Biblioteca:Virgilio, Etna

L'Etna e le fiamme che scaturiscono dalle sue profonde fornaci e le forze così violente da sprigionare eruzioni, perché respinga la costrizione e agiti il fragore del magma, sarà l'argomento. Vieni a me propizio, o inventore della poesia, sia che ti trattenga Cinto, sia che più di Delo ti sia gradito Ila, o per te sia preferibile Dodona, e con te scendano in fretta dal fonte pierio le Muse sorelle a favorire il nuovo progetto: con l'ispirazione di Febo si va più sicuri per cammini inconsueti. Chi non conosce l'età d'oro del sereno Saturno, quando nessuno spargeva nei campi dissodati il seme di Cerere e dalle messi pronte a nascere teneva lontano l'erbaccia, ma il raccolto annuale saturava i granai e spontaneamente Dioniso faceva sgorgare dal suo piede il vino, e il miele pian piano stillava dalle foglie e l'olio di Pallade dal pingue olivo, quando fiumi solitari scorrevano nella bella campagna?

Non è toccato ad alcuno di conoscere meglio i suoi tempi. Chi ha taciuto le lotte lontane di giovani in Colchide? Chi non ha pianto per Pergamo a cui i Greci appiccarono il fuoco e per la madre Niobe a causa della morte crudele dei figli o per l'oscuramento del sole e il dente gettato come semente? Chi non si addolorò per la nave falsa e spergiura, piangendo la figlia di Minosse, abbandonata su di una spiaggia deserta, e per qualsiasi antico poema divenuto popolare racconto? Con maggior coraggio ci accingiamo a un impegno sconosciuto: a quali moti sia sottoposta una massa così grande, quale causa trasformi le fiamme perenni in solidi massi, dal profondo erutti massi con enormi boati e bruci tutte le zone vicine con effusioni di fuoco, è il proposito del mio canto.

Per prima cosa la fantasia dei poeti non induca nessuno a credere che sia la sede d'una divinità e che da fauci rigonfie fuoriesca il fuoco di Vulcano e che nelle inaccessibili caverne rimbombi il rumore di solerte fatica. Gli dei non svolgono un compito tanto vile né è giusto degradare alle più umili occupazioni i celesti: essi regnano sublimi nel cielo a noi invisibile e non si curano di svolgere il mestiere di un artigiano.

Differisce dalla prima quest'altra invenzione poetica: raccontano che i Ciclopi si siano serviti di quelle fornaci quando con colpi cadenzati e violenti di pesanti martelli forgiavano sull'incudine l'orrido fulmine e fornivano le armi a Giove: tradizione spregevole e senza consistenza. Un'empia leggenda molto simile narra di continue fiamme sulla cima dell'Etna, causate dalle lotte di Flegra. I giganti tentarono, che infamia!, una volta di scacciare dal cielo i celesti, di imprigionare Giove e di privarlo del potere, e di imporre le loro leggi al cielo dopo averlo sconfitto. Hanno conformazione naturale fino al ventre: uno squamoso serpente con le spire attorcigliate dà forma sinuosa alle estremità. Con monti elevati costruiscono un terrapieno per la battaglia, l'Ossa sovrapposta al Pelio, l'eccelso Olimpo sovrapposto all'Ossa.

Già si sforzano di arrampicarsi sui massi ammucchiati e l'empio soldato sfida da vicino gli astri impauriti; pronto all'azione sfida a battaglia tutti gli dei dopo aver avvicinato le insegne alle stelle tremanti. E Giove dal cielo tremò; la destra armata della folgore fiammeggiante. rimuove dalla vista il cielo provocando una nebbia densa. Dapprima i giganti si scagliano con assordante clamore. Di qui tuona a gran voce il padre Giove e venti favorevoli ne raddoppiano il rimbombo da ogni parte insieme a folate discordi; numerosi fulmini attraversano le attonite nubi e ciascun dio mette a disposizione per la guerra la forza che gli è propria; già Pallade era alla destra del padre e Marte a sinistra, già la schiera delle altre divinità si pone da una parte e dall'altra; allora Giove fa rimbombare le sue violente saette e vince demolendo coi fulmini i monti: debellate dalla rovina, di lì si volsero in fuga le schiere ostili ai celesti e l'empio nemico viene spinto a precipizio con l'accampamento, mentre la madre Terra incita i figli abbattuti e vinti. Allora è restituita la pace al mondo, allora libero riposa; torna stellato il cielo, è allora restituito agli astri lo splendore del mondo difeso.

