Cabiri

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Erano considerati i protettori dei marinai che li invocavano chiamandoli Megaloi theoi, mentre i romani li chiamavano Dii magni potentes valentes, sull'isola di Lemno, erano chiamati Haphaistoi. Spesso raffigurati nella pittura vascolare sotto la forma caricaturale di nani obesi e talora itifaliici, con caratteri negroidi che danno loro un aspetto somigliante a quello di certe immagini del dio Bes. Facevano parte del corteo della dea Rea, di cui fungevano da servitori, e perciò sono a volte confusi con i Cureti ed i Coribanti. Il culto dei Cabiri appartiene originariamente alla Frigia, ma poi si espande anche in Samotracia. Come i Dattili sembrano essere legati alla metallurgia. Il loro nome significa "brucianti" e la loro origine ignea viene confermata dalla attribuzione della loro paternità ad Efesto, tramandata da Erodoto, Eschilo e Nonnos di Panopoli. Per lo pseudo-Orfeo invece essi sarebbero figli di Zeus. A seconda delle fonti il loro numero, ed i nomi, variano. Acusilao parla di tre Cabiri maschi e tre femmine; Nonnos di Panopoli di due (Alcon ed Eurimedon); Mnaséas di Potara di quattro (Axieros, Axiokersa, Axiokersos e Cadmilos); altri autori ancora di sette. Per di più a volte li si identifica anche con delle divinità maggiori (Demetra, Persefone, Ade, Ermes, e così via). Queste incertezze, e la mancanza di miti specifici devono essere attribuite al fatto che i Cabiri svolgevano un ruolo importante nella religione dei Misteri, e che quindi tutto quanto li riguardava era doverosamente coperto dal silenzio.