposo.
 +
Agamènnone:
 +
  Risponderò: non val che tu m'esorti.
 +
Clitemnèstra:
 +
  La figlia tua, la mia, t'appresti a uccidere?
 +
Agamènnone:
 +
  Ahimè!
 +
  Tristi i tuoi detti, il tuo sospetto indegno.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Rimani calmo:
 +
  e su tal punto a me prima rispondi.
 +
Agamènnone:
 +
  Discreta chiedi, ed io risponderò.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Io non divago, e tu non divagare.
 +
Agamènnone:
 +
  O Diva Parca, o mia Sorte, o mio Dèmone!
 +
Clitemnèstra:
 +
  E mio, della mia figlia, uno e medesimo
 +
  per tre meschini!
 +
Agamènnone:
 +
  Chi ti fece torto?
 +
Clitemnèstra:
 +
  A me lo chiedi? Di prudenza priva
 +
  è la prudenza che tu mostri.
 +
Agamènnone:
 +
  Tutto
 +
  è finito. Svelato è il mio segreto.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Inteso ho tutto, e so quel che t'accingi
 +
  a far di noi. T'accusa il tuo silenzio,
 +
  e il gemer lungo: motto non aggiungere.
 +
Agamènnone:
 +
  Ecco, taccio. Perché dovrà chi mente
 +
  alla sciagura l'impudenza aggiungere?
 +
Clitemnèstra:
 +
  Ascolta dunque: con parole chiare,
 +
  non per enigmi, io ti favellerò.
 +
  E prima, poi che a te questa rampogna
 +
  prima io rivolgerò - tu mi sposasti
 +
  contro mia voglia, mi rapisti a forza,
 +
  poi che uccidesti il mio primo consorte,
 +
  Tantalo, e il figlio mio via dal mio seno
 +
  strappato, a terra sfracellasti. E i due
 +
  figli di Giove, i miei fratelli, corsero
 +
  fulgidi sui cavalli bianchi, corsero
 +
  a inseguirti, e mio padre, il vecchio Tíndaro,
 +
  ti salvò, quando a lui giungesti supplice;
 +
  e tu m'avesti ancora sposa. E allora,
 +
  concilïata, nella casa tua
 +
  con te rimasi immacolata - forza
 +
  t'è confessarlo - e sempre casta, e prospera
 +
  resi la casa tua, sí che dovevi
 +
  entrandovi allegrarti, e allontanandoti,
 +
  viver sicuro. Ed è ben raro acquisto
 +
  simile donna, per un uomo: invece
 +
  raro non è trovarne una malvagia.
 +
  E tre fanciulle a te diedi e un fanciullo;
 +
  ed una delle tre miseramente
 +
  or mi rapisci. E se ti chiede alcuno
 +
  perché l'uccidi, che risponderai?
 +
  Debbo io per te rispondere? Perché
 +
  Menelào riavere Elena possa!
 +
  Saggio mercato, una magalda a prezzo
 +
  dei figli comperar: quanto odïoso
 +
  è piú, con quanto è piú diletto. O via,
 +
  se tu in Argo mi lasci, e a campo muovi,
 +
  e lungo tempo resti lí, qual cuore
 +
  credi che il mio sarà, quando io contempli
 +
  il seggio vuoto di mia figlia, e vuota
 +
  la stanza verginale, e sempre in lagrime
 +
  soletta sederò, sempre piangendola?
 +
  - T'uccise il padre che ti generò,
 +
  non altri, o figlia, e non con altra mano.
 +
  Tal dono alla sua casa egli lasciò -.
 +
  Ma basterà lieve pretesto, ed io
 +
  tale accoglienza a te con le superstiti
 +
  figliuole mie farò, quale tu meriti.
 +
  Contro di te, pei Numi, non costringermi
 +
  ad esser trista, e tu tristo non essere.
 +
  Ahimè!
 +
  Immolerai la figlia? E che preghiera
 +
  dirai, mentre l'immoli? E che fortuna,
 +
  mentre tua figlia sgozzi, invocherai?
 +
  Un funesto ritorno, alla partenza
 +
  che turpe fu, concorde? Ed io potrei
 +
  qualche bene augurarti? Oh, dissennati
 +
  crederemmo gli Dei, se reputassimo
 +
  che gli assassini favorir potessero.
 +
  Tornato in Argo, i figli abbraccerai?
 +
  Non ti sarà concesso. E qual dei figli
 +
  vorrà guardarti, se al tuo seno accolto
 +
  un d'essi, l'uccidesti? Hai già da te
 +
  pensato a tutto questo, oppur t'importa
 +
  solo far pompa dello scettro, solo
 +
  guidar le schiere? Un tale equo discorso
 +
  far dovevi agli Argivi: «Alle contrade
 +
  dei Frigi navigar volete, o Argivi?
 +
  Si estragga a sorte, chi di noi la figlia
 +
  immolar deve». La giustizia questa
 +
  sarebbe stata, e non che tu prescelto
 +
  fossi a immolar la tua figlia pei Dànai;
 +
  oppur che Menelào, per la sua sposa,
 +
  che fu causa del mal, sgozzasse Ermíone.
 +
  Invece, io, che al tuo letto onta non feci,
 +
  priva andrò della figlia, e l'infedele
 +
  nella sua casa, a Sparta, serberà
 +
  la figlia sua, sarà felice. Ove io
 +
  in ciò ch'io dissi errato abbia, riprendimi.
 +
  Ma se bene ho parlato, avviso muta,
 +
  non uccider la figlia, e saggio móstrati.
 +
CORO:
 +
  Odila: ché salvare i figli è onesto:
 +
  niun contraddire può questo, Agamènnone.
 +
Ifigenía:
 +
  Se d'Orfeo la fècondia, o padre, avessi,
 +
  da convincer col canto, in guisa che
 +
  mi seguisser le pietre, e i cuor potessi
 +
  coi detti miei commuovere, a quest'arte
 +
  m'appiglierei; ma quella ch'io conosco
 +
  adesso offrire ti potrò: le lagrime.
 +
  Alle ginocchia tue questo mio corpo
 +
  che costei generò, depongo, quasi
 +
  ramo d'ulivo supplice, perché
 +
  tu non m'uccida innanzi tempo. è dolce
 +
  veder la luce; e tu non mi costringere
 +
  a veder quello che sotterra giace.
 +
  Prima io te chiamai padre, e tu me figlia:
 +
  alle ginocchta tue prima io le tenere
 +
  membra appendevo, a te soavi gioie
 +
  diedi, e n'ebbi ricambio. E tu dicevi:
 +
  «O figlia, dunque, te vedrò felice
 +
  vivere in casa d'uno sposo, florido,
 +
  come conviene alla mia figlia?». Ed io,
 +
  appesa al viso tuo, che adesso stringo,
 +
  cosí dicevo: «Ed io che ti dirò?
 +
  Vecchio t'accoglierò nel caro asilo
 +
  della mia casa, o padre, e a te compenso
 +
  delle cure darò che tu spendesti
 +
  per allevarmi». - Ora, io memoria serbo
 +
  di quei detti, ma tu ne sei dimentico,
 +
  e uccidere mi vuoi. Deh, no! Per Pèlope
 +
  io ti scongiuro, e per tuo padre Atrèo,
 +
  per questa madre che mi partorí,
 +
  ed or patisce queste nuove doglie.
 +
  Dell'adulterio d'Alessandro e d'Elena
 +
  che colpa ho io? Come esser può che Paride
 +
  per la rovina mia giungesse, o padre?
 +
  Guardami, l'occhio su me volgi, abbracciami,
 +
  sí che di te, morendo, io serbi almeno
 +
  tale ricordo, se pei detti miei
 +
  convincer non ti vuoi. Fratello, tu
 +
  sei pei tuoi cari un piccolo alleato;
 +
  ma pur piangi con me, supplica il padre
 +
  che tua sorella non uccida: senso
 +
  hanno delle sciagure anche gl'infanti.
 +
  Vedi, col suo tacer, padre, t'implora.
 +
  La mia vita rispetta, abbi pietà:
 +
  ti scongiuriamo, entrambi a te diletti,
 +
  questo, pargolo ancora, ed io già grande.
 +
  Ma solo un punto aggiungerò, che vinca
 +
  ogni argomento. Agli uomini dolcissima
 +
  è questa luce, e non l'eterna tènebra
 +
  e folle è chi desidera la morte.
 +
CORO:
 +
  Meglio è vivere mal, che morir bene.
 +
  Elena trista! A qual cimento sono
 +
  per te, per gli amor tuoi, gli Atrídi e i figli!
 +
Agamènnone:
 +
  Intendo ben dove pietà s'addice,
 +
  e dove mena; ed amo i figli miei:
 +
  se no, stolto sarei. Per me terribile
 +
  è questa prova, o donna; e pur terribile
 +
  il non osarla. Che mai far dovrò?
 +
  Vedete quanta oste navale, e quanti
 +
  chiusi in arme di bronzo ellèni principi,
 +
  che navigar verso la rocca d'Ilio,
 +
  se non t'immolo, non potranno, o figlia -
 +
  Calcante il vate l'affermò - di Troia
 +
  non potranno espugnar le sedi illustri.
 +
  Un cieco ardor le schiere ellène invase,
 +
  di navigare senza indugio contro
 +
  le barbariche terre, e porre un termine
 +
  ai ratti delle greche spose. Ov'io
 +
  della Diva ai responsi non ottemperi,
 +
  uccideranno le mie figlie in Argo,
 +
  e voi con me. Di Menelào non sono
 +
  servo, o figliuola, e non per suo volere
 +
  son qui venuto. Ma l'impose l'Ellade,
 +
  a cui tu devi, o ch'io voglia, o non voglia,
 +
  esser sacrificata. Ecco da chi
 +
  son vinto, o figlia: ch'essa deve libera
 +
  esser, per quanto spetta a me e a te,
 +
  e non già che soggetti siano ai barbari
 +
  gli Ellèni, e a forza saccheggiati i talami.
 +
(Parte)
 +
Clitemnèstra:
 +
  O figlia, ospiti amiche,
 +
  deh, che morte è la tua, misera me!
 +
  T'immola all'Ade il padre tuo, ti lascia!
 +
Ifigenía:
 +
  O madre, o madre, ahimè!
 +
  conviene a entrambe un sol canto d'ambascia.
 +
  S'abbuia la pupilla
 +
  piú la luce del sol per me non brilla.
 +
  Valli di Frigia bianche di neve, monti dell'Ida,
 +
  dove una volta Priamo gittava, tenero pargolo
 +
  dalla sua madre lontano, a un fato
 +
  di morte, Pàride,
 +
  che Idèo chiamato fu nella rocca dei Frigi, Idèo.
 +
  Deh, mai cresciuto non fosse Pàride
 +
  bifolco, presso le sue giovenche,
 +
  vicino all'acque limpide, dove
 +
  le fonti corrono, sacre alle Ninfe,
 +
  e il prato è florido di fiori pallidi,
 +
  e rose crescono, giacinti crescono
 +
  per intrecciare serti alle Dive!
 +
  Un giorno Pàllade qui giunse, e Cípride
 +
  macchinatrice d'inganni, ed Era,
 +
  e, messaggero di Giove, Ermète.
 +
  E superbiva per le lusinghe
 +
  d'amore, Cípride,
 +
  per la sua cuspide Pàllade, ed Era
 +
  perché partecipa
 +
  di Giove il talamo.
 +
  A un odïoso giudizio vennero
 +
  ad una gara di lor bellezza,
 +
  alla mia morte,
 +
  che per i Dànai fu, per la gesta
 +
  d'Ilïo detta propiziatrice.
 +
  E quei che vita mi diede, o misera,
 +
  o madre, o madre,
 +
  or mi tradisce, e fugge.
 +
  Ahimè misera, ahimè!
 +
  Quanto fu amara, quanto fu amara
 +
  la sorte d'Elena per me! Son morta,
 +
  sono distrutta, per l'empia strage
 +
  d'un empio padre.
 +
  Deh, a questi ormeggi mai non avesse
 +
  àulide accolte
 +
  le poppe delle navi dai bronzei rostri, la flotta
 +
  che ad Ilio addurre doveva gli Elleni!
 +
  Gli avversi venti spinti nell'èuripo
 +
  mai non avesse Giove, che mitiga
 +
  varie pei vari nauti le brezze
 +
  da rallegrare le vele, e doglie
 +
  mescola ed obbliga
 +
  questi che salpino, quelli che restino,
 +
  quelli che indugino.
 +
  è degli efimeri la stirpe molto molto infelice,
 +
  e molto è dura per i mortali
 +
  necessità.
 +
  Ahimè, ahimè!
 +
  Gravi cordogli, gravi dolori
 +
  tu arrechi ai Dànai, figlia di Tíndaro.
 +
CORO:
 +
  Io ti compiango: una sciagura trista
 +
  colpisce te, che punto non la meriti.
 +
(Giunge Achille)
 +
Ifigenía:
 +
  Madre mia, qui presso giungere veggo d'uomini uno stuolo.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Questi è l'uom per cui venisti, della Dea questo è il figliuolo.
 +
Ifigenía:
 +
  Quella tenda, ancelle, aprite, ch'io mi asconda.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Lungi vai?
 +
  E perché, figlia?
 +
Ifigenía:
 +
  D'Achille mi vergogno.
 +
Clitemnèstra:
 +
  E perché mai?
 +
Ifigenía:
 +
  Delle nozze il mal successo vergognosa esser mi fa.
 +
Clitemnèstra:
 +
  In tal sorte sei, che poco ti conviene schifiltà.
 +
  Resta: allor che i guai ci premono, non convien l'animo altero.
 +
ACHILLE:
 +
  O di Leda figlia, o donna sventurata...
 +
Clitemnèstra:
 +
  Dici il vero.
 +
ACHILLE:
 +
  Grida orrende fra gli Argivi corron.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Quali? Non mel dici?
 +
ACHILLE:
 +
  Che tua figlia...
 +
Clitemnèstra:
 +
  Ahimè, di quanto devi dirmi tristi auspici...
 +
ACHILLE:
 +
  Convenìa sacrificare.
 +
Clitemnèstra:
 +
  E a contrasto niuno sorse?
 +
ACHILLE:
 +
  Corsi rischio io stesso...
 +
Clitemnèstra:
 +
  E quale?
 +
ACHILLE:
 +
  d'esser lapidato.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Forse
 +
  per difendere mia figlia?
 +
ACHILLE:
 +
  Giusto appunto.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Ma toccarti
 +
  chi l'avrebbe osato?
 +
ACHILLE:
 +
  Gli Ellèni tutti quanti.
 +
Clitemnèstra:
 +
  E le tue parti
 +
  dei Mirmídoni lo stuolo non prendeva?
 +
ACHILLE:
 +
  Il piú accanito
 +
  mio nemico, anzi, era quello.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Figlia mia, tutto è finito.
 +
ACHILLE:
 +
  L'irretito dalle nozze, mi chiamavano.
 +
Clitemnèstra:
 +
  E che cosa
 +
  rispondevi tu?
 +
ACHILLE:
 +
  Che uccidere non volesser la mia sposa.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Ben dicevi.
 +
ACHILLE:
 +
  A me promessa da suo padre.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Che l'ha fatta
 +
  qui venir.
 +
ACHILLE:
 +
  Ma la mia voce fu dagli urli sopraffatta.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Trista cosa è il volgo.
 +
ACHILLE:
 +
  Aiuto pur vo' darti.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Aiuto darmi
 +
  contro i molti, solo?
 +
ACHILLE:
 +
  Vedi che costor mi recan l'armi?
 +
Clitemnèstra:
 +
  Possa tu fortuna avere, cuore intrepido.
 +
ACHILLE:
 +
  L'avrò.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Non morrà dunque mia figlia?
 +
ACHILLE:
 +
  Sin ch'io vivo, certo no.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Chi oserà toccarla?
 +
ACHILLE:
 +
  Mille; ed Ulisse ebbe l'assunto
 +
  di guidarli.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Chi? Di Sísifo il figliuolo?
 +
ACHILLE:
 +
  Quello appunto.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Di sua voglia? Oppur l'esercito lo prescelse?
 +
ACHILLE:
 +
  Le sue brame
 +
  fûr concordi a quella scelta.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Sparger sangue, ufficio infame!
 +
ACHILLE:
 +
  Io saprò frenarli.
 +
Clitemnèstra:
 +
  A forza trarrà dunque la fanciulla?
 +
ACHILLE:
 +
  Sí, ghermita per la bionda treccia.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Ed io non potrò nulla?
 +
ACHILLE:
 +
  Alla figlia stretta avvínciti.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Basta ch'io mi stringa a lei?