Nel mare vorticoso della Trinacria Giove coprì con l'Etna Encelado morente che, sotto il grande peso del monte, si agita e impetuosamente spira dalle fauci fuoco. Questa è libera divulgazione di una fama mendace. I poeti hanno immaginazione, da essa risuona la fama del carme, la maggior parte delle rappresentazioni sceniche è finzione; i poeti hanno immaginato nei loro componimenti di vedere sotterra tetre ombre e tra i morti i pallidi regni di Dite. Questi mentendo hanno cantato le barche stigie e le onde, e che l'orribile Tizio per nove iugeri era sdraiato; quelli hanno cantato, o Tantalo, che ti tormentano i frutti d'intorno e ti tormenta la sete; cantano i tuoi giudizi tra le ombre, Minosse, e i tuoi, Eaco, e ugualmente giran la ruota d'Issione e qualunque altra cosa atterrisca «i petti consapevoli di frode immaginano che esista nei segreti abissi della terra». Né tu, o terra, sei sufficiente: osservano la potenza dei numi e non temono di spingere lo sguardo verso l'estraneo cielo. Conoscono le lotte degli dei, conoscono gli amori a noi celati e quante volte Giove sotto falsa sembianza di toro faccia torto ad Europa, e nelle sembianze di candido cigno a Leda, come sia sceso per Danae sotto forma di una pioggia di oro. Questa è una libertà accordata alla poesia, ma ogni mia cura è rivolta al vero: canterò per quali moti si crei la vampa dell'Etna e come la sua voracità alimenti fuochi novelli. Dovunque si stende l'immenso orbe terrestre ed è cinto dall'onda fluttuante dell'ultimo mare, il suolo non è tutto compatto: infatti la terra è squarciata all'interno da frequenti voragini e, scavata in profondità da caverne, resta sospesa, attraversata da sottili cunicoli: come un essere animato è percorsa da vene che per tutto il corpo si diramano e per le quali affluisce tutto il sangue che serve alla vita, con gli stessi orifizi la terra assorbe e diffonde l'aria. Certamente sia che un tempo, con la scissione della massa del mondo in mare, terra e cielo, fu creato il cielo per primo, lo seguì il mare e per ultima fu situata ,la terra, ma solcata da cavità tortuose e, come si produce un cumulo gettando sassi di diverse dimensioni all'improvviso così che per i numerosi spazi interni e per le vuote caverne è sospeso su se stesso, così la terra, strutturata in simile modo, attraversata da stretti cunicoli, non si aggrega riempiendosi tutta; sia che abbia determinato una tale struttura il passare del tempo e la forma non è originale; sia che l'aria girando libera dentro si sia fatta strada cercando di uscire; sia che l'acqua divori la terra con eterna erosione e furtiva rammollisca gli ostacoli; o che i vapori racchiusi abbiano vinto il suolo compatto e che il fuoco si sia cercato una strada; sia che tutte le cause abbiano operato in luoghi prescelti: non bisogna fornire la causa, finché esiste della causa l'effetto. Infatti chi non crede che ci siano nel fondo vuote caverne nel veder scaturire così grandi sorgenti e tante volte immergersi in una stessa voragine? Necessariamente essa non genera sorgenti da un qualsiasi esiguo canale; idonei bacini raccolgono i rigagnoli che scorrono ovunque perché, dal pieno, il fiume tragga l'acqua di fonte. Anzi fiumi che scorrono in alvei spaziosi scompaiono o una voragine li attrae nel suo precipizio e fatalmente li ingoia, o fluiscono nascosti, protetti da sotterranee caverne, e affiorano lontano riprendendo inaspettatamente il corso. Che se la terra non fosse solcata da canali rivolti qua e là, che accolgono nel loro letto i fiumi, certo non ci sarebbe alcuna via d'uscita per le fonti e nessun passaggio per i fiumi, e la terra, condensata in un blocco, pigra riposerebbe sotto il lento suo peso. Ma se dei fiumi spariscono nei precipizi della terra, se ricompaiono dopo essere spariti, se ne affiorano alcuni nuovi, nulla di strano che anche per i venti rinchiusi dentro la terra siano aperti spiragli nascosti. Grazie a sicuri elementi la terra ti fornirà prove ordinate che rimarranno impresse negli occhi. Di solito è possibile vedere immense voragini e iugeri di terreno inghiottiti nell'abisso e nascosti dall'oscurità della notte: lontano c'è il caos e la rovina senza fine. Anche nelle selve vedi che anfratti all'interno spaziosi e caverne costituiscono rifugi sommersi scavati in profondo: la via è ignota: l'aria soltanto esce fuori. Più in là fatti reali forniranno la prova di un abisso non conosciuto. Tu ora lasciati guidare dalla ragione per comprender le cause impercettibili e per astrarre dai fatti manifesti l'occulta verità.

Infatti quanto più è libero e più impetuoso è il fuoco nei luoghi sempre chiusi, più forte è la violenza del vento, di necessità perciò nelle profondità sono sconvolti più elementi, maggiormente sono sciolti i vincoli e abbattuti gli ostacoli. La forza del vento o del fuoco non solo esce fuori contenuta in forti canali; erompe dove cedono i punti più vicini e obliquamente abbatte le barriere dove appaiono men resistenti. Di qui il terremoto, di qui i sussulti, quando un vento denso scuote i corridoi spaccandoli e travolge i punti che cedono. Che se la terra fosse compatta, se costituita tutta di una massa omogenea, non darebbe di sé alcuno spettacolo meraviglioso e pigramente rimarrebbe immobile sul suo peso ammassata. Ma se per caso tu pensi che per cause in superficie si determini un effetto cos) considerevole e che forze in superficie facciano da alimento dove hai sotto gli occhi vaste aperture e ampie cavità, sbagli e il fenomeno per te non è di assoluta chiarezza. Certo, quando nel vuoto mancano gli elementi che trattengono i venti e che li spronano quando indugiano, essi cessano, e la vasta profondità li lascia vagare e li frena proprio all'uscita. Infatti ogni impulso tende verso qualsiasi vuota apertura, ma le forze una volta create si svigoriscono all'entrata e, se l'accesso è aperto, languiscono e perdono l'impetuosità. Sono necessari angusti passaggi perché creino uno scompiglio: li infuriano e addensandosi fanno pressione, e ora Noto subisce la rovinosa pressione di Euro e di Borea, ora son questi a subirlo. Di qui la furia del vento, di qui tremano il suolo squassato nelle fondamenta dal moto violento e le città pronte a cadere. Quindi, e non c'è altro presagio più veritiero, se è lecito pensarlo, il mondo riavrà la sua forma di un tempo. Per prima cosa questo è l'aspetto naturale della terra: dove vien meno la consistenza interna del suolo, nascono canali dappertutto. L'Etna costituisce una prova evidente di sé e vicina al reale. Li non investigherai le cause occulte sotto la mia guida; sono esse che ti balzeranno agli occhi e ti indurranno ad ammetterle. Quel vulcano presenta moltissimi fenomeni meravigliosi: qui fanno paura le vaste aperture che nell'abisso sprofondano, li stende la sua mole e ribolle dentro in profondità, li si oppongono rocce spaccate e una gran confusione, altre danno connessione alla massa e s'agglomerano al centro, in parte refrattarie al fuoco, in parte costrette a subire le fiamme, perché l'aspetto dell'Etna, cavo all'interno, si presenti più maestoso. Cosi si presenta la dimora, degna di essere visitata, di un'opera divina, questa è la sede e il luogo di cosi imponenti fenomeni.