 +
  Ella è salva.
 +
ACHILLE:
 +
  E sarà salva.
 +
Ifigenía:
 +
  Madre, udite i detti miei.
 +
  Contro il padre a torto irata, madre mia, tu sei, perché
 +
  affrontare l'impossibile cosa agevole non è.
 +
  Ci conviene grazie al Tessalo render poi del suo coraggio,
 +
  ma schivar che la sciagura, senza alcun nostro vantaggio,
 +
  su lui piombi, e oggetto d'odio per l'esercito egli sia.
 +
  Odi or quello che deciso ho, pensando, o madre mia.
 +
  Fu decisa la mia morte: affrontarla in modo io penso
 +
  ch'alta fama io ne riscuota, posto in bando ogni vil senso.
 +
  Ed insiem con me considera, madre, tu, se dico bene:
 +
  tutta quanta la grande Ellade su me l'occhio fisso tiene,
 +
  in me sta che i legni salpino, sia la Frigia posta a sacco,
 +
  ed i barbari in futuro non c'infliggano lo smacco
 +
  di rapir donne da l'Ellade fortunata, quando avranno
 +
  per la femmina che Paride seducea, pagato il danno.
 +
  Otterrò ciò con la mia morte, celebre sarà
 +
  il mio nome: ed avrò l'Ellade vendicata a libertà.
 +
  E neppur conviene ch'io di soverchio ami la vita:
 +
  ché, non sol per me, per l'Ellade tutta tu m'hai partorita.
 +
  Mille e mille uomini pronti sono già, nell'armi chiusi,
 +
  mille e mille i remi stringono, a vendetta dei soprusi,
 +
  che patiron, sui nemici pronti a far prova del braccio,
 +
  a morire per la patria; e sola io sarò d'impaccio?
 +
  Con qual mai giusto discorso rintuzzar tali argomenti?
 +
  Ora, ad altro: non è giusto che il Pelíde si cimenti
 +
  a cagione d'una donna, con gli Achei tutti, e soccomba:
 +
  piú di mille e mille donne val che un uom schivi la tomba.
 +
  E se Artèmide il mio corpo come vittima chiedea,
 +
  dovrò forse io, che mortale nacqui, oppormi ad una Dea?
 +
  è impossibile. Per l'Ellade cader vittima acconsento.
 +
  Io sia spenta, e Troia cada; mio perenne monumento
 +
  sarà questo, questo gloria, questo figli, questo imène.
 +
  Che gli Ellèni sian da barbari sopraffatti, non conviene:
 +
  genti schiave sono quelle, sono libere l'Ellène.
 +
CORO:
 +
  Nobili sensi i tuoi, fanciulla, sono
 +
  ma duri son per te la Dea, la Sorte.
 +
ACHILLE:
 +
  Beato me, figliuola d'Agamènnone,
 +
  alcun dei Numi renderebbe, ove io
 +
  sposa potessi averti. Io per te l'Ellade
 +
  reputo fortunata, e te per l'Ellade:
 +
  ché tu favelli in modo eletto, e degno
 +
  della tua patria: ché a pugnar coi Numi
 +
  tu rinunci, che son di te piú forti,
 +
  ed al bene t'appigli, e a ciò che vuole
 +
  necessità. Tanta maggior m'invade
 +
  brama di sposa averti, ora che ho l'indole
 +
  tua conosciuta: poiché tu sei nobile.
 +
  Ed aiutarti io voglio ora, condurti
 +
  alla mia casa; e sarà grande, e Tètide
 +
  lo sappia, il cruccio mio, se farti salva
 +
  contro i Dànai pugnando io non potrò.
 +
  Bada, un male terribile è la morte.
 +
Ifigenía:
 +
  Pronta sarà la mia risposta. Assai
 +
  suscita guerre d'uomini e sterrninî
 +
  Elena, con la sua beltà. Signore,
 +
  tu non devi per me morir né uccidere:
 +
  e lascia ch'io, salvi, se posso, l'Ellade.
 +
ACHILLE:
 +
  Arditissimo cuore, io nulla posso,
 +
  se questo dici e brami, a te rispondere.
 +
  Negar non giova il vero: il tuo proposito
 +
  è generoso: tuttavia potresti
 +
  mutare avviso: ond'io mi reco all'ara,
 +
  e lí presso starò, chiuso nell'armi,
 +
  per impedire la tua morte. Forse
 +
  profitterai di queste mie parole,
 +
  quando vedrai presso alla gola il ferro.
 +
  Non lascierò che pel tuo folle ardire
 +
  morir tu debba. Presso andrò, con questi
 +
  che recan l'arme, al tempio della Diva,
 +
  e quivi attenderò sin che tu giunga.
 +
(Parte)
 +
Ifigenía:
 +
  Madre, perché muta rimani, e lagrimi?
 +
Clitemnèstra:
 +
  Giusta ragione ho di crucciarmi il cuore!
 +
Ifigenía:
 +
  Smetti, non avvilirmi: e ciò concedimi...
 +
Clitemnèstra:
 +
  Che mai? Nessun rifiuto avrai da me.
 +
Ifigenía:
 +
  Delle tue chiome ciocca non recidere,
 +
  non avvolger le membra in negri pepli.
 +
Clitemnèstra:
 +
  O figlia mia, che dici tu? Ti perdo...
 +
Ifigenía:
 +
  No; son salva, e per me tu sarai celebre.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Come? Non debbo la tua morte piangere?
 +
Ifigenía:
 +
  No; non sarà per me la tomba eretta.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Che? La fossa non è retaggio ai morti?
 +
Ifigenía:
 +
  L'altare della Dea sarà mio túmulo.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Tu dici bene; ed io t'obbedirò.
 +
Ifigenía:
 +
  Ch'io procuro, felice, il ben de l'èllade.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Che dovrò dire alle sorelle tue?
 +
Ifigenía:
 +
  Neppure ad esse i negri pepli cingere.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Quale ad esse dirò tuo caro motto?
 +
Ifigenía:
 +
  Che sian felici. E fa' d'Oreste un uomo.
 +
Clitemnèstra:
 +
  L'ultima volta or tu lo vedi. Bacialo.
 +
Ifigenía:
 +
  Caro! Pei tuoi quanto potevi hai fatto.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Che posso in Argo far, che a te sia grato?
 +
Ifigenía:
 +
  Non esecrare il mio padre, il tuo sposo.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Per te correr dovrà cimenti orribili.
 +
Ifigenía:
 +
  Contro sua voglia ei m'immolò, per l'Ellade.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Con la sua frode; e indegno fu d'Atrèo.
 +
Ifigenía:
 +
  Chi mi conduce là, prima ch'io tratta
 +
  sia per la chioma?
 +
Clitemnèstra:
 +
  Io là teco verrò.
 +
Ifigenía:
 +
  Non tu. Non dici bene.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Alle tue vesti
 +
  mi stringerò.
 +
Ifigenía:
 +
  No, dammi ascolto, o madre:
 +
  rimani: ch'è per te meglio, e per me.
 +
  Dei famigli del padre alcun m'adduca
 +
  al prato, ov'io morir debbo, d'Artèmide.
 +
Clitemnèstra:
 +
  O figlia, parti?
 +
Ifigenía:
 +
  E piú non tornerò.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Lasci la madre?
 +
Ifigenía:
 +
  E in modo indegno, il vedi.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Sta, non lasciarmi.
 +
Ifigenía:
 +
  Ora non vo' che lagrime
 +
  si versin piú. Fanciulle, e per Artèmide,
 +
  per la figlia di Giove, ora un peana
 +
  sul mio destin levate, per Artèmide,
 +
  per la figlia di Giove. E muti restino
 +
  i Dànai tutti; e alcun rechi il canestro,
 +
  e bruci il fuoco pei libami sacri,
 +
  e compia il padre dell'altare il giro,
 +
  dalla destra movendo: a tutti gli Ellèni
 +
  io la salvezza arreco, io la vittoria.
 +
  Me conducete, d'Ilio e dei Frigi
 +
  trionfatrice;
 +
  d'acqua lustrale le scaturigini
 +
  recate, e il serto che a questi riccioli
 +
  cinger s'addice;
 +
  danze s'intreccino d'intorno al tempio,
 +
  d'intorno all'ara:
 +
  perché placati siano gli oracoli,
 +
  la strage, il sangue mio si prepara.
 +
  Deh veneranda, deh veneranda
 +
  madre, il mio pianto
 +
  per te conviene ch'ora si spanda:
 +
  ché poi, nel fausto
 +
  rito sconviene. O vergini
 +
  con me cantate Artèmide,
 +
  che sede ha quivi, di fronte a Càlcide,
 +
  dove la flotta di guerra, immobile
 +
  per mia cagione convien che resti.
 +
  Ahimè, mia madre terra pelasgica,
 +
  ahimè, Micene che mi crescesti!
 +
CORO:
 +
  Invochi forse la città di Pèrseo,
 +
  che per man dei Ciclopi estrutta fu?
 +
Ifigenía:
 +
  Tu mi crescesti per la gloria d'èllade
 +
  ond'io non mi lamento, anche s'io muoio.
 +
CORO:
 +
  Ma la tua gloria non morrà piú mai.
 +
Ifigenía:
 +
  Luce che il giorno piove,
 +
  e tu raggio di Giove,
 +
  ad altra sorte io movo, ad altra vita.
 +
(Esce)
 +
CORO:
 +
  Addio, luce gradita!
 +
  Ahimè, ahimè!
 +
  Vedete la trionfatrice
 +
  dei Frigi e d'Ilio.
 +
  Sulla sua fronte giran ghirlande,
 +
  l'acqua lustrale si spande.
 +
  Ecco, all'altare move
 +
  della Diva; e la nobil cervice
 +
  con le stille del suo sangue bagnerà.
 +
  Te attende la rugiada
 +
  lustrale, e il padre, e degli Achei l'esercito
 +
  desideroso che Troia cada.
 +
  Cantiamo la figlia di Giove,
 +
  signora fra i Superi, Artèmide.
 +
  O Diva, o Diva,
 +
  tu che d'umane vittime
 +
  ti compiaci, l'achiva
 +
  schiera alle frigie prode
 +
  adduci, e a Troia, artefice di frode.
 +
  Concedi che Agamènnone
 +
  cinga alle greche cuspidi
 +
  un serto di vittoria,
 +
  e al proprio capo una perpetua gloria.
 +
(Giunge un araldo)
 +
ARALDO:
 +
  Dalla tenda esci, o Clitemnèstra, o figlia
 +
  di Tíndaro, ed ascolta i detti miei.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Udita ho la tua voce, e sono qui,
 +
  misera me, sgomenta, esterrefatta,
 +
  che tu non giunga ad annunciarmi qualche
 +
  nuova sciagura.
 +
ARALDO:
 +
  Di tua figlia udrai
 +
  meravigliosi eventi ed incredibili.
 +
Clitemnèstra:
 +
  Non indugiare, anzi a parlare affréttati.
 +
ARALDO:
 +
  Tutta la verità, regina mia,
 +
  ben chiara tu saprai, se la memoria
 +
  non mi deluderà, se ai detti miei
 +
  inciampo non porrà. Come d'Artèmide
 +
  giungemmo al tempio ed ai fiorenti prati,
 +
  la tua figliuola conducendo, súbito
 +
  s'adunò degli Achei la turba. E come
 +
  Agamènnone vide a morte muovere,
 +
  al bosco sacro, la sua figlia, gèmiti
 +
  levò, la faccia indietro volse, lagrime
 +
  versò, del manto fece agli occhi velo.
 +
  Ed ella, stando presso al padre, disse:
 +
  «O padre, eccomi a te: questo mio corpo
 +
  io per la patria mia, per tutta l'Ellade,
 +
  volonterosa dò, ché l'adduciate,
 +
  della Dea presso all'ara, e l'immoliate,
 +
  se pur questo è il destino. E la fortuna,
 +
  per quanto è in me, v'arrida, e la vittoria
 +
  dell'armi, ed il ritorno al patrio suolo.
 +
  Ed ora, niuno degli Argivi appressi
 +
  la mano a me. Volonterosa e muta
 +
  la mia gola offrirò». Furono queste
 +
  le sue parole; e udendole, stupirono
 +
  tutti l'ardir, la forza della vergine.
 +
  E in mezzo stando allor Taltibio, a cui
 +
  tal compito incombea, silenzio impose
 +
  alle turbe, e formâr prosperi auspíci.
 +
  E Calcante indovino, un ferro acuto
 +
  tratto dalla guaina, in mezzo all'aureo
 +
  canestro lo depose, e della vergine
 +
  il capo ghirlandò. Preso il canestro,
 +
  il figlio di Pelèo, movendo attorno
 +
  all'ara della Dea, di sacre stille
 +
  l'asperse, ed invocò: «Figlia di Giove
 +
  che stermini le fiere, e fra le tenebre
 +
  la tua fulgida luce in giro volgi,
 +
  questa vittima accogli onde olocausto
 +
  ti fan le achive schiere ed Agamènnone,
 +
  il sangue intatto di virginea gola;
 +
  e concedi alle navi un corso prospero,
 +
  e ch'espugnati i valli d'Ilio siano
 +
  dall'armi nostre». Stavano gli Atrídi,
 +
  stava tutto l'esercito, con gli occhi
 +
  confitti al suolo. Ed impugnato il brando,
 +
  preci innalzava il sacerdote, e il punto
 +
  della gola cercava ov'ei colpisse.
 +
  Da non lieve dolor l'animo mio
 +
  era pervaso, e stavo a fronte bassa.
 +
  Ed ecco, apparve un prodigio improvviso;
 +
  ché del colpo il rumore ognuno udí,
 +
  ma dove la fanciulla al suol cadesse,
 +
  nessuno vide. Il sacerdote, un grido
 +
  levò, gridò con lui tutto l'esercito,
 +
  poi che un prodigio inaspettato vide
 +
  d'un qualche Nume, tal, che, pur vedendolo,
 +
  incredibil parea. Guizzante al suolo
 +
  una cerva giacea, grande, bellissima,
 +
  e del suo sangue tutto intorno asperso
 +
  era l'altare della Diva. E allora
 +
  lieto Calcante - immaginar lo puoi:
 +
  «Principi - disse - che in comune queste
 +
  schiere d'Achei guidate, or questa vittima
 +
  mirate, che la Dea sull'ara pose,
 +
  questa cerva montana. Essa gradí
 +
  questa, piú che la vergine, perché
 +
  sí nobil sangue non macchiasse l'ara.
 +
  Di buon grado l'accolse, e a voi concede
 +
  prosperi eventi, e navigar contro Ilio.
 +
  Or si rinfranchi ogni nocchiere, e corra
 +
  alla sua nave: ché oggi stesso, d'Àulide
 +
  abbandonar conviene i cavi anfratti,
 +
  attraversare l'estuante Egèo».
 +
  E poscia ch'arsa fu tutta la vittima,
 +
  su la vampa d'Efèsto, esso invocò
 +
  fausto ritorno per le schiere. Adesso,
 +
  Agamènnone a te m'invia, perché
 +
  da me tu sappia qual sorte dai Numi
 +
  ebbe la figlia tua, quale ne l'Ellade
 +
  sorte immortale; ed io, che fui presente,
 +
  e tutto vidi, a te lo narro. Certo,
 +
  volò tra i Numi la fanciulla. Scaccia
 +
  la doglia, e il tuo rancor contro lo sposo.
 +
  Inopinati mandano sugli uomini
 +
  gli eventi i Numi, e quei salvano ch'amano:
 +
  oggi la figlia tua fu spenta e visse.
 +
CORO:
 +
  Di tal messaggio quanto godo! Ei dice
 +
  che fra i Celesti la tua figlia vive.
 +
Clitemnèstra:
 +
  T'ha dunque un Nume rapita, o figlia?
 +
  Che debbo credere di te? Che quanto
 +
  costui m'ha detto, non è che favola
 +
  vana, a placare questo mio schianto?
 +
CORO:
 +
  Ecco Agamènnone giunge a noi presso
 +
  potrà narrarti tutto egli stesso.
 +
Agamènnone:
 +
  Donna, felici quanto alla fanciulla
 +
  ci possiamo chiamar, ché veramente
 +
  ella è dei Numi in compagnia. Tu devi
 +
  questo tenero agnello or teco prendere,
 +
  e alla patria tornar: poiché l'esercito
 +
  si dispone a partir. Pria che da Troia
 +
  io torni, e teco parli ancor, dovrà
 +
  lungo tempo passar. T'arrida il bene.
 +
CORO:
 +
  Alla terra dei Frigi, Agamènnone,
 +
  muovi lieto, e al ritorno la gioia
 +
  t'arrida, le spoglie bellissime
 +
  recando da Troia.
 +
  