Ora è necessario cercare l'artefice e la causa dell'incendio; la si può riconoscere da indizi non piccoli né di poca evidenza, in breve tempo mille prove ti si presenteranno agli occhi. I fenomeni attrarranno lo sguardo, ti costringeranno a credere; anzi te lo mostrerebbero in maniera tangibile, se fosse lecito toccare senza pericolo; lo vietano le fiamme e il fuoco ha la custodia dell'opera; ne ostacolano l'accesso e la divina pietà [perché l'aspetto dell'Etna, cavo all'interno, sia più maestoso] non vuole spettatori: queste stesse cose le vedrai tutte da lungi. Non c'è dubbio sulla causa che sconvolge dal profondo l'Etna, o quale mirabile artefice governi una cosi grande opera d'arte. Vengono espulse nuvole dense di sabbia infuocata, massi incandescenti vengono lanciati, le fondamenta sono sconvolte dal fondo, un boato erompe ora da tutta l'Etna, ora pallide fiamme accompagnano la caduta di materiale nerastro. Lo stesso Giove guarda ammirato da lontano fiamme cosi alte temendo nuovi giganti levati a rinnovare le battaglie cessate, che Dite si vergogni del proprio regno e volga il Tartaro verso il cielo, tanto fortemente rumoreggia all'interno della terra e all'esterno una massa di sassi e fragile sabbia tutto ricoprono. Questo materiale né viene espulso spontaneamente, né cade quando è lanciato dalle forze di un corpo vigoroso: i venti tutti crean scompiglio e con un vortice impetuoso roteano e rigirano dal profondo il materiale addensato. Per questo si propagano veloci gli incendi previsti del monte. Se i venti infuriano, hanno il nome di soffio; calmi di aria. Infatti la violenza della fiamma è di per sé quasi nulla: essa è veloce per natura ed ha un movimento perenne, ma ha bisogno di aiuto per spingere i corpi; essa non ha capacità di spinta: dove il vento comanda, dà ascolto; questo è il capo e il fuoco milita sotto questo gran condottiero. Ora, poiché chiara è la natura del fenomeno e del suolo, proseguirò spiegando donde nascano i venti stessi, quale materia alimenti gli incendi, perché le forze tosto si arrestino, qual è la causa del silenzio: è un'enorme fatica, eppure è feconda, legni premi costituiranno la ricompensa di impegni così laboriosi. E' necessario guardare le meraviglie della natura non con gli occhi soltanto, come le bestie, né alimentare il corpo pesante sdraiati per terra, ma conoscere la verità, investigare le cause dubbie, eternare il proprio ingegno e sollevare il capo al cielo, sapere quanti e quali siano gli elementi che hanno fatto nascere il vasto mondo (temono la morte? Continuano nei secoli e la macchina è fermamente legata da vincoli eterni?). Sapere il movimento del sole e di quanto sia più breve l'orbita della luna, cosi che essa, con più breve corsa, percorre in un anno dodici orbite, mentre quello in un anno la compie; quali stelle corrano seguendo un'orbita e quali compiano moti irregolari; sapere le vicende anche delle costellazioni, le leggi assegnate (sei sono rapite dalla notte, altrettante riportate dalla luce); perché si preannuncino nuvole in cielo e pioggia in terra quando il fuoco di Febe è rosso e quello del Sole fratello è pallido; perché cambino le stagioni dell'anno; perché primavera, la prima giovinezza, muoia con l'estate, perché invecchi l'estate stessa e l'inverno succeda insensibilmente all'autunno e ritorni nel giro; conoscere il carro dell'arsa e conoscere la funesta cometa, donde brilli Lucifero, dove Espero, donde Boote, quale sia la stella di Saturno che ritarda gli affari, quale quella di Marte guerriero, sotto quale costellazione i naviganti ammainino le vele, sotto quale le spieghino, conoscere le vie del mare, prevedere i moti del cielo, dove voli Orione, dove si trovi la stella premonitrice di Sirio, e non lasciare che tutte le meraviglie di un cosi vasto universo vengano ammucchiate e nascoste dalla massa dei fenomeni, ma disporle singolarmente in un posto determinato secondo le caratteristiche, è piacere divino e accetto all'animo. Ma questo è l'interesse primario dell'uomo: conoscere la terra e osservare le meraviglie che la natura in essa produce: questa è più affine a noi degli astri del cielo. Quale speranza infatti c'è per un mortale, quale pazzia più grande, che vagare nel regno di Giove per cercare gli dei, tralasciare e perdere per pigrizia un'opera tanto imponente sotto gli occhi? Miseri ci affliggiamo in cose da poco e siamo provati dalla fatica, scrutiamo le fenditure e sconvolgiamo ogni profondità, si cerca un filone d'argento, ora una vena aurifera, la terra viene torturata con la fiamma e domata col ferro, finché essa non si riscatti col denaro e, confessata la verità, allora infine giace spregiata e abbandonata nella miseria. Nyx e giorno i contadini si affrettano nei campi, incalliscono le mani in campagna, si esamina lo sfruttamento del terreno: questo è fertile e più fecondo per biade, l'altro per viti, questo suolo è il più adeguato alle piante, questa terra alle erbe, questa è dura ed è migliore per il bestiame e sicura per foreste, gli ulivi occupano luoghi più aridi, gli olmi gradiscono terra più umida. L'anima e il corpo son tormentati per futili cause: che i granai siano saturi, le botti ribollan di mosto e nei campi falciati ricolmi si innalzino i fienili.

Cosi sempre per gli avidi ogni cosa è più cara di loro stessi. Ciascuno deve arricchirsi di nobili arti: esse sono le messi dell'animo, questa è la ricompensa più grande di tutto: conoscere quel che la natura racchiude all'interno del suolo, non farsi ingannare da alcun fenomeno, non rimanere ammutolito guardando i fremiti sacri e la furente veemenza del monte Etna, non impallidire per il clamore improvviso, non credere che le minacce degli dei siano scese giù o il Tartaro sia scoppiato, conoscere cosa sprigioni i venti, cosa alimenti le fiamme, donde nasca all'improvviso la quiete e la pace, senza un accordo ............................................................................. sia che la violenza del vento nasca dal profondo, sia che per caso venga inghiottito dalle caverne e dalle aperture, sia che la terra non densa coi suoi piccolissimi fori raccolga in sé gli esili soffi (con più efficacia lo fa, anche perché, innalzandosi in rigida cima, esposto di qua e di là alla furia dei venti, da ogni parte è costretto ad accogliere i soffi provenienti da varie direzioni e l'unione aumenta la forza dei venti tra loro legati), sia che li spingano dentro le nubi e Austro apportatore di nubi; se per caso hanno piegato il capo e si muovono lungo il fianco, la pioggia scende a precipizio e rumorosa comprime e muove gli immobili soffi, spinge e addensa gli elementi. Infatti, come l'aria risuona a lungo per il canoro Tritone (una massa d'acqua mette in movimento il meccanismo e l'aria vinta si muove e il corno emette muggendo suoni prolungati) e nei grandi teatri l'organo idraulico col mormorio dell'acqua emette note di tono diverso per la capacità di colui che lo suona, che remiga nell'acqua spingendo l'aria leggera, non diversamente l'aria spinta dai torrenti lotta furiosamente nei luoghi stretti e l'Etna rumoreggia violento: bisogna credere che i venti hanno una qualche causa tale che i corpi stipati facciano pressione tra di loro, spinti nel vuoto fuggano la calca e vorticosamente trascinino con loro nel movimento i corpi vicini finché si fermano in un posto sicuro. Che se per caso tra me e te c'è un qualche disaccordo, potresti supporre che altri fattori facciano sorgere i venti: non c'è dubbio che alcune rocce e caverne sotterranee simili a queste che in superficie vediamo crollino con enorme fragore e che l'aria circostante fugga via spinta dal crollo, e che di qui traggano origine i venti; oppure che si spandano nebbie ricche di umido, come avviene solitamente nelle pianure e nelle campagne bagnate da un fiume. L'aria nebulosa, che nasce dalle valli, offusca la vista, piccoli corsi d'acqua producono movimenti d'aria, quasi della stessa forza del vento, dalle fonti lontano si leva una brezza e l'umido colpisce. E se la potenza del vapor acqueo è così grande all'aperto necessariamente maggiore è la sua efficacia se chiuso sotterra. Pertanto per questi motivi all'esterno e all'interno l'aria addensata agita i venti; lottano nelle gole; il tragitto li soffoca strettamente mentre lottano. Come l'onda quando, sollevata ripetutamente dal profondo del mare, assorbe i violenti soffi di Euro, si raddoppiano i flutti e l'ultimo sospinge i primi, non diversamente il vento pressato nella lotta riceve una spinta e avanzando e trascinando con sé le masse fa sentire le forze ardenti attraverso i solidi corpi e, dovunque si presenti una via, si lancia e supera ostacoli, finché sprizza fuori dal bacino di raccolta, come se uscisse da sifoni, e furiosamente vomita fuoco da tutto l'Etna. Se pensi che i venti scendano dalle gole elevate e che, quando vengono spinti, ritornino attraverso di essi, il luogo stesso darà agli occhi elementi da considerare e ti costringerà a cambiare opinione. Sebbene l'aria brilli limpida nell'azzurro del cielo e l'astro d'oro sorga rosseggiante nel suo splendore purpureo, il una nube con la sua tenebra oscura sempre domina dall'alto il vulcano e i suoi ampi recessi; resta ferma, pigra tutt'intorno da ogni parte con la sua ampia figura. L'Etna non la disturba e con un'ondata di calore non la elimina: ubbidisce dovunque ordina di andare un soffio leggero e ritorna. Vedi persone che placano i numi del cielo con l'incenso in alto, sulla cima o in quella parte dell'Etna dove liberissimo si apre lo sguardo verso l'origine di così grandi fenomeni, se niente stimoli le fiamme e immobile rimanga l'abisso. Dunque di qui vedi come quel vento impetuoso che fa rotolare rocce e terra, che come fulmini lancia le fiamme, quando ha dominato le sue forze e ha volto rapido le briglie, mai riesca a divellere proprio quei corpi che tendono a cadere sotto il loro peso e ad ingoiarli efficacemente? Posso sbagliarmi, ma manca la visione del fenomeno e la violenza cosi grande dei crolli sfugge agli sguardi attenti, né una brezza leggera ferisce e muove gli astanti. Quando una mano bagnata di acqua lustrale agita al vento le sacre fiaccole, l'aria tuttavia sferza i nostri corpi e particelle sospinte ci colpiscono: cosi una piccola causa contrasta la forza .........................................................................