 
[[Categoria:Mitologia Greca]]
 
[[Categoria:Mitologia Greca]]
 
[[Categoria:Opere]]
 
[[Categoria:Opere]]

Versione delle 20:44, 27 lug 2010

Ifigenia in Aulide (in greco antico Ἰφιγένεια ἡ ἐν Αὐλίδι / Iphighéneia he en Aulídi) è una tragedia di Euripide, scritta tra il 407 ed il 406 a.C., nel periodo che l’autore passò alla corte di Archelao, re di Macedonia, dove morì. L’opera reca alcuni segni di incompiutezza e non fu mai messa in scena dall’autore.
La prima rappresentazione avvenne nel 403 a.C.,[1] ad opera del figlio (o nipote) dell’autore, che portava anch’egli il nome Euripide ed era un drammaturgo. L’opera venne messa in scena nell'ambito di una trilogia che comprendeva anche Le Baccanti e Alcmeone a Corinto (oggi perduta), con le quali l’autore ottenne una vittoria postuma alle Grandi Dionisie di quell'anno.

Trama

Secondo un vaticinio di Calcante, la flotta greca per partire avrebbe dovuto compiere un sacrificio. Agamennone fa dunque venire, tramite una lettera, la moglie Clitennestra e la prescelta per il sacrificio, la figlia Ifigenia. Agamennone ha però dei dubbi e scrive una lettere di contrordine che però venne intercettata da Menelao. Al suo arrivo Clitennestra scopre la verità parlando con il marito. Ifigenia, inizialmente, non vuole essere uccisa, ma poi decide di sacrificarsi per la patria. Al momento del sacrificio, però, compare una cerva che viene così sacrificata mentre Ifigenia è portata via da Artemide.

Testo completo

La scena rappresenta il campo degli Achei in àulide. (Agamènnone esce dalla tenda, e chiama un vecchio servo)

Agamènnone:

  O vecchio, vien qui, presso questo
  padiglione.

VECCHIO:

  Son qui. Che novelli
  pensieri, Agamènnone, volgi?

Agamènnone:

  T'affretti?

VECCHIO:

  M'affretto. è la mia
  tarda età molto insonne, e ben lieve
  sui cigli mi pesa.

Agamènnone:

  Che stella
  è quella che in cielo veleggia?

VECCHIO:

  è Sirio, che, presso alla Plèiade
  settemplice, in mezzo alla volta
  del cielo, s'affretta.

Agamènnone:

  Non s'ode né voce d'uccello
  né d'onde sciacquío. Su l'Eurípo
  i venti son muti.

VECCHIO:

  Agamènnone re, perché mai
  venuto sei fuor della tenda?
  In àulide tutto è tranquillo:
  immote son tutte le scolte.
  Rientriamo.

Agamènnone:

  Felice ti reputo,
  o vecchio, ed invidio quell'uomo
  che senza pericoli, ignoto,
  senza fama, trascorre la vita.
  Men felice mi sembra chi vive
  tra gli onori.

VECCHIO:

  Ma pur, negli onori,
  della vita consiste il decoro.

Agamènnone:

  è fallace decoro; e il potere,
  sebben dolce, ad averlo t'accora.
  Uno sbaglio talor verso i Numi
  la tua vita sconvolge; talora
  la cruccian gli umori
  degli uomini, tristi e discordi.

VECCHIO:

  Non son queste le cose, Agamènnone,
  che ai príncipi invidio; ed Atrèo
  non ti diede la vita perché
  tu soltanto godessi; ma devi
  provare piaceri e dolori,
  ché tu sei mortale;
  e, voglia o non voglia, dei Numi
  è tale il volere.
  (Agamènnone accende una lampada e si mette a scrivere
  su una tavoletta)
  Che fai?
  Accendi la lampada, e in quella
  tavoletta che teco hai recata,
  tu scrivi, e lo scritto
  cancelli e sigilli, e di nuovo
  riapri, ed a terra lo gitti,
  e quante stranezze commettono
  i folli, commetti.
  Che pena t'angustia, che nuova
  sciagura, Signore? Su, via,
  partecipe fammene, parla.
  Onesto, a te fido sono io:
  ché Tindaro un giorno mi diede,
  fra i doni di nozze, alla tua
  consorte, compagno
  fedele alla sposa.

Agamènnone:

  Leda, figlia di Testio, ebbe tre figlie:
  Clitemnèstra, mia sposa, Febe, ed Elena.
  A richieder costei, si presentarono
  quanti contava piú prestanti giovani
  l'Ellade tutta; e qui minacce sursero
  fra lor di morte, ché nessun voleva
  privo restar della fanciulla. E Tíndaro
  in imbarazzo grande era, se cederla
  convenisse, oppur no, per conseguirne
  maggior vantaggio; e questa idea gli venne:
  che tutti quanti i giovani prestassero,
  stringendosi le mani, e confermassero
  con libagioni e imprecazioni, un giuro
  che tutti l'uomo a cui movesse sposa
  di Tíndaro la figlia, aiuterebbero,
  se mai qualcun glie la rapisse, e in bando
  lui mandasse dal letto; e moverebbero
  a campo, e la città distruggerebbero,
  con l'armi, ellèna fosse, o fosse barbara.
  E poi ch'ebber giurato, e il vecchio Tíndaro
  accortamente con la fine astuzia
  li ebbe ingannati, disse alla sua figlia
  che fra i rivali ella scegliesse quello
  a cui piú d'Afrodite la spingessero
  l'aure dilette. Ed ella scelse, oh, fatto
  mai non l'avesse! Menelào: ché poi,
  dalla terra dei Frigi a Lacedèmone
  quell'uomo giunse che alle Dee fu giudice,
  come n'è fama tra gli Argivi; e un fiore
  parea nelle sue vesti, e d'oro fulgido
  con barbarica pompa, e innamorato
  rapí l'innamorata Elena, e ai campi
  d'Ida l'addusse. E Menelào non c'era.
  Ma come ritornò, furente corse
  l'Ellade tutta, e i giuramenti a Tíndaro
  un giorno fatti ricordò: che aiuto
  convien prestare a chi patí sopruso.
  E alla guerra correndo, allora gli Elleni
  impugnarono l'armi, e in questo d'àulide
  angusto passo vennero, di navi,
  di scudi armati, di cavalli e cocchi.
  E duce me, perché di Menelào
  ero fratello, elessero. Deh, fosse
  toccato ad altri un tanto onor! Ché tutte
  son raccolte le genti, e noi qui stiamo,
  e non possiamo navigare, in àulide.
  E Calcante, indovino, a cui rivolti
  nella distretta ci eravamo, tale
  responso diede: che alla Diva Artèmide
  che quivi ha sede, Ifigenía mia figlia
  sacrificar si dee: sacrificandola,
  facile il mare avremo, e struggeremo
  la gente frigia: se non l'immolassimo
  nulla di ciò conseguiremmo. Appena
  udito ciò, diedi ordine a Taltíbio
  che rimandasse con un alto bàndo
  tutte le genti: ché mia figlia uccidere
  io non l'avrei sofferto mai. Ma qui,
  tanto mi disse il fratel mio, che infine
  mi fe' convinto a osar lo scempio orribile.
  E una lettera scrissi, e l'inviai
  alla consorte mia, perché la figlia
  nostra mandasse, che ad Achille sposa
  esser dovrebbe; e dello sposo i pregi
  magnificavo; e che le navi ascendere
  con gli Achei rifiutava, ove la nostra
  figliuola a Ftia sua sposa non andasse.
  Tal pretesto usai dunque, per convincere
  la sposa mia: d'Ifigenía le nozze
  fingere; e soli fra gli Achei lo sanno
  Calcante Ulisse e Menelào. Ma quello
  che stoltamente allor deliberai,
  or lo muto di nuovo in questa lettera,
  che tu fra l'ombre della notte, o vecchio,
  aprire e poi chiuder m'hai visto. Orsú,
  questa missiva prendi, e ad Argo récati.
  E ciò che nelle sue pieghe essa asconde
  io tutto ti dirò: ché tu fedele
  alla mia casa, a Clitemnèstra sei.

VECCHIO:

  Dimmi, parla, sicché le parole
  ch'io dirò, con lo scritto s'accordino.

Agamènnone (Legge la lettera):

  Di Leda germoglio, io t'avverto
  in questa missiva
  che tu la tua figlia non mandi
  all'ala d'Eubea sinuosa,
  ad àulide immune dai flutti:
  ché in altra stagione le nozze
  della figlia dobbiam celebrare.

VECCHIO:

  E Achille, deluso del talamo,
  cosí, contro te di furore
  non sarà tutto un fremito, contro
  la tua sposa? Di tanto pericolo
  mi dici che pensi?

Agamènnone:

  Il nome, e non l'opera, Achille
  prestava: di nozze
  nulla ei sa, né di quanto ora faccio,
  né che a lui la fanciulla promisi,
  al legittimo amor del suo talamo.

VECCHIO:

  Agamènnone re, troppo ardire
  fu il tuo, che, promessa tua figlia
  al figliuol della Dea, come vittima
  tu venir la facevi pei Dànai.

Agamènnone:

  Ahimè, ché allor fui dissennato,
  ahimè ch'ora sono sacrilego.
  Ma via, non ti prostri vecchiaia:
  affretta il remeggio dei piedi.

VECCHIO:

  M'affretto, o signore.

Agamènnone:

  E non sia
  che indugi vicino alle fonti
  pei boschi, e che il sonno ti vinca.

VECCHIO:

  Non dire bestemmie.

Agamènnone:

  E ovunque la via si divide,
  tu guarda ed osserva, perché
  non ti sfugga, se mai qualche carro,
  su rapide rote movendo,
  per altro sentiero, qui adduca
  mia figlia alle navi dei Dànai.

VECCHIO:

  Sarà fatto.

Agamènnone:

  E se mai nel corteggio
  t'imbatti che fuor dalle porte
  l'adduca, fa' sí che ritornino,
  le redini scuoti, ed il cocchio
  dei Ciclopi alle sedi respingi.

VECCHIO:

  E come avverrà che, se reco
  un tale messaggio, tua figlia
  tua moglie, mi prestino fede?

Agamènnone:

  Custodisci il suggello, che resti
  sulla lettera impresso. Ora va:
  ché l'alba già brilla, ed imbianca
  la luce, e i cavalli
  del carro del sole.
  Aiutami, in tale disdetta.
  Nessuno dei mortali è beato,
  felice per tutta la vita:
  nessun dai dolori va scevro.

(Il vecchio parte, Agamènnone rientra nella tenda) (Entrano le donne di Càlcide che formano il coro) CORO: Strofe prima

  Alla spiaggia, alle sabbie
  eccomi giunta d'àulide,
  poiché dei gorghi d'èuripo
  varcai l'angusto tramite,
  abbandonando Càlcide,
  la mia città, donde si volge, effusa,
  la linfa al mar, dell'inclita Aretusa,
  per veder degli Achèi
  le belle schiere, e i legni che sul pelago
  corrono, e i Semidei.
  Li adduce il biondo Menelào, ci dissero
  gli sposi, ed Agamènnone
  principe, a Troia, pel marino solco,
  con mille remi, a far vendetta d'Elena,
  cui Paride il bifolco
  rapí dai rivi dell'Eurota floridi
  di giuncheti. Fu premio
  promesso a lui da Cípride,
  allor che sulla chiara
  acqua sorgiva, di beltà con Pàllade
  venne, e con Giuno a gara.
                                      Antistrofe prima
  E al bosco, che di vittime
  fuma, giunsi or d'Artèmide,
  tingendo di purpureo
  pudor la gota giovine,
  per ammirar dei Dànai
  le tende, e dei cavalli
  le fitte schiere, e degli scudi i valli.
  E l'uno all'altro accanto
  d'Oilèo vidi il figlio, e di Telàmone,
  di Salamina vanto.
  E dei calcoli intento alle molteplici
  figure, sul suo seggio
  Protesilào poi vidi, e Palamède,
  a cui fu padre il figlio di Posídone,
  e lieto Dïomède,
  del disco al gioco. E, accanto a lui, Meríone,
  ch'ebbe da Marte origine,
  meraviglioso agli uomini.
  Dagli isolani clivi
  vien di Laerte il figlio; e seco è Níreo,
  il piú bel degli Achivi.
                                      Epodo
  E Achille vidi, l'emulo dei turbini,
  nei piedi al vento simile,
  cui generava Tètide,
  e Chirone educò. Sovra i ghiaiòttoli
  correa del lido, e l'impeto
  spingea dei piedi a vincere,
  chiuso nell'armi, in gara una quadriga.
  Eumèlo era l'auriga,
  di Ferète il nipote; ed alti gridi
  levava; e con la sferza i suoi bellissimi
  corsier' dall'aureo morso
  spinger lo vidi al corso.
  Quelli vicini al giogo, aveano macule
  di crini bianchi;
  e quelli ai fianchi,
  che vario il giro nelle curve segnano,
  rossi l'avean nell'altre membra, e vari
  sovra i pié solidunguli.
  Iva con essi a pari
  d'Eaco il nepote,
  chiuso nell'armi, e il cerchio
  sfiorava e i mozzi alle volanti rote.
                                      Strofe seconda
  Vidi cosí le navi innumerevoli,
  spettacolo ineffabile,
  onde paghe feci io - piacer dolcissimo -
  le femminee pupille.
  L'ala destra occupava, con la furia
  di cinquanta navigli, la compagine
  Ftiòta dei Mirmídoni.
  Emblemi delle navi, aurate immagini,
  sopra le poppe, stavan le Nerèidi
  alle navi d'Achille.
                                      Antistrofe seconda
  Accanto ad essi, degli Argivi stavano
  le navi, in ugual numero.
  Al duce loro padre era Mecísteo,
  che fu di Tàlao figlio.
  Quivi era presso Stènelo,
  figlio di Capanèo. Schierate in ordine
  seguíano, e duce il figlio era di Tèseo,
  sessanta navi d'Attica.
  Palla, su carri alati e solidunguli
  corsier', diletto e fausto
  emblema era al naviglio.
                                      Strofe terza
  E dei Beòti vidi poi l'esercito,
  cinquanta navi, che d'emblemi cariche
  avean le poppe loro.
  Di Cadmo sugli aplustri era l'immagine,
  col suo serpente d'oro.
  E il terrigeno Lèito,
  comandava di Fòcide
  l'oste navale ........................
  ......................................
  E il figlio d'Oilèo, che vien dall'inclita
  città di Tronia, di numero pari
  di Locride conduce i marinari.
                                      Antistrofe terza
  Da Micene ciclopia
  mandò l'Atríde in cento legni i nauti,
  e su le navi stesse
  era il germano, amico con l'amico,
  perché l'Ellade avesse
  vendetta della femmina
  che per lo sposo barbaro
  lasciò la patria; e Nestore
  Gerenio vidi, che da Pito....
  ..............................
  ..............................
  Coi pié di tauro, sculto è sulla torre
  d'ogni nave, l'Alfèo che presso scorre.
                                      Epodo
  E c'eran degli Eníadi
  dodici navi, e il principe
  Gonèo ne avea l'impero.
  Presso a loro i Signori eran dell'Elide:
  Epèi la gente li chiamava; ed èurito
  era lor condottiero.
  E, lasciate l'Echínadi,
  isole infeste ai naviganti, Mègete
  figliuolo di Filèo v'era, e l'esercito
  dei Tafi conducea dai bianchi remi.
  E Aiace salaminio
  congiungeva al diritto il sinistro ordine,
  con le dodici sue navi bellissime
  toccando i legni estremi.
  Tale un popol dinanti
  ho udito, ho visto; e dove alcun dei barbari
  navigli al suo contrasto ardisca muovere,
  non sarà che alla patria
  piú mai ritorni: tale
  vidi uno stuol navale.
  E quel che in casa udii
  narrare, non sarà ch'io pur l'oblii.

(Entra Menelào, tenendo la lettera di Agamènnone, tolta al vecchio servo, che gli tien dietro, cercando invano di farsela restituire) VECCHIO:

  Menelào, troppo ardisci, ed oltre il lecito.

Menelào:

  Vattene! Troppo al tuo signor sei fido.

VECCHIO:

  è questa, che mi fai, bella rampogna.

Menelào:

  Guai a te, se farai ciò che non devi.

VECCHIO:

  Questa lettera aprir tu non dovevi.

Menelào:

  Né tutti danneggiar dovevo gli Ellèni.

VECCHIO:

  Ciò con altri discuti. A me la lettera.

Menelào:

  No, non la lascerò.

VECCHIO:

  Né io la cedo.

Menelào:

  Il capo col mio scettro ora t'insanguino!

VECCHIO:

  Morir pel tuo signore, onore arreca.

Menelào:

  Lasciala: troppo, per un servo parli.

VECCHIO (Grida verso la tenda di Agamènnone):

  Mi fan sopruso, o re! Costui mi strappa
  la tua lettera a forza, e nulla vuole
  fare di quanto è giusto. Odi, Agamènnone!

(Agamènnone esce dalla tenda) Agamènnone:

  Qual tumulto, è questo dunque sulla soglia, qual conflitto di parole?

Menelào:

  Di parlare pria d'un servo avrò diritto.

Agamènnone:

  Con quest'uomo a che t'azzuffi, gli fai forza, ed ei contrasta?

Menelào:

  Al mio viso il viso leva: tal preambolo mi basta.

Agamènnone:

  Ch'io lo sguardo abbassi, quando pur d'Atrídi è il mio lignaggio?

Menelào:

  Di tristi ordini ministro vedi tu questo messaggio?

Agamènnone:

  Vedo; e tu per prima cosa dei lasciarlo.

Menelào:

  No, che avanti
  vo' mostrare quanto è in esso scritto, ai Dànai tutti quanti.

Agamènnone:

  I sigilli hai franti, e quanto non dovevi ora tu sai?

Menelào:

  So le tue mene segrete: sí che doglia tu n'avrai.

Agamènnone:

  Fu la tua gran tracotanza, per gli Dei! Quando l'hai presa?

Menelào:

  Di tua figlia, che qui d'Argo deve giunger, nell'attesa.

Agamènnone:

  Che t'intrighi dei miei fatti? Sarà questo esser protervo?

Menelào:

  Perché voglia me ne punse dimandai: non son tuo servo.

Agamènnone:

  Questa è nuova! Piú padrone non sarò di casa mia?

Menelào:

  No, ché obliqui i tuoi disegni sono, e tali eran già pria.

Agamènnone:

  Parli ben, ma trista cosa par l'arguzia dei ribaldi.

Menelào:

  Cosa iniqua per gli amici sono i cuor chiusi e non saldi.
  Ora in fallo io ti vo' cogliere, e non sia che l'ira trista
  repudiar ti faccia il vero; né sarà ch'io troppo insista.
  Tu brigasti un dí, per essere duce in Ilio degli Achivi,
  rifiutando in apparenza, ma nel cuor, ben sai, l'ambivi;
  tu, ricordi, eri dimesso, tu stringevi a ognun la mano,
  le tue porte eran dischiuse sempre ad ogni popolano,
  e licenza davi a tutti di parlar, perfino a chi
  non ne aveva voglia, i voti guadagnandoti cosí,
  coi tuoi modi. Ma ben presto, come poi tu fosti in cima,
  li cambiasti, e con gli amici piú non fosti quel di prima:
  fu difficile accostarti, spesso chiuse le tue porte.
  Pur, non deve un galantuomo, quando ride a lui la sorte
  mutar faccia: anzi, agli amici, tanto piú, se in luogo è giunto,
  dove possa, dare aiuto deve. è questo il primo punto
  che ho toccato, perché prima qui scoprii ch'eri dei tristi.
  Quando ad Àulide, e all'esercito degli Ellèni poi venisti,
  nulla tu valevi: l'ira ti colpiva degli Dei,
  né soffiava il vento prospero. Pur, volevano gli Achei
  che quel vano indugio d'àulide si troncasse, e si salpasse.
  Come allora eri sconvolto, come andavi a ciglia basse,
  ché di Priamo la terra, pur guidando mille navi,
  non potevi empir d'armati. Meco allor ti consultavi.
  «Che farò? Devo esser privo del comando? Andrà smarrita
  la mia fama glorïosa? Sono a un passo senza uscita».
  Quando poi Calcante l'augure profetò che convenia
  ad Artèmide immolare la tua figlia Ifigenía,
  perché i Dànai potessero navigar, tu lieto n'eri,
  e la figlia d'immolare promettesti, e volentieri
  dir facesti alla tua sposa - e non già per forza, questo
  non puoi dirlo - che tua figlia qui mandasse col pretesto
  che sposar dovesse Achille. Ora, invece, non vuoi piú,
  e t'ho còlto a scriver questa nuova lettera, che tu
  mai dar morte alla tua figlia non potresti. E sia. La stessa
  aura, ch'or noi respiriamo, quella udí la tua promessa.
  Ciò, del resto, a mille avviene, che al poter la voglia han pronta,
  e faticano, e poi devono rinunciare con grave onta:
  per follia talor di popolo; a ragione poi, quand'essi
  inadatti alla tutela son dei pubblici interessi.
  Ma per l'EIlade è il gran cruccio mio, che mentre si periglia
  a un'impresa glorïosa, per tua colpa e di tua figlia
  deve un barbaro da nulla tollerar che di lei rida.
  Non conviene pel valore solo sceglier chi sia guida
  allo stato ed all'esercito. Chi del senno ebbe la luce
  quello può condurre eserciti, dello Stato quello è duce.

CORO:

  O triste cosa, se i fratelli vengono
  a contrasto, ed ingiurie aspre si scagliano.

Agamènnone:

  Rampognarti, e sia con garbo, devo anch'io; ma sarò breve,
  senza prenderla dall'alto, senza boria, come deve
  un fratello col fratello: perché piace a un uom dabbene
  mantenere il suo decoro. Dimmi un po', da che proviene
  questa tua furia terribile? Forse c'è chi ti soverchi?
  Perché l'occhio pien di sangue vai girando? Forse cerchi
  la tua moglie saggia? Offrirtela non posso io: ché male accorto
  ti mostrasti a custodirla; ma scontar debbo il suo torto
  io, che fallo non commisi? - Ch'io son tutto vanità
  mi rimproveri. Ma tu, non ti curi d'onestà,
  la ragione poni in bando, per goderti a tuo bell'agio
  una bella donna: turpi son le brame del malvagio.
  M'ero appreso a un mal consiglio. Or nel novero dei pazzi
  devo andar, perché lo muto? Tu piuttosto! Ti sbarazzi
  d'una moglie trista, un Nume tal fortuna ti concede,
  e di nuovo tu riprendere te la vuoi. Giuraron fede
  quegli stolidi dei suoi pretendenti. La Speranza
  li convinse, ch'è pur Diva, credo, e non la tua prestanza.
  Or li tieni: in campo guidali: pronti son, ché son dementi.
  Però, Dio, che non è sciocco, ben distingue i giuramenti,
  quei che son prestati senza senno, e quei che sono estorti.
  Non sarà che i miei figliuoli per mia mano cadan morti.
  Non sarà che tu trionfi, a vendetta dello scorno
  d'una pessima consorte, e ch'io debba notte e giorno
  macerarmi nelle lagrime, se con atto iniquo ed empio
  dei figliuoli, a cui la vita diedi pur, facessi scempio.
  Ecco quello ch'io ti dico, senza ambagi e breve e chiaro:
  se ragion tu non intendi, ai miei casi io ben riparo.

CORO:

  Questi discorsi molto differiscono
  da quelli innanzi espressi, ed ammoniscono
  bene a ragion, che i figli si risparmino.

Menelào:

  Amici dunque piú non ho, me misero!

Agamènnone:

  Sí, che li hai, se pur tu non voglia perderli.

Menelào:

  Provar potrai che il tuo padre fu il mio?

Agamènnone:

  Saggio teco esser vo', non già demente.

Menelào:

  Soffrir gli amici con gli amici devono.

Agamènnone:

  Coi benefici, e non coi crucci esortami.

Menelào:

  Questa prova affrontar non vuoi per l'èllade?

Agamènnone:

  Fa' un Dio che teco esca di senno l'èllade.

Menelào:

  Or del tuo scettro mena pompa, e il tuo
  fratel tradisci: ad altri accorgimenti
  ad altri amici io mi rivolgerò.

(Entra un araldo) ARALDO:

  Agamènnone, re di tutti gli Ellèni,
  eccomi qui, la figlia tua conduco,
  a cui d'Ifigenía tu desti il nome.
  E Clitemnèstra seco vien, la madre
  sua, la tua sposa, e il pargoletto Oreste:
  sí, che goder potrai, poi che da tanto
  da casa lungi sei, del loro aspetto.
  Ma poi che lunga fu la via, vicino
  a una limpida fonte ora al femineo
  piè dan ristoro; e seco le puledre,
  che fra l'erba d'un prato abbiam lasciate
  a pascolare. Ed io son corso qui,
  perché tu possa degnamente accoglierle.
  Ché la fama è già corsa, e già l'esercito
  sa che tua figlia è giunta, e a corsa muovono
  tutte le turbe per vederla: tutto
  si sa sempre dei grandi, esposti sempre
  sono agli occhi di tutti. Ed uno dice:
  «Di che si tratterà? D'un matrimonio?
  O di che altro? Oppur per desiderio
  della sua figlia, ha qui fatto Agamènnone
  venire Ifigenía?» Risponde un altro:
  «Vogliono all'ara presentar d'Artèmide
  la giovinetta, alla Signora d'àulide.
  Chi mai la sposerà?» - Su via, per questa
  cerimonia i canestri or tu prepara,
  le fronti vostre coronate, e tu,
  re Menelào, prepara l'imenèo,
  e il flauto squilli e i piè danzino: tale
  per la fanciulla fausta luce brilla.

Agamènnone:

  Sta bene: ora entra nella tenda: il resto,
  se fortuna ci assiste, andrà pel meglio. -
  Ahi, che farò, misero me? Di dove
  prender le mosse? A che giogo fatale
  avvinto son! M'ha prevenuto il Dèmone,
  che d'ogni astuzia mia stato è piú scaltro.
  Oh quanto giova esser del volgo! Piangere
  posson senza riguardo, e ciò che vogliono
  liberamente dir; ma per me, nobile,
  tutto ciò sconverrebbe. Al viver nostro
  dà le norme il decoro; e della turba
  siamo gli schiavi. Ed io, cosí, di piangere
  or mi vergogno, e poi, misero me,
  mi vergogno di non piangere, quando
  sono caduto in cosí gran sciagura.
  Che potrò dire alla mia sposa? come
  l'accoglierò? come oserò lo sguardo
  levar su lei? Mi die' l'ultimo colpo,
  venendo senza esser chiamata. Eppure,
  che accompagni la figlia è ben diritto,
  ch'essa a nozze la guidi, ed offra a lei
  ogni piú caro dono, e me sorprenda
  nella tristizia mia. Ma la fanciulla...
  Che dico, ahimè! fanciulla? Essa d'Averno
  sarà sposa fra poco. Oh, che pietà!
  Mi par d'udirla già, ch'essa m'implora:
  «Dunque tu, padre mio, m'ucciderai?
  Simili nozze celebrar tu possa,
  e chi tu prediligi!» - E Oreste qui
  sarà, che grida non intelligibili
  leverà, ché non parla, e pure, io bene
  saprò capirle, Ahimè, figlio di Priamo,
  a che rovina m'hai condotto, Pàride,
  sposando Elena! è tua tutta la colpa.

CORO:

  E gemo anch'io, come ad estranea gemere
  per la sciagura dei signor' s'addice.

Menelào:

  La man, fratello, ch'io la stringa, porgimi.

Agamènnone:

  Eccola, hai vinto: un infelice io sono.

Menelào:

  Per Pèlope io ti giuro, che fu padre
  del tuo padre e del mio, per quell'Atrèo
  che la vita ci die', ch'io ti favello
  senza niun artifizio, a cuore aperto,
  quello solo ch'io sento. Allor ch'io vidi
  il pianto che dagli occhi a te sgorgava,
  sentii pietà, versai lagrime anch'io,
  e ciò ch'io dissi lo rinnego, e duro
  con te non sono, e accedo al tuo parere,
  e la figlia t'esorto a non uccidere,
  per anteporre il mio vantaggio al tuo.
  Giusto non è che tu pianga, ed a me
  rida la sorte, che i tuoi figli muoiano,
  e i miei vedan la luce. E infatti, che
  vado cercando? Se di sposa ho brama,
  non posso altrove una eccellente eleggerne?
  Trarre a rovina il fratel mio dovrò,
  ciò che piú che ad ogni altro a me sconviene,
  e avere Elena in cambio? Il male in cambio
  del bene? Oh, fui demente, oh, fui fanciullo,
  pria di veder da presso che significhi
  uccidere una figlia. E poi, pietà
  di lei mi vinse, misera fanciulla,
  che consanguinea m'è, che cader vittima
  dovrebbe per il mio talamo. E che
  rapporto c'è fra la tua figlia ed Elena?
  Si sciolgano le schiere, Àulide lascino;
  e tu non bagnar piú gli occhi di lagrime,
  fratello mio, né provocarmi al pianto.
  Ché se ti resta ancora ombra di scrupolo
  circa il responso di Calcante, niuno
  ne resta a me: per parte mia, sei libero.
  - Ma come mai dai tuoi fieri propositi
  hai desistito? - Ho fatto bene: amore
  del fratello mi mosse; ed attenersi
  al consiglio miglior non è da tristi.

CORO:

  Son generose, son degne di Tàntalo
  figlio di Giove, le parole tue:
  tu non fai torto ai tuoi progenitori.

Agamènnone:

  Ti sono grato, o Menelào, che, contro
  l'opinïone mia, queste parole
  di te degne hai soggiunte. Avvampar sogliono
  le fraterne discordie, o per amore,
  o per avidità di potere: io
  aborro questi parentaggi d'odio
  reciproco; ma or mi lega il fato
  cosí, ch'io debbo la mia figlia uccidere.

Menelào:

  Come? Chi può costringerti ad ucciderla?

Agamènnone:

  Tutto raccolto degli Achei l'esercito.

Menelào:

  No, se di furto ad Argo la rinvii.

Agamènnone:

  Far lo potrei. Ma come poi nascondere...

Menelào:

  Che cosa? Troppo non temer le turbe.

Agamènnone:

  Calcante ad essi svelerà l'oracolo.

Menelào:

  No, se potessi prevenirlo: è facile.

Agamènnone:

  Tutti i profeti ambizïone han troppa.

Menelào:

  Né la presenza lor giova, né piace.

Agamènnone:

  Non temi inoltre... - in mente ora mi viene.

Menelào:

  Come intender posso io ciò che non dici?

Agamènnone:

  Di Sísifo il rampollo? Egli sa tutto.

Menelào:

  Che me, che te danneggi Ulisse? Oh, no!

Agamènnone:

  è sempre doppio, e tien sempre dal popolo.

Menelào:

  Soffre d'ambizïone, un male grave.

Agamènnone:

  Figúrati costui, che fra gli Achei
  surto a parlare, di Calcante sveli
  i vaticinî, e ch'io feci promessa
  d'immolar la mia figlia, ed or mi nego.
  Quando avrà tratto dalla sua l'esercito
  con simili argomenti, ingiungerà
  che, uccisi me e te, gli Argivi immolino
  la mia figliuola. E se fuggissi ad Argo,
  là verrebbero, e me distruggerebbero,
  e meco i valli dei Ciclopi, e a sacco
  metterebber la terra. O me tapino,
  in quali angustie i Numi mi costringono!
  Solo un favore, appena fra l'esercito
  sarai tornato, o Menelào, ti chiedo:
  che di ciò nulla Clitemnèstra sappia,
  prima ch'io m'abbia la fanciulla, e all'Ade
  io l'offra; e quanto men si può di lagrime
  debba versar nella sciagura mia.
  (Alle donne del coro)
  O stranïere, e voi motto non fate.

(Menelào parte) CORO: Strofe

  Beati quelli per cui savia modera
  Afrodite le sue grazie, e i legittimi
  talami sol conoscono,
  che gli estri mai non seppero
  delle amorose furie!
  Ché Amor, dalla cesarie
  d'oro, vibra dall'arco un dardo duplice,
  e l'uno ha vita prospera,
  l'altro guida al disordine.
  Deh, questo dal mio talamo
  resti ognor lungi, o Cípride.
  La moderata Càrite
  sopra me imperi, e il Desiderio lecito.
  D'Afrodite goder mi sia concesso
  i piaceri; ma stia lungi ogni eccesso.
                                      Antistrofe
  Sono diverse l'indoli degli uomini,
  varii i costumi. Ma l'onesto e il nobile
  fra tutti puoi distinguere.
  Anche t'avvia sul tramite
  di virtú, chi ben t'educa.
  Saggezza e verecondia
  sono una cosa; e pregio ha quel criterio
  che il dovere sa scernere:
  allor si può presumere
  d'aver perenne gloria.
  A virtude aspirare è sommo merito
  per le donne, se valgono
  schivar gli amori subdoli;
  e la nativa agevole misura
  dell'uom, vantaggio alla città procura.
                                      Epodo
  E tu venisti, o Pàride,
  dove pastor di mandrie
  crescesti, fra le candide
  giovenche d'Ida; e sufolavi barbare
  melodi, e sul tuo calamo
  emulavi d'Olimpo i frigi flauti.
  E pascevan le floride
  giovenche, allor che giunsero
  le tre Dive al giudizio,
  e la follia t'invase,
  che t'inviò ne l'Ellade,
  di Menelào presso l'eburnee case.
  E, d'Elena nel ciglio
  figgendo il ciglio, ella d'amor fu scossa,
  e sentisti anche tu la gran percossa.
  Da gara nacque gara;
  ed ora, e navi e cuspidi
  di Troia ai danni l'Ellade prepara.

(Giungono sopra un carro Clitemnèstra ed Ifigenía) CORIFEA:

  Viva viva! Dei grandi è pur grande
  la fortuna. Vedete Ifigenía,
  la signora, la figlia del re,
  Clitemnèstra vedete, la figlia
  di Tíndaro! Nate da grandi,
  si levano a eccelsa fortuna.
  I possenti ed i ricchi, son numi
  per gli uomini senza fortuna.
  Fermiamoci, o figlie di Càlcide,
  la regina accogliamo, ché il piede
  in fallo non metta, mentre essa
  a terra dal cocchio discende,
  con cuore devoto, con mano
  leggera, ché, appena qui giunta,
  sbigottire non debba la figlia
  d'Agamènnone eccelsa, né causa
  noi siam di terrore alle argive,
  noi, ospiti, alle ospiti.

(Si affollano intorno al carro) Clitemnèstra:

  La gentilezza tua per buon augurio
  tengo, e le tue buone parole; e in cuore
  nutro speranza che a felici nozze
  abbia la sposa addotta. Ora, dal carro
  prendete i doni che per dote io reco
  della fanciulla, e cauti trasportateli
  dentro la tenda. E tu, figlia, non muoverti
  dal cocchio, a terra non posare il piede,
  tenera e stanca quale or sei. Fanciulle,
  or fra le vostre braccia ricevetela,
  aiutatela a scendere. Ed a me
  il fulcro della mano alcuno porga,
  ch'io possa abbandonar senza disagio
  del cocchio il seggio. E innanzi voi ponetevi
  coi puledri aggiogati: ombroso è l'occhio,
  se non lo calmi, dei puledri. E questo
  d'Agamènnone figlio anche prendete,
  Oreste: ch'egli non favella ancora.
  O figlio, dormi? T'ha sopito il trotto
  del carro? Su, col buon augurio svégliati,
  ché tua sorella si fa sposa. Nobile
  essa, e lo sposo nobile sarà,
  della Nerèide il figlio ai Numi simile.
  Accanto a me scendi, figliuola, fatti,
  Ifigenía, presso alla madre, ché
  la mia felicità vedan queste ospiti.
  E poi saluta il tuo padre diletto. -
  (Giunge Agamènnone)
  Agamènnone re, mio grande orgoglio,
  obbedïenti al cenno tuo venimmo.

Ifigenía:

  O madre mia, non adirarti! Io corro,
  il seno mio del padre al seno stringo.

Clitemnèstra:

  Dev'essere cosí, figlia: ché tu
  piú d'ogni altro mio figlio il padre amasti.

Ifigenía:

  Che gioia, dopo tanto, alfin vederti!

Agamènnone:

  Ed io te: tu parlasti anche per me.

Ifigenía:

  Salute! Presso te fu bene addurmi.

Agamènnone:

  Non so s'io dire ciò debba, o non dirlo.

Ifigenía:

  Ahimè!
  Godi a vedermi, eppur non sei sereno!

Agamènnone:

  Un duce, un re, molti pensieri angustiano.

Ifigenía:

  Or lascia ogni pensiero, e bada a me.

Agamènnone:

  Vicino a te son tutto, e non altrove.

Ifigenía:

  Il ciglio spiana, rasserena il guardo.

Agamènnone:

  Ecco: godo a vederti, o figlia, godo.

Ifigenía:

  E dal tuo ciglio intanto versi lagrime?

Agamènnone:

  Perché dovremo a lungo esser lontani.

Ifigenía:

  No, non t'intendo, o padre mio carissimo.

Agamènnone:

  Io sí, t'intendo; e ciò piú m'addolora.

Ifigenía:

  Parlerò, se t'allieta, oscuramente.

Agamènnone:

  Ahimè, tacer non posso! Oh, tu sei buona.

Ifigenía:

  Presso i tuoi figli, o padre, in casa resta.

Agamènnone:

  Lo bramo, né bramar posso, e mi cruccio.

Ifigenía:

  E guerra e guai di Menelào si sperdano.

Agamènnone:

  Altri perir, come io perii, faranno.

Ifigenía:

  Da quanto indugi nei recessi d'àulide!

Agamènnone:

  E debbo ancora trattener l'esercito.

Ifigenía:

  O padre, di': dove han soggiorno i Frigi?

Agamènnone:

  Ove Pàride mai nato non fosse!

Ifigenía:

  Mi lasci, o padre! E vai molto lontano?

Agamènnone:

  E lontano anche tu gir devi, o figlia.

Ifigenía:

  Deh, navigare
  io potessi con te!

Agamènnone:

  Navigherai
  tu pure, ove di me sarai ben memore.

Ifigenía:

  E sola o con mia madre andar dovrò?

Agamènnone:

  Senza la madre e senza il padre, sola.

Ifigenía:

  Forse lungi di qui, padre, m'accasi.

Agamènnone:

  Non dei saper, ché sei fanciulla: taci.

Ifigenía:

  Debella i Frigi, e a me presto ritorna.

Agamènnone:

  Qui pria sacrificar debbo una vittima.

Ifigenía:

  Assisterò, vedrò quanto è pur lecito.

Agamènnone:

  Vedrai, starai presso all'acqua lustrale.

Ifigenía:

  Intrecceremo danze all'ara intorno?

Agamènnone:

  Quanto beata piú di me ti reputo,
  che nulla intendi! Nella tenda ora entra,
  ch'esser vedute alle fanciulle spiace.
  E un bacio dammi, e porgimi la destra,
  ché lungo tempo star dovrai lontana
  dal padre. - O seno, o gote, o bionde chiome,
  di quanto danno la città dei Frigi
  ed Elena per te fu causa! Taccio
  ché rugiada urge le mie ciglia, mentre
  ti stringo al seno. E tu, figlia di Leda,
  perdona a me, se troppo io mi commòvo,
  quando in procinto sono di concedere
  la mia figlia ad Achille. Il suo commiato
  lieto sarà, ma piange sempre il cuore
  d'un padre, quando i figli suoi, cresciuti
  con tanta pena, ad altre case affida.

Clitemnèstra:

  Tanto stolta non sono; e sii pur certo
  che troppo anch'io la stessa doglia provo,
  per rinfacciarla a te, mentre la figlia
  conduco a nozze. Or dimmi tu: ché il nome
  so del giovine a cui sposa concedi
  la figlia nostra; ma di quale stirpe,
  di quale terra sia saper desidero.

Agamènnone:

  D'àsopo nacque la fanciulla Egìna.

Clitemnèstra:

  E sposo a lei chi fu, mortale o Nume?

Agamènnone:

  Giove. E d'Enòna il primo, èaco n'ebbe.

Clitemnèstra:

  E qual d'èaco figlio indi regnò?

Agamènnone:

  Pelèo: sposa ebbe questi la Nerèide.

Clitemnèstra:

  Un Dio gliela concesse? O a forza l'ebbe?

Agamènnone:

  Giove a lui la promise, a lui la diede.

Clitemnèstra:

  Dove sposò? Fra l'estuar del ponto?

Agamènnone:

  Nel Pelio sacro, ove abita Chirone.

Clitemnèstra:

  Dove, dicon, soggiorno hanno i Centauri?

Agamènnone:

  Qui le sue nozze i Numi celebrarono.

Clitemnèstra:

  E chi educava Achille? Il padre o Tètide?

Agamènnone:

  Chirone, lungi dalle triste genti.

Clitemnèstra:

  Saggio il maestro e chi glie l'affidò.

Agamènnone:

  Di tal uomo sarà sposa tua figlia.

Clitemnèstra:

  Da non spregiare. E dove abiterà?

Agamènnone:

  A Ftia, presso i confini, in Apidàno.

Clitemnèstra:

  La mia figlia, la tua, lí condurrà?

Agamènnone:

  Chi la possederà dovrà decidere.

Clitemnèstra:

  Fortuna a loro! E in che dí sposeranno?

Agamènnone:

  Quando piena la luna in ciel rifulga.

Clitemnèstra:

  La vittima alla Diva offriste già?

Agamènnone:

  Ero in procinto; a tale ufficio intendo.

Clitemnèstra:

  Súbito poi celebrerai le nozze?

Agamènnone:

  Quando l'ostie dovute abbiano i Numi.

Clitemnèstra:

  Per le donne il convito ove imbandire?

Agamènnone:

  Qui, vicino alle belle argive navi.

Clitemnèstra:

  Sta bene; e arrida prospero l'evento.

Agamènnone:

  Sai sposa mia, che devi fare? Ascoltami.

Clitemnèstra:

  Che cosa? Ad ubbidirti io sono avvezza.

Agamènnone:

  Intanto, io, là, dov'è pure lo sposo...

Clitemnèstra:

  Farete ciò che far deve la madre?

Agamènnone:

  Celebrerò fra i Danäi le nozze.

Clitemnèstra:

  Ed io, frattanto, dove esser dovrò?

Agamènnone:

  Ritorna ad Argo, e alle fanciulle bada.

Clitemnèstra:

  Lasciar mia figlia? E chi terrà la fiaccola?

Agamènnone:

  Io: quella che conviene a nozze simili.

Clitemnèstra:

  Tal non è l'uso, a cui convien chinarsi.

Agamènnone:

  Mischiarti fra le schiere a te sconviene.

Clitemnèstra:

  Ma mi convien la figlia a nozze addurre.

Agamènnone:

  E lasciar sole in casa l'altre figlie?

Clitemnèstra:

  Nei ginecei, ben custodite sono.

Agamènnone:

  Ciò ch'io ti dico, fa'.

Clitemnèstra:

  No, per la Dea
  che in Argo impera. Delle cose pubbliche
  abbi tu cura, ed io delle domestiche,
  di ciò che occorre a giovinette spose.

(Esce) Agamènnone:

  Ahimè, ché indarno m'affannai, deluso
  fui, ché speravo allontanar dal campo
  la sposa mia: ché contro i miei piú cari
  debbo cercar pretesti e sotterfugi,
  e d'ogni parte sono vinto. Eppure,
  da Calcante indovino andrò, con lui
  consulterò quanto alla Diva piaccia.

(Esce) CORO: Strofe

  Al Simoenta, ai vortici
  d'argento, giungerà la moltitudine
  dell'esercito achèo, sopra le rapide
  navi, chiuso nell'armi, ai valli d'Ilio,
  alla febèa di Troia
  pianura, ove, raccontano,
  Cassandra avventa all'aura i flavi riccioli,
  e, a farsi adorna, il pallido
  serto d'alloro alle sue chiome gira,
  allor che nel suo seno ineluttabile
  la fatidica possa il Nume spira.
                                      Antistrofe
  E staran sugli aerei
  spalti i Troiani, e intomo al muro d'Ilio,
  allor che Marte dallo scudo bronzeo,
  coi bei navigli attraversando il pelago,
  verrà, verrà con l'impeto
  dei remi, ai molli tramiti
  del Simoenta: ch'esso, dei Dïòscuri
  che si libran nell'ètere
  vuol ricondurre la sorella, Elèna,
  dalla reggia di Priamo ai lidi d'Ellade
  con lance e scudi; e avran gli Dei gran pena.
                                      Epodo
  E le torri marmoree
  della rocca di Pergamo
  con le omicide cuspidi
  circondate, e dai culmini
  distrutta la città,
  le figliuole di Priamo
  e la sposa nel pianto immergerà,
  e di Giove la figlia
  che lo sposo tradiva, Elena, lagrime
  versare anche dovrà.
  Deh, mai tale presagio
  io debba avere di futuro danno,
  come le spose frigie ornate d'oro!
  Ai telai sederanno
  e diranno fra loro:
  «Chi dunque, per la florida
  chioma ghermita, con furia di lagrime,
  dalla distrutta patria
  ne rapirà sua preda,
  per te, che sei germoglio
  d'un collilungo cigno, se veridica
  è la fama che a Giove, allor che aligera
  parvenza assunse, te generò Leda,
  se pure inani favole
  queste non sono, che gli uomini appresero
  dalle pïerie tàvole».

(Giunge Achille) ACHILLE:

  Il condottier dov'è qui degli Achìvi?
  Qual dei famigli a lui dirà che Achille
  il figlio di Pelèo, giunto alla sua
  tenda, lo cerca? Non è forse pari
  per tutti, il peso dell'indugio? Alcuni
  fra quanti siam su questa spiaggia, privi
  di sposa ancora, vuote abbiam lasciato
  le nostre case; ed altri abbandonarono
  e spose e figli: tal brama di zuffe
  invase, non senza voler dei Numi,
  l'Ellade tutta. Ora è giusto ch'io dica
  quello che m'interessa; ed altri esponga
  ciò ch'egli brama. Io, Fàrsalo e Pelèo
  abbandonato, in questo Eurípo attendo,
  dove soffio non spira; e i miei Mirmídoni
  debbo frenare; e quelli ognor m'incalzano
  e mi dicono: «Achille, or che s'attende?
  Per quanto ancor l'ore contar dovremo,
  pria di muovere ad Ilio? Or, se da compiere
  c'è qualche opra, si compia; e non attendere
  piú a lungo, qui, l'indugio degli Atrídi».

Clitemnèstra:

  Dal di dentro i tuoi detti uditi, ho, figlio
  della Diva Nerèide; e sono uscita.

ACHILLE:

  Divo Pudore, e quale donna mai
  veggo, d'assetto cosí bello e ornato?

Clitemnèstra:

  Non mi conosci tu? S'intende: mai
  non mi vedesti; e ben pregi il pudore.

ACHILLE:

  Chi sei? Perché venuta sei dei Dànai,
  fra le schiere, fra genti armate a guerra?

Clitemnèstra:

  Figlia di Leda io sono: il nome mio
  è Clitemnèstra: il mio sposo Agamènnone.

ACHILLE:

  Brevi ed acconce fûr le tue parole;
  ma non conviene ch'io parli con femmine.

Clitemnèstra:

  Resta: ché fuggi? A me porgi la destra,
  e sia preludio di felici nozze.

ACHILLE:

  Che dici? A te la destra? D'Agamènnone
  il rispetto mi tien, ch'io pur ti tocchi.

Clitemnèstra:

  Figlio della Nerèide, a te ben lecito
  è, poiché tu sposar devi mia figlia.

ACHILLE:

  Sposar tua figlia? Io resto muto, o donna:
  sconvolto è il tuo pensier, che cosí parli?

Clitemnèstra:

  Vergogna insita è in tutti, allor che veggono
  amici nuovi, e che di nozze parlino.

ACHILLE:

  Promesso alla tua figlia io mai non fui,
  né mai gli Atrídi mi parlâr di nozze.

Clitemnèstra:

  Che significa ciò? Tu dei miei detti
  fai meraviglia ancora, ed io dei tuoi.

ACHILLE:

  Argomentiamo: argomentare a entrambi
  conviene, che né tu né io mentiamo.

Clitemnèstra:

  Tale ingiuria m'han fatta? A infinte nozze
  strinsi mia figlia, sembra. Io pur n'ho scorno.

ACHILLE:

  Entrambi alcun ci offese, e me e te;
  pur non fartene cruccio, e non curartene.

Clitemnèstra:

  Addio! Non oso piú guardarti: vittima
  fui d'un indegno tratto, e il falso io dissi.

ACHILLE:

  Ciò che mi dici, anch'io ti dico: ora entra
  in questa tenda, ed il tuo sposo interroga.

(Dalla tenda esce il vecchio servo) VECCHIO:

  O nipote d'èaco, o figlio della Dea, le mie parole
  sono a te rivolte: arrèstati; e tu ancor, di Leda prole.

ACHILLE:

  Chi dall'uscio semichiuso chiama a sé timidamente?

VECCHIO:

  Servo io sono, e non m'esalto: la fortuna nol consente.

ACHILLE:

  Mio non già: nulla in comune Agamènnone ha con me.

VECCHIO:

  Di costei, che vedi: Tíndaro, il suo padre, a lei mi die'.

ACHILLE:

  Ecco, indugio; e tu che brami di', perché vuoi che qui attenda.

VECCHIO:

  Tu soltanto e la regina siete innanzi a questa tenda?

ACHILLE:

  Esci pur dal padiglione del re, parla: soli siamo.

VECCHIO:

  O Fortuna, o Provvidenza, salvi sian quelli ch'io bramo.

ACHILLE:

  I tuoi detti non son brevi: gioveranno pel futuro.

Clitemnèstra:

  Se qualcosa devi dirmi, non tardar, te ne scongiuro.

VECCHIO:

  Sai chi son, sai quanto affetto per te nutro e pei tuoi figli.

Clitemnèstra:

  So che sei della mia casa fra i piú antichi dei famigli.

VECCHIO:

  Come parte di tua dote m'ebbe il re, ciò pur t'è noto.

Clitemnèstra:

  Sí: venisti meco in Argo, e mi fosti ognor devoto.

VECCHIO:

  Cosí appunto; ed il tuo sposo di te meno a me fu caro.

Clitemnèstra:

  Ciò che vai dicendo, a me lo dovresti dir men chiaro.

VECCHIO:

  La tua figlia il padre stesso di sua mano uccider vuole.

Clitemnèstra:

  Come? O vecchio, tu sei pazzo. Sperse sian le tue parole!

VECCHIO:

  La sua spada vuol che sanguini nella bianca gola immersa.

Clitemnèstra:

  O me misera! Il mio sposo la ragione ha dunque persa?

VECCHIO:

  Salda l'ha, tranne per te, per tua figlia; per noi, no.

Clitemnèstra:

  E per qual ragione? Quale triste genio l'invasò?

VECCHIO:

  Fu Calcante, perché possano degli Achei giunger le squadre...

Clitemnèstra:

  Dove? Ahimè! Povera figlia mia, che morte avrai dal padre!

VECCHIO:

  Perché possa Elena avere Menelào, dinanzi a Troia.

Clitemnèstra:

  è destino che mia figlia, perché torni Elena, muoia?

VECCHIO:

  Ad Artèmide dal padre suo sgozzata. Or tutto io dissi.

Clitemnèstra:

  E le nozze, dunque, furono un pretesto, ch'io venissi?

VECCHIO:

  Perché tu lieta ad Achille conducessi Ifigenía.

Clitemnèstra:

  In che abisso entrambe siamo rovinate, o figlia mia!

VECCHIO:

  Fu tremendo d'Agamènnone l'atto, orrendo è il vostro schianto.

Clitemnèstra:

  Sono, ahimè!, perduta, a fiumi giú dai cigli erompe il pianto.

VECCHIO:

  Una madre i figli piangere n'ha ragion, come altri mai.

Clitemnèstra:

  Ma tu, ciò che dici, o vecchio, di saper, come lo sai?

VECCHIO:

  Ti recavo, oltre la prima che tu avesti, una missiva.

Clitemnèstra:

  M'imponea la figlia a morte di recare, o l'impediva?

VECCHIO:

  L'impediva: folle quando me la diede, piú non era.

Clitemnèstra:

  Ed a me tu quella lettera non recasti? In che maniera?

VECCHIO:

  Menelào me la strappava; del mal nostro è desso il reo.

Clitemnèstra:

  Odi tu, della Nèreide figlio, figlio di Pelèo?

ACHILLE:

  Tu sei misera, io mal tollero che fui tratto in questo inganno.

Clitemnèstra:

  Col pretesto di tue nozze la mia figlia uccideranno.

ACHILLE:

  Del tuo sposo il fallo, poco non pensar che anche me tocchi.

Clitemnèstra:

  Il pudor non mi trattiene dal gittarmi ai tuoi ginocchi,
  io mortale, a te figliuolo d'una Dea. Quale albagia
  posso avere? O per chi piú che per te, figliuola mia,
  adoprar mi debbo? E aiuto dammi tu nella disdetta,
  o figliuolo della Diva, ed a quella che fu detta
  sposa tua, sia pure invano, ma fu detta; ond'io le chiome
  di ghirlande le recinsi, ed a te l'addussi, come
  al suo sposo: di sua morte sarà questo invece il giorno.
  Ma su te, qualor soccorso non le dia, cadrà lo scorno:
  ché se tu, con lei dal giogo nuzïal non fosti unito,
  della misera fanciulla detto pur fosti marito.
  Per la man tua, la tua gota, la tua madre, se perduto
  m'ha il tuo nome, nel tuo nome ora sia ch'io trovi aiuto.
  Poiché, tranne il tuo ginocchio, non c'è altar che m'assicuri,
  non c'è amico che m'aiuti; e tu sai quanto son duri
  i disegni d'Agamènnone, come atroci. E io, donna, quale
  tu mi vedi, son qui giunta a un esercito navale,
  non piú docile al comando, e disposto ad osar tutto
  contro i duci, ov'essi indugino, ma da trame utile frutto
  sol che vogliano. Or, se cuore hai di stendermi la destra,
  sono salva: se rifiuti, già perduta è Clitemnèstra.

CORO:

  è cosa grande l'esser madre: è filtro
  possente in seno a tutti quanti gli esseri,
  sí che pei figli ogni fatica affrontino.

ACHILLE:

  Pieno d'eccelso ardor l'animo mio
  balza, che ognor misura serba, e quando
  la sciagura l'opprime, e quando prospera
  la fortuna lo esalta. E quanti nutrono
  simili sensi, di lor vita guidano
  diritto il corso, e lor compagno è il senno.
  Giova talor non troppo essere saggi,
  giova talor nutrire util pensiero.
  Ed io, cresciuto in casa d'un piissimo
  uom, di Chirone, i semplici costumi
  appresi, ed agli Atrídi ubbidirò,
  quando leciti siano i lor comandi;
  e quando turpi, disubbidirò:
  serbando intatta l'indole mia libera,
  in Troia il mio valor farò palese.
  O donna, che patisci acerbi danni
  dai tuoi piú cari, io te, per quanto un uomo
  giovane possa, di pietà cingendoti,
  consolare saprò. Non mai la figlia
  tua, già promessa a me, sarà sgozzata
  dal padre suo. Non mai concederò
  la mia persona, che serva al tuo sposo
  per tendere lacciuoli: il nome mio,
  sebbene ferro mai non abbia stretto,
  ucciderebbe la tua figlia: piú
  non sarebbe il mio nome immacolato,
  se per me, per le mie nozze, morisse
  questa fanciulla, che patisce pene
  orride, insopportabili, che vittima
  procombe di soprusi indegni e nuovi.
  Fra gli Argivi sarei tutti il piú tristo,
  un uom sarei da nulla, e Menelào
  fra gli eroi conterebbe, e non di Pèleo
  figlio sarei, ma d'un malvagio dèmone,
  se, del tuo sposo in cambio, il nome mio
  divenisse assassino. Oh, per Nerèo
  che fra gli umidi gorghi ebbe la vita,
  che vita diede alla mia madre Tètide,
  Agamènnone re la figlia tua
  non toccherà, neppur le somme dita
  alle sue vesti avvicinar potrà.
  O Sípilo, se no, donde proviene
  d'Atrèo la stirpe, ed è rocca di barbari,
  città sarebbe, e piú nessuno il nome
  di Ftia ricorderebbe. Assai dovranno
  saper d'amaro acque lustrali ed orzo
  al profeta Calcante. Ed uomo è forse
  un profeta, che assai dice menzogne,
  e poche verità, quando l'imbrocca,
  e quando sbaglia, si dilegua? E questo
  io non lo dico per le nozze: mille
  fanciulle essermi spose bramerebbero.
  Ma grave torto a me fece Agamènnone:
  a me chieder doveva il nome mio,
  per adescar la figlia; e Clitemnèstra
  meglio da me sarebbe stata indotta
  a cedere la figlia. Ed io concesso
  agli Ellèni l'avrei, se non concederlo
  contesa avesse la partenza. Opposto
  non mi sarei, che prospera la sorte
  volgesse a quelli onde alleato io venni.
  Ma i duci in nessun conto ora mi tengono:
  bene trattarmi, o male, è ugual per essi.
  Ma ragione farà presto la spada,
  che, prima ancor di giungere tra i Frigi,
  io di macchie sanguigne spruzzerò,
  se vorrà la tua figlia alcun rapirmi.
  Sta pur tranquilla. A te parvi un grandissimo
  Nume, e non ero; e adesso io tal sarò.

CORO:

  Parole hai dette, o figlio di Pelèo,
  degne di te, della marina Diva.

Clitemnèstra:

  Ahimè!
  Come fare io potrò che le mie lodi
  non sian soverchie, e che non siano scarse
  tanto, ch'io perda il tuo favore? I buoni
  chi di lodi li colma hanno a dispetto.
  E mi vergogno poi, che questi lagni
  porgerti devo, per un mal che tocca
  me sola, e immune tu ne sei. Ma bello
  è, per un uomo retto, agli infelici,
  pur se rimane ai loro mali estraneo,
  recar soccorso. Abbi di me pietà,
  ché ne son degne le mie pene. Genero
  sperai te prima avere, e poi rimasi
  con la vana speranza; e tristo augurio
  sarebbe per le tue nozze future
  la morte della mia figlia; e tu schivalo.
  Ma savie furon le tue prime e l'ultime
  parole; e, se tu vuoi, salva sarà
  la figlia mia. Vuoi ch'ella cada supplice
  dinanzi ai tuoi ginocchi? Ad una vergine
  ciò si sconviene; ma se tu lo brami,
  di pudore velato il ciglio nobile,
  essa verrà. Ma, se da te lo stesso
  posso impetrar, senza che venga, resti
  pur nella tenda. è il suo pudor lodevole:
  pur serbarlo convien quanto bisogna.

ACHILLE:

  Non condurre tua figlia al mio cospetto,
  non affrontiamo degli stolti il biasimo:
  ch'or, lungi d'ogni sua briga domestica,
  l'esercito qui accolto, ama le tristi
  e malefiche ciance; e, sia pregando,
  sia non pregando, il vostro scopo in tutto
  conseguirete: è mio solenne impegno
  liberarvi dai mali; e del mio dire
  ciò sappi sol: ch'esso non fu mendace.

Clitemnèstra:

  Sii tu felice, che soccorri i miseri.

ACHILLE:

  Odimi, perché tutto a ben proceda.

Clitemnèstra:

  Che vuoi tu dire? Darti ascolto è d'uopo.

ACHILLE:

  A miglior senno si richiami il padre.

Clitemnèstra:

  è vile, e troppa tema ha dell'esercito.

ACHILLE:

  Ma gli argomenti l'un l'altro s'abbattono.

Clitemnèstra:

  Vana speranza. E che far devo? Dimmelo.

ACHILLE:

  La figlia pria che non uccida pregalo;
  e se resiste, a me devi ricorrere.
  Perché, se voi lo convincete, inutile
  sarà l'opera mia, ché la salvezza
  avrete allora conseguita, ed io
  meglio procederò verso l'amico,
  né rampognare mi potrà l'esercito
  se la ragione e non la forza adopero.
  Pur senza me, cosí possano compiersi
  gli eventi che agli amici gaudio arrechino.

Clitemnèstra:

  Saggio parlasti; e far bisogna quello
  che dici tu. Ma se di ciò che bramo
  alcunché non conseguo, ove potrò
  vederti ancora, ove recarmi, o me
  misera, dove, per trovar la tua
  mano, dei mali miei soccorritrice?

ACHILLE:

  Vigilerò, dove bisogni: niuno
  scorgerti deve sbigottita muovere
  per l'esercito acheo: torto alla casa
  non far del padre. Non è degno Tíndaro
  di mala fama, ch'è sommo fra gli Ellèni.

Clitemnèstra:

  Sarà cosí. Comanda: a me conviene
  far ciò che dici tu. Se i Numi esistono,
  prospera sorte tu godrai, ché sei
  giusto. E se no, l'affaticar che giova?

(Clitemnèstra entra nella tenda. Achille esce per tornare fra l'esercito) CORO: Strofe

  Sul flauto libio, sopra la cetera
  dei balli amica, sui cavi biodi
  contesti nella sampogna, il cantico
  di nozze espresse dolci melodi
  quando le Pierïe Dive, dai riccioli
  belli, al festino dei Numi vennero,
  battendo in danza dell'aureo sandalo
  la lieve pesta,
  quel dí che a nozze moveva Pèleo,
  Tètide e il germine d'èaco esaltando nei loro cantici,
  su l'alpe dei Centauri,
  nella Pelia foresta.
  E il dardanio fanciullo,
  di Giove al talamo dolce trastullo,
  il frigio Ganimède,
  dal fondo grembo all'anfore
  d'oro, attingeva il nèttare.
  E, su la sabbia candida
  volgendo in giro il piede,
  danzaron l'imenèo
  le cinquanta figliuole di Nerèo.
                                      Antistrofe
  Cinte le chiome di verdi foglie,
  stringendo in pugno tronchi di pino,
  venne l'equestre stuol dei Centauri,
  di Bacco ai calici colmi, al festino
  dei Numi. Ed alte grida levarono:
  «Figlio di Nèreo, Chiron, veridico
  vate dei cantici febèi, pronòstica
  che un tuo figliuolo
  sarà purissima luce pei Tèssali,
  che coi Mirmídoni guerrieri, armati di scudo e lancia,
  a saccheggiar di Priamo
  giunge il celebre suolo,
  cinto dell'armi d'oro
  d'Efesto delle mani lavoro.
  A lei la genitrice
  ne farà dono, Tétide
  ond'ebbe il vital gèrmine.
  Celebreranno i Dèmoni,
  quell'imenèo felice
  del figliuol di Pelèo,
  della marina figlia di Nerèo».
                                      Epodo
  A te la chioma ricciola bella
  gli Achivi, o vergine, ghirlanderanno,
  come a vitella
  varïopinta, che giunga intatta
  dai suoi rocciosi montani spechi,
  a te la tenera gola di sangue cospargeranno.
  Né fra sampogne tu, né fra gli echi
  di pastorali canti crescesti.
  Per qualche eletto giovine d'Ìnaco,
  te crebbe, pura
  sposa, materna gelosa cura.
  Qual forza avranno piú
  verecondia e virtú,
  quando trionfa l'empio,
  né gara è fra i mortali, perché s'eviti
  lo sdegno dei Celesti?

(Dalla tenda esce Clitemnèstra) Clitemnèstra:

  Uscita sono dalla tenda, e cerco
  lo sposo mio, già da gran tempo uscito.
  La misera mia figlia, in pianto immersa,
  empie l'aria col suon vario dei lagni,
  poi che la morte che dal padre inflitta
  le sarà, seppe. Io parlo d'Agamènnone;
  ed ei s'appressa al luogo ove convinto
  d'empiezza contro i figli suoi sarà.

Agamènnone:

  Figlia di Leda, in buon momento fuori
  della tenda ti trovo, ove a proposito
  d'Ifigenía, ciò ti dirò, che, a nozze
  movendo, le fanciulle udir non debbono.

Clitemnèstra:

  Qual cosa mai tanto opportuna giunge?

Agamènnone:

  Fa' dalla tenda la fanciulla uscire,
  ch'essa col padre suo venga. è già pronta
  l'acqua lustrale, ed i granelli d'orzo
  da gittare sul fuoco, e le vitelle
  che cadran, prima delle nozze, il negro
  sangue spruzzando, vittime d'Artèmide.

Clitemnèstra:

  Le tue parole son belle; ma l'opere
  tue, non saprei come trovar parole
  per approvarle. - O figlia, esci qui fuori.
  Di tuo padre sai ben quanto ei decise.
  E prendi Orèste, il tuo fratello, avvolgilo
  nel peplo, o figlia, e conducilo qui.
  Ecco, tua figlia ad ubbidirti è pronta.
  Altre cose io, per me, per lei dirò.

Agamènnone:

  Figlia mia, perché piangi, e dolcemente
  piú non mi guardi, e gli occhi a terra abbassi,
  e velo ad essi fai del peplo?

Clitemnèstra:

  Ahimè!
  Da qual dei mali miei comincerò?
  D'essere primo ciascun d'essi è degno.

Agamènnone:

  Che c'è? D'un solo cuore a me rivolte,
  turbato avete ed agitato il guardo.

Clitemnèstra:

  Ai detti miei franco rispondi, o sposo.

Agamènnone:

  Risponderò: non val che tu m'esorti.

Clitemnèstra:

  La figlia tua, la mia, t'appresti a uccidere?

Agamènnone:

  Ahimè!
  Tristi i tuoi detti, il tuo sospetto indegno.

Clitemnèstra:

  Rimani calmo:
  e su tal punto a me prima rispondi.

Agamènnone:

  Discreta chiedi, ed io risponderò.

Clitemnèstra:

  Io non divago, e tu non divagare.

Agamènnone:

  O Diva Parca, o mia Sorte, o mio Dèmone!

Clitemnèstra:

  E mio, della mia figlia, uno e medesimo
  per tre meschini!

Agamènnone:

  Chi ti fece torto?

Clitemnèstra:

  A me lo chiedi? Di prudenza priva
  è la prudenza che tu mostri.

Agamènnone:

  Tutto
  è finito. Svelato è il mio segreto.

Clitemnèstra:

  Inteso ho tutto, e so quel che t'accingi
  a far di noi. T'accusa il tuo silenzio,
  e il gemer lungo: motto non aggiungere.

Agamènnone:

  Ecco, taccio. Perché dovrà chi mente
  alla sciagura l'impudenza aggiungere?

Clitemnèstra:

  Ascolta dunque: con parole chiare,
  non per enigmi, io ti favellerò.
  E prima, poi che a te questa rampogna
  prima io rivolgerò - tu mi sposasti
  contro mia voglia, mi rapisti a forza,
  poi che uccidesti il mio primo consorte,
  Tantalo, e il figlio mio via dal mio seno
  strappato, a terra sfracellasti. E i due
  figli di Giove, i miei fratelli, corsero
  fulgidi sui cavalli bianchi, corsero
  a inseguirti, e mio padre, il vecchio Tíndaro,
  ti salvò, quando a lui giungesti supplice;
  e tu m'avesti ancora sposa. E allora,
  concilïata, nella casa tua
  con te rimasi immacolata - forza
  t'è confessarlo - e sempre casta, e prospera
  resi la casa tua, sí che dovevi
  entrandovi allegrarti, e allontanandoti,
  viver sicuro. Ed è ben raro acquisto
  simile donna, per un uomo: invece
  raro non è trovarne una malvagia.
  E tre fanciulle a te diedi e un fanciullo;
  ed una delle tre miseramente
  or mi rapisci. E se ti chiede alcuno
  perché l'uccidi, che risponderai?
  Debbo io per te rispondere? Perché
  Menelào riavere Elena possa!
  Saggio mercato, una magalda a prezzo
  dei figli comperar: quanto odïoso
  è piú, con quanto è piú diletto. O via,
  se tu in Argo mi lasci, e a campo muovi,
  e lungo tempo resti lí, qual cuore
  credi che il mio sarà, quando io contempli
  il seggio vuoto di mia figlia, e vuota
  la stanza verginale, e sempre in lagrime
  soletta sederò, sempre piangendola?
  - T'uccise il padre che ti generò,
  non altri, o figlia, e non con altra mano.
  Tal dono alla sua casa egli lasciò -.
  Ma basterà lieve pretesto, ed io
  tale accoglienza a te con le superstiti
  figliuole mie farò, quale tu meriti.
  Contro di te, pei Numi, non costringermi
  ad esser trista, e tu tristo non essere.
  Ahimè!
  Immolerai la figlia? E che preghiera
  dirai, mentre l'immoli? E che fortuna,
  mentre tua figlia sgozzi, invocherai?
  Un funesto ritorno, alla partenza
  che turpe fu, concorde? Ed io potrei
  qualche bene augurarti? Oh, dissennati
  crederemmo gli Dei, se reputassimo
  che gli assassini favorir potessero.
  Tornato in Argo, i figli abbraccerai?
  Non ti sarà concesso. E qual dei figli
  vorrà guardarti, se al tuo seno accolto
  un d'essi, l'uccidesti? Hai già da te
  pensato a tutto questo, oppur t'importa
  solo far pompa dello scettro, solo
  guidar le schiere? Un tale equo discorso
  far dovevi agli Argivi: «Alle contrade
  dei Frigi navigar volete, o Argivi?
  Si estragga a sorte, chi di noi la figlia
  immolar deve». La giustizia questa
  sarebbe stata, e non che tu prescelto
  fossi a immolar la tua figlia pei Dànai;
  oppur che Menelào, per la sua sposa,
  che fu causa del mal, sgozzasse Ermíone.
  Invece, io, che al tuo letto onta non feci,
  priva andrò della figlia, e l'infedele
  nella sua casa, a Sparta, serberà
  la figlia sua, sarà felice. Ove io
  in ciò ch'io dissi errato abbia, riprendimi.
  Ma se bene ho parlato, avviso muta,
  non uccider la figlia, e saggio móstrati.

CORO:

  Odila: ché salvare i figli è onesto:
  niun contraddire può questo, Agamènnone.

Ifigenía:

  Se d'Orfeo la fècondia, o padre, avessi,
  da convincer col canto, in guisa che
  mi seguisser le pietre, e i cuor potessi
  coi detti miei commuovere, a quest'arte
  m'appiglierei; ma quella ch'io conosco
  adesso offrire ti potrò: le lagrime.
  Alle ginocchia tue questo mio corpo
  che costei generò, depongo, quasi
  ramo d'ulivo supplice, perché
  tu non m'uccida innanzi tempo. è dolce
  veder la luce; e tu non mi costringere
  a veder quello che sotterra giace.
  Prima io te chiamai padre, e tu me figlia:
  alle ginocchta tue prima io le tenere
  membra appendevo, a te soavi gioie
  diedi, e n'ebbi ricambio. E tu dicevi:
  «O figlia, dunque, te vedrò felice
  vivere in casa d'uno sposo, florido,
  come conviene alla mia figlia?». Ed io,
  appesa al viso tuo, che adesso stringo,
  cosí dicevo: «Ed io che ti dirò?
  Vecchio t'accoglierò nel caro asilo
  della mia casa, o padre, e a te compenso
  delle cure darò che tu spendesti
  per allevarmi». - Ora, io memoria serbo
  di quei detti, ma tu ne sei dimentico,
  e uccidere mi vuoi. Deh, no! Per Pèlope
  io ti scongiuro, e per tuo padre Atrèo,
  per questa madre che mi partorí,
  ed or patisce queste nuove doglie.
  Dell'adulterio d'Alessandro e d'Elena
  che colpa ho io? Come esser può che Paride
  per la rovina mia giungesse, o padre?
  Guardami, l'occhio su me volgi, abbracciami,
  sí che di te, morendo, io serbi almeno
  tale ricordo, se pei detti miei
  convincer non ti vuoi. Fratello, tu
  sei pei tuoi cari un piccolo alleato;
  ma pur piangi con me, supplica il padre
  che tua sorella non uccida: senso
  hanno delle sciagure anche gl'infanti.
  Vedi, col suo tacer, padre, t'implora.
  La mia vita rispetta, abbi pietà:
  ti scongiuriamo, entrambi a te diletti,
  questo, pargolo ancora, ed io già grande.
  Ma solo un punto aggiungerò, che vinca
  ogni argomento. Agli uomini dolcissima
  è questa luce, e non l'eterna tènebra
  e folle è chi desidera la morte.

CORO:

  Meglio è vivere mal, che morir bene.
  Elena trista! A qual cimento sono
  per te, per gli amor tuoi, gli Atrídi e i figli!

Agamènnone:

  Intendo ben dove pietà s'addice,
  e dove mena; ed amo i figli miei:
  se no, stolto sarei. Per me terribile
  è questa prova, o donna; e pur terribile
  il non osarla. Che mai far dovrò?
  Vedete quanta oste navale, e quanti
  chiusi in arme di bronzo ellèni principi,
  che navigar verso la rocca d'Ilio,
  se non t'immolo, non potranno, o figlia -
  Calcante il vate l'affermò - di Troia
  non potranno espugnar le sedi illustri.
  Un cieco ardor le schiere ellène invase,
  di navigare senza indugio contro
  le barbariche terre, e porre un termine
  ai ratti delle greche spose. Ov'io
  della Diva ai responsi non ottemperi,
  uccideranno le mie figlie in Argo,
  e voi con me. Di Menelào non sono
  servo, o figliuola, e non per suo volere
  son qui venuto. Ma l'impose l'Ellade,
  a cui tu devi, o ch'io voglia, o non voglia,
  esser sacrificata. Ecco da chi
  son vinto, o figlia: ch'essa deve libera
  esser, per quanto spetta a me e a te,
  e non già che soggetti siano ai barbari
  gli Ellèni, e a forza saccheggiati i talami.

(Parte) Clitemnèstra:

  O figlia, ospiti amiche,
  deh, che morte è la tua, misera me!
  T'immola all'Ade il padre tuo, ti lascia!

Ifigenía:

  O madre, o madre, ahimè!
  conviene a entrambe un sol canto d'ambascia.
  S'abbuia la pupilla
  piú la luce del sol per me non brilla.
  Valli di Frigia bianche di neve, monti dell'Ida,
  dove una volta Priamo gittava, tenero pargolo
  dalla sua madre lontano, a un fato
  di morte, Pàride,
  che Idèo chiamato fu nella rocca dei Frigi, Idèo.
  Deh, mai cresciuto non fosse Pàride
  bifolco, presso le sue giovenche,
  vicino all'acque limpide, dove
  le fonti corrono, sacre alle Ninfe,
  e il prato è florido di fiori pallidi,
  e rose crescono, giacinti crescono
  per intrecciare serti alle Dive!
  Un giorno Pàllade qui giunse, e Cípride
  macchinatrice d'inganni, ed Era,
  e, messaggero di Giove, Ermète.
  E superbiva per le lusinghe
  d'amore, Cípride,
  per la sua cuspide Pàllade, ed Era
  perché partecipa
  di Giove il talamo.
  A un odïoso giudizio vennero
  ad una gara di lor bellezza,
  alla mia morte,
  che per i Dànai fu, per la gesta
  d'Ilïo detta propiziatrice.
  E quei che vita mi diede, o misera,
  o madre, o madre,
  or mi tradisce, e fugge.
  Ahimè misera, ahimè!
  Quanto fu amara, quanto fu amara
  la sorte d'Elena per me! Son morta,
  sono distrutta, per l'empia strage
  d'un empio padre.
  Deh, a questi ormeggi mai non avesse
  àulide accolte
  le poppe delle navi dai bronzei rostri, la flotta
  che ad Ilio addurre doveva gli Elleni!
  Gli avversi venti spinti nell'èuripo
  mai non avesse Giove, che mitiga
  varie pei vari nauti le brezze
  da rallegrare le vele, e doglie
  mescola ed obbliga
  questi che salpino, quelli che restino,
  quelli che indugino.
  è degli efimeri la stirpe molto molto infelice,
  e molto è dura per i mortali
  necessità.
  Ahimè, ahimè!
  Gravi cordogli, gravi dolori
  tu arrechi ai Dànai, figlia di Tíndaro.

CORO:

  Io ti compiango: una sciagura trista
  colpisce te, che punto non la meriti.

(Giunge Achille) Ifigenía:

  Madre mia, qui presso giungere veggo d'uomini uno stuolo.

Clitemnèstra:

  Questi è l'uom per cui venisti, della Dea questo è il figliuolo.

Ifigenía:

  Quella tenda, ancelle, aprite, ch'io mi asconda.

Clitemnèstra:

  Lungi vai?
  E perché, figlia?

Ifigenía:

  D'Achille mi vergogno.

Clitemnèstra:

  E perché mai?

Ifigenía:

  Delle nozze il mal successo vergognosa esser mi fa.

Clitemnèstra:

  In tal sorte sei, che poco ti conviene schifiltà.
  Resta: allor che i guai ci premono, non convien l'animo altero.

ACHILLE:

  O di Leda figlia, o donna sventurata...

Clitemnèstra:

  Dici il vero.

ACHILLE:

  Grida orrende fra gli Argivi corron.

Clitemnèstra:

  Quali? Non mel dici?

ACHILLE:

  Che tua figlia...

Clitemnèstra:

  Ahimè, di quanto devi dirmi tristi auspici...

ACHILLE:

  Convenìa sacrificare.

Clitemnèstra:

  E a contrasto niuno sorse?

ACHILLE:

  Corsi rischio io stesso...

Clitemnèstra:

  E quale?

ACHILLE:

  d'esser lapidato.

Clitemnèstra:

  Forse
  per difendere mia figlia?

ACHILLE:

  Giusto appunto.

Clitemnèstra:

  Ma toccarti
  chi l'avrebbe osato?

ACHILLE:

  Gli Ellèni tutti quanti.

Clitemnèstra:

  E le tue parti
  dei Mirmídoni lo stuolo non prendeva?

ACHILLE:

  Il piú accanito
  mio nemico, anzi, era quello.

Clitemnèstra:

  Figlia mia, tutto è finito.

ACHILLE:

  L'irretito dalle nozze, mi chiamavano.

Clitemnèstra:

  E che cosa
  rispondevi tu?

ACHILLE:

  Che uccidere non volesser la mia sposa.

Clitemnèstra:

  Ben dicevi.

ACHILLE:

  A me promessa da suo padre.

Clitemnèstra:

  Che l'ha fatta
  qui venir.

ACHILLE:

  Ma la mia voce fu dagli urli sopraffatta.

Clitemnèstra:

  Trista cosa è il volgo.

ACHILLE:

  Aiuto pur vo' darti.

Clitemnèstra:

  Aiuto darmi
  contro i molti, solo?

ACHILLE:

  Vedi che costor mi recan l'armi?

Clitemnèstra:

  Possa tu fortuna avere, cuore intrepido.

ACHILLE:

  L'avrò.

Clitemnèstra:

  Non morrà dunque mia figlia?

ACHILLE:

  Sin ch'io vivo, certo no.

Clitemnèstra:

  Chi oserà toccarla?

ACHILLE:

  Mille; ed Ulisse ebbe l'assunto
  di guidarli.

Clitemnèstra:

  Chi? Di Sísifo il figliuolo?

ACHILLE:

  Quello appunto.

Clitemnèstra:

  Di sua voglia? Oppur l'esercito lo prescelse?

ACHILLE:

  Le sue brame
  fûr concordi a quella scelta.

Clitemnèstra:

  Sparger sangue, ufficio infame!

ACHILLE:

  Io saprò frenarli.

Clitemnèstra:

  A forza trarrà dunque la fanciulla?

ACHILLE:

  Sí, ghermita per la bionda treccia.

Clitemnèstra:

  Ed io non potrò nulla?

ACHILLE:

  Alla figlia stretta avvínciti.

Clitemnèstra:

  Basta ch'io mi stringa a lei?
  Ella è salva.

ACHILLE:

  E sarà salva.

Ifigenía:

  Madre, udite i detti miei.
  Contro il padre a torto irata, madre mia, tu sei, perché
  affrontare l'impossibile cosa agevole non è.
  Ci conviene grazie al Tessalo render poi del suo coraggio,
  ma schivar che la sciagura, senza alcun nostro vantaggio,
  su lui piombi, e oggetto d'odio per l'esercito egli sia.
  Odi or quello che deciso ho, pensando, o madre mia.
  Fu decisa la mia morte: affrontarla in modo io penso
  ch'alta fama io ne riscuota, posto in bando ogni vil senso.
  Ed insiem con me considera, madre, tu, se dico bene:
  tutta quanta la grande Ellade su me l'occhio fisso tiene,
  in me sta che i legni salpino, sia la Frigia posta a sacco,
  ed i barbari in futuro non c'infliggano lo smacco
  di rapir donne da l'Ellade fortunata, quando avranno
  per la femmina che Paride seducea, pagato il danno.
  Otterrò ciò con la mia morte, celebre sarà
  il mio nome: ed avrò l'Ellade vendicata a libertà.
  E neppur conviene ch'io di soverchio ami la vita:
  ché, non sol per me, per l'Ellade tutta tu m'hai partorita.
  Mille e mille uomini pronti sono già, nell'armi chiusi,
  mille e mille i remi stringono, a vendetta dei soprusi,
  che patiron, sui nemici pronti a far prova del braccio,
  a morire per la patria; e sola io sarò d'impaccio?
  Con qual mai giusto discorso rintuzzar tali argomenti?
  Ora, ad altro: non è giusto che il Pelíde si cimenti
  a cagione d'una donna, con gli Achei tutti, e soccomba:
  piú di mille e mille donne val che un uom schivi la tomba.
  E se Artèmide il mio corpo come vittima chiedea,
  dovrò forse io, che mortale nacqui, oppormi ad una Dea?
  è impossibile. Per l'Ellade cader vittima acconsento.
  Io sia spenta, e Troia cada; mio perenne monumento
  sarà questo, questo gloria, questo figli, questo imène.
  Che gli Ellèni sian da barbari sopraffatti, non conviene:
  genti schiave sono quelle, sono libere l'Ellène.

CORO:

  Nobili sensi i tuoi, fanciulla, sono
  ma duri son per te la Dea, la Sorte.

ACHILLE:

  Beato me, figliuola d'Agamènnone,
  alcun dei Numi renderebbe, ove io
  sposa potessi averti. Io per te l'Ellade
  reputo fortunata, e te per l'Ellade:
  ché tu favelli in modo eletto, e degno
  della tua patria: ché a pugnar coi Numi
  tu rinunci, che son di te piú forti,
  ed al bene t'appigli, e a ciò che vuole
  necessità. Tanta maggior m'invade
  brama di sposa averti, ora che ho l'indole
  tua conosciuta: poiché tu sei nobile.
  Ed aiutarti io voglio ora, condurti
  alla mia casa; e sarà grande, e Tètide
  lo sappia, il cruccio mio, se farti salva
  contro i Dànai pugnando io non potrò.
  Bada, un male terribile è la morte.

Ifigenía:

  Pronta sarà la mia risposta. Assai
  suscita guerre d'uomini e sterrninî
  Elena, con la sua beltà. Signore,
  tu non devi per me morir né uccidere:
  e lascia ch'io, salvi, se posso, l'Ellade.

ACHILLE:

  Arditissimo cuore, io nulla posso,
  se questo dici e brami, a te rispondere.
  Negar non giova il vero: il tuo proposito
  è generoso: tuttavia potresti
  mutare avviso: ond'io mi reco all'ara,
  e lí presso starò, chiuso nell'armi,
  per impedire la tua morte. Forse
  profitterai di queste mie parole,
  quando vedrai presso alla gola il ferro.
  Non lascierò che pel tuo folle ardire
  morir tu debba. Presso andrò, con questi
  che recan l'arme, al tempio della Diva,
  e quivi attenderò sin che tu giunga.

(Parte) Ifigenía:

  Madre, perché muta rimani, e lagrimi?

Clitemnèstra:

  Giusta ragione ho di crucciarmi il cuore!

Ifigenía:

  Smetti, non avvilirmi: e ciò concedimi...

Clitemnèstra:

  Che mai? Nessun rifiuto avrai da me.

Ifigenía:

  Delle tue chiome ciocca non recidere,
  non avvolger le membra in negri pepli.

Clitemnèstra:

  O figlia mia, che dici tu? Ti perdo...

Ifigenía:

  No; son salva, e per me tu sarai celebre.

Clitemnèstra:

  Come? Non debbo la tua morte piangere?

Ifigenía:

  No; non sarà per me la tomba eretta.

Clitemnèstra:

  Che? La fossa non è retaggio ai morti?

Ifigenía:

  L'altare della Dea sarà mio túmulo.

Clitemnèstra:

  Tu dici bene; ed io t'obbedirò.

Ifigenía:

  Ch'io procuro, felice, il ben de l'èllade.

Clitemnèstra:

  Che dovrò dire alle sorelle tue?

Ifigenía:

  Neppure ad esse i negri pepli cingere.

Clitemnèstra:

  Quale ad esse dirò tuo caro motto?

Ifigenía:

  Che sian felici. E fa' d'Oreste un uomo.

Clitemnèstra:

  L'ultima volta or tu lo vedi. Bacialo.

Ifigenía:

  Caro! Pei tuoi quanto potevi hai fatto.

Clitemnèstra:

  Che posso in Argo far, che a te sia grato?

Ifigenía:

  Non esecrare il mio padre, il tuo sposo.

Clitemnèstra:

  Per te correr dovrà cimenti orribili.

Ifigenía:

  Contro sua voglia ei m'immolò, per l'Ellade.

Clitemnèstra:

  Con la sua frode; e indegno fu d'Atrèo.

Ifigenía:

  Chi mi conduce là, prima ch'io tratta
  sia per la chioma?

Clitemnèstra:

  Io là teco verrò.

Ifigenía:

  Non tu. Non dici bene.

Clitemnèstra:

  Alle tue vesti
  mi stringerò.

Ifigenía:

  No, dammi ascolto, o madre:
  rimani: ch'è per te meglio, e per me.
  Dei famigli del padre alcun m'adduca
  al prato, ov'io morir debbo, d'Artèmide.

Clitemnèstra:

  O figlia, parti?

Ifigenía:

  E piú non tornerò.

Clitemnèstra:

  Lasci la madre?

Ifigenía:

  E in modo indegno, il vedi.

Clitemnèstra:

  Sta, non lasciarmi.

Ifigenía:

  Ora non vo' che lagrime
  si versin piú. Fanciulle, e per Artèmide,
  per la figlia di Giove, ora un peana
  sul mio destin levate, per Artèmide,
  per la figlia di Giove. E muti restino
  i Dànai tutti; e alcun rechi il canestro,
  e bruci il fuoco pei libami sacri,
  e compia il padre dell'altare il giro,
  dalla destra movendo: a tutti gli Ellèni
  io la salvezza arreco, io la vittoria.
  Me conducete, d'Ilio e dei Frigi
  trionfatrice;
  d'acqua lustrale le scaturigini
  recate, e il serto che a questi riccioli
  cinger s'addice;
  danze s'intreccino d'intorno al tempio,
  d'intorno all'ara:
  perché placati siano gli oracoli,
  la strage, il sangue mio si prepara.
  Deh veneranda, deh veneranda
  madre, il mio pianto
  per te conviene ch'ora si spanda:
  ché poi, nel fausto
  rito sconviene. O vergini
  con me cantate Artèmide,
  che sede ha quivi, di fronte a Càlcide,
  dove la flotta di guerra, immobile
  per mia cagione convien che resti.
  Ahimè, mia madre terra pelasgica,
  ahimè, Micene che mi crescesti!

CORO:

  Invochi forse la città di Pèrseo,
  che per man dei Ciclopi estrutta fu?

Ifigenía:

  Tu mi crescesti per la gloria d'èllade
  ond'io non mi lamento, anche s'io muoio.

CORO:

  Ma la tua gloria non morrà piú mai.

Ifigenía:

  Luce che il giorno piove,
  e tu raggio di Giove,
  ad altra sorte io movo, ad altra vita.

(Esce) CORO:

  Addio, luce gradita!
  Ahimè, ahimè!
  Vedete la trionfatrice
  dei Frigi e d'Ilio.
  Sulla sua fronte giran ghirlande,
  l'acqua lustrale si spande.
  Ecco, all'altare move
  della Diva; e la nobil cervice
  con le stille del suo sangue bagnerà.
  Te attende la rugiada
  lustrale, e il padre, e degli Achei l'esercito
  desideroso che Troia cada.
  Cantiamo la figlia di Giove,
  signora fra i Superi, Artèmide.
  O Diva, o Diva,
  tu che d'umane vittime
  ti compiaci, l'achiva
  schiera alle frigie prode
  adduci, e a Troia, artefice di frode.
  Concedi che Agamènnone
  cinga alle greche cuspidi
  un serto di vittoria,
  e al proprio capo una perpetua gloria.

(Giunge un araldo) ARALDO:

  Dalla tenda esci, o Clitemnèstra, o figlia
  di Tíndaro, ed ascolta i detti miei.

Clitemnèstra:

  Udita ho la tua voce, e sono qui,
  misera me, sgomenta, esterrefatta,
  che tu non giunga ad annunciarmi qualche
  nuova sciagura.

ARALDO:

  Di tua figlia udrai
  meravigliosi eventi ed incredibili.

Clitemnèstra:

  Non indugiare, anzi a parlare affréttati.

ARALDO:

  Tutta la verità, regina mia,
  ben chiara tu saprai, se la memoria
  non mi deluderà, se ai detti miei
  inciampo non porrà. Come d'Artèmide
  giungemmo al tempio ed ai fiorenti prati,
  la tua figliuola conducendo, súbito
  s'adunò degli Achei la turba. E come
  Agamènnone vide a morte muovere,
  al bosco sacro, la sua figlia, gèmiti
  levò, la faccia indietro volse, lagrime
  versò, del manto fece agli occhi velo.
  Ed ella, stando presso al padre, disse:
  «O padre, eccomi a te: questo mio corpo
  io per la patria mia, per tutta l'Ellade,
  volonterosa dò, ché l'adduciate,
  della Dea presso all'ara, e l'immoliate,
  se pur questo è il destino. E la fortuna,
  per quanto è in me, v'arrida, e la vittoria
  dell'armi, ed il ritorno al patrio suolo.
  Ed ora, niuno degli Argivi appressi
  la mano a me. Volonterosa e muta
  la mia gola offrirò». Furono queste
  le sue parole; e udendole, stupirono
  tutti l'ardir, la forza della vergine.
  E in mezzo stando allor Taltibio, a cui
  tal compito incombea, silenzio impose
  alle turbe, e formâr prosperi auspíci.
  E Calcante indovino, un ferro acuto
  tratto dalla guaina, in mezzo all'aureo
  canestro lo depose, e della vergine
  il capo ghirlandò. Preso il canestro,
  il figlio di Pelèo, movendo attorno
  all'ara della Dea, di sacre stille
  l'asperse, ed invocò: «Figlia di Giove
  che stermini le fiere, e fra le tenebre
  la tua fulgida luce in giro volgi,
  questa vittima accogli onde olocausto
  ti fan le achive schiere ed Agamènnone,
  il sangue intatto di virginea gola;
  e concedi alle navi un corso prospero,
  e ch'espugnati i valli d'Ilio siano
  dall'armi nostre». Stavano gli Atrídi,
  stava tutto l'esercito, con gli occhi
  confitti al suolo. Ed impugnato il brando,
  preci innalzava il sacerdote, e il punto
  della gola cercava ov'ei colpisse.
  Da non lieve dolor l'animo mio
  era pervaso, e stavo a fronte bassa.
  Ed ecco, apparve un prodigio improvviso;
  ché del colpo il rumore ognuno udí,
  ma dove la fanciulla al suol cadesse,
  nessuno vide. Il sacerdote, un grido
  levò, gridò con lui tutto l'esercito,
  poi che un prodigio inaspettato vide
  d'un qualche Nume, tal, che, pur vedendolo,
  incredibil parea. Guizzante al suolo
  una cerva giacea, grande, bellissima,
  e del suo sangue tutto intorno asperso
  era l'altare della Diva. E allora
  lieto Calcante - immaginar lo puoi:
  «Principi - disse - che in comune queste
  schiere d'Achei guidate, or questa vittima
  mirate, che la Dea sull'ara pose,
  questa cerva montana. Essa gradí
  questa, piú che la vergine, perché
  sí nobil sangue non macchiasse l'ara.
  Di buon grado l'accolse, e a voi concede
  prosperi eventi, e navigar contro Ilio.
  Or si rinfranchi ogni nocchiere, e corra
  alla sua nave: ché oggi stesso, d'Àulide
  abbandonar conviene i cavi anfratti,
  attraversare l'estuante Egèo».
  E poscia ch'arsa fu tutta la vittima,
  su la vampa d'Efèsto, esso invocò
  fausto ritorno per le schiere. Adesso,
  Agamènnone a te m'invia, perché
  da me tu sappia qual sorte dai Numi
  ebbe la figlia tua, quale ne l'Ellade
  sorte immortale; ed io, che fui presente,
  e tutto vidi, a te lo narro. Certo,
  volò tra i Numi la fanciulla. Scaccia
  la doglia, e il tuo rancor contro lo sposo.
  Inopinati mandano sugli uomini
  gli eventi i Numi, e quei salvano ch'amano:
  oggi la figlia tua fu spenta e visse.

CORO:

  Di tal messaggio quanto godo! Ei dice
  che fra i Celesti la tua figlia vive.

Clitemnèstra:

  T'ha dunque un Nume rapita, o figlia?
  Che debbo credere di te? Che quanto
  costui m'ha detto, non è che favola
  vana, a placare questo mio schianto?

CORO:

  Ecco Agamènnone giunge a noi presso
  potrà narrarti tutto egli stesso.

Agamènnone:

  Donna, felici quanto alla fanciulla
  ci possiamo chiamar, ché veramente
  ella è dei Numi in compagnia. Tu devi
  questo tenero agnello or teco prendere,
  e alla patria tornar: poiché l'esercito
  si dispone a partir. Pria che da Troia
  io torni, e teco parli ancor, dovrà
  lungo tempo passar. T'arrida il bene.

CORO:

  Alla terra dei Frigi, Agamènnone,
  muovi lieto, e al ritorno la gioia
  t'arrida, le spoglie bellissime
  recando da Troia.