L'aria non assorbe cenere e stoppie leggere, non aride erbe, non agita le pule sottili quando è calma completamente. Il fumo si leva in alto dalle are adorate: vi è presente una quiete completa e una pace che non conosce rapina. Pertanto sia che venti potenti si uniscano per cause esteriori sia per cause congenite, la loro violenza scaraventa in alto fiamme e parti di montagna insieme a scura sabbia; massi enormi che ruzzolano di qua e di là fragorosamente fanno scaturire contemporaneamente fiamme ardenti e fulmini, non diversamente da quando le selve si piegano sotto le folate dell'Austro o mormorano ai soffi dell'Aquilone, hanno le braccia annodate e strisciano le fiamme tra i rami intrecciati. Non farti trarre in inganno dalle bugie dello stupido volgo che l'attività del vulcano cessi esaurita, che passi del tempo perché acquisti nuovamente le forze e, sconfitta, ritorni alla lotta; togliti dalla mente questa empietà e scaccia questa falsa diceria. Le opere divine non sono soggette a cosi squallida miseria né mendicano piccoli aiuti né sollecitano i venti. Una moltitudine di venti è sempre pronta all'azione: ignota è la causa che ne interrompe il cammino e li costringe a fermarsi. Spesso materiale ammucchiato da grandi crolli comprime le imboccature e ostruisce il passaggio alla lotta profonda e, come per il crollo di un tetto, fa pressione con il suo peso o li trattiene con la sua caduta: allora il vulcano è freddo ed inattivo, ed è possibile scendere lungo le gole. Poi, quando indugiando s'acquetano, incalzano più velocemente, rimuovono le masse che li ostacolano e rompono i vincoli, travolgono qualunque cosa attraversi loro la strada, l'urto genera un impeto più violento, la fiamma alimentata dal materiale predato risplende e si riversa velocemente nei campi spaziosi. Cosi i venti rinnovano lo spettacolo a lungo interrotto. Ora rimangono da esporre tutti quei materiali che creano incendi. (Bisogna dire) quali alimenti attraggano le fiamme, cosa nutra l'Etna. (Non tutto può nutrire le forze di un cosi grande) incendio. Nelle profondissime barriere c'è materiale interno e un tipo di terra utile al fuoco se ad esso accostata. Ora brucia ininterrottamente lo zolfo ardente nel liquido stato, ora un liquido denso viene fornito dall'albume frequente, c'è il grasso bitume: qualsiasi cosa provochi a contatto col fuoco fiamme violente, costituisce la massa dell'Etna. E, a testimonianza che questa materia scorre in profondità, vengono eruttate acque infette sin dalla stessa sorgente. È visibile agli occhi una parte che è solida e dura sotto forma di pietra: infuriano gli incendi se è sotto forma di liquido denso. Anzi liquefanno variamente sassi senza nome per tutto il monte. Ad essi è affidata la custodia delle fiamme reale e costante, ma la causa più efficace di quell'incendio è la pietra molare: essa rivendica la formazione dell'Etna.

Se ti trovassi a prenderla in mano e a vagliarne la durezza non penseresti che possa prender fuoco nè propagarlo, ma non appena la esamini col ferro, risponde ed emette scintille per il dolore del colpo. Gettala in giro sopra molte fiamme, lascia che esse le strappino la forza, elimina la sua durezza: fonderà più velocemente del ferro, poiché ha una natura volubile e timorosa del male, quando viene costretta col fuoco; appena ha assorbito le fiamme, non c'è dimora più sicura per esse, mantiene la forma e resiste fortificata da una fede ostinata: tanto grande è la resistenza di quella pietra una volta che è vinta. Quasi mai cede le sue forze e vomita il fuoco, poiché tutta la superficie esterna è robusta e solida, nutre il fuoco che ha ricevuto lentamente attraverso i suoi stretti pori e con esitazione e riluttanza restituisce lo stesso fuoco assorbito. Né tuttavia, per il solo fatto che costituisce la maggior parte del vulcano, è superiore alle altre ed è essa a causare gli incendi: sicuramente bisogna ammirare la sua vitalità e la sua energia: qualunque altra materia sia adatta ad alimentare il fuoco, una volta che è stata presa dalle fiamme, muore e di essa non resta alcun segno, rimane solo cenere e terra senza germe di vita; questa pietra resistendo più e più volte, riprende forza assorbendo mille fiamme e non smette prima che, sciolta la sua durezza, muoia sotto forma di lieve pomice e giaccia ridotta in cenere e friabile sabbia. Guarda come nei luoghi d'Italia abbiano preso fuoco caverne simili: Il nasce in abbondanza la materia infiammabile, ma poiché questo tipo di pietra (riconoscibile con sicurezza dal colore) non ha dato il contributo delle sue capacità, il fuoco si è estinto. Ci sono indizi da cui apprendiamo che Ischia arse una volta, ora giace spenta, e tra Napoli e Cuma c'è un luogo ormai freddo da molti anni sebbene lo zolfo continuamente scaturisca dal fertile suolo (è raccolto per commerciarlo, tanto è più abbondante di quello dell'Etna). L'isola di Stromboli chiamata Rotonda per il suo aspetto, è una terra ricca non solo di zolfo e di bitume, è favorita anche da pietra capace di sprigionare le fiamme, ma raramente emette fumo, anzi a stento arde se viene accesa, poiché la scorta di combustibile si esaurisce e alimenta fiamme per poco. Essa rimane solo nell'isola Sacra, dal nome di Vulcano, tuttavia la maggior parte dell'incendio s'è spento, e accoglie le navi sbattute qua e là dal mare e offre loro il riparo nel porto; la terra restante, meno estesa, è ricca abbastanza di combustibile, ma non in grado di paragonare le proprie forze a quelle dell'Etna. Tuttavia anche questa parte sarebbe ormai estinta da tempo, se il vicino vulcano della Sicilia non ammucchiasse di nascosto il suo materiale e la selva, oppure, attraverso un canale nascosto, non spingesse di qua e di là i venti ad alimentare le fiamme. Ma il fenomeno stesso, osservato nelle note particolarità reali, si presenta più chiaramente e non tenta di ingannare l'osservatore. Infatti lungo i fianchi e ai piedi dell'Etna le pietre incandescenti perdono calore e i sassi disseminati di qua e di là muoiono, così che tu puoi chiaramente vedere che grazie ai pori la pietra molare costituisce l'alimento e la causa del fuoco e, se essa manca, il fuoco privo di nutrimento si spegne.

Essa, quando ha raccolto le fiamme, le scaglia e, colpendo la materia, l'accende e la costringe a fondere con sé. La situazione all'interno non è quella che vediamo di fuori, se il vulcano è inattivo: la pietra il brucia maggiormente e stimola maggiormente gli incendi vicini e dà in anticipo prove sicure dell'imminente eruzione. Appena mette in movimento le sue forze e minaccia scompiglio, la terra si divide e subito presenta dappertutto paccature e il sordo boato sotterraneo annuncia eruzione. Allora sarà conveniente fuggire spaventato e lasciare campo ai fenomeni sacri: potrai osservare ogni cosa stando al sicuro su un colle. All'improvviso si rovescia bollendo una gran quantità di lava, massi infuocati avanzano in fretta e frantumati nel crollo travolgono e fanno turbinare una gran quantità di sabbia nerastra. Di Il si vedono forme confuse e indefinite figure di uomini: una parte delle pietre è domata, una parte combatte con forza efficace e non riceve le fiamme, questa senza difesa ansima e si apre al nemico, quella si scoraggia, non diversa da quando un esercito, sconfitto dal vincitore giulivo, giace bocconi in campo aperto e ai piedi dell'accampamento stesso. Allora se una pietra s'è calcinata per improvviso calore, quando questo si è estinto, essa è piuttosto aspra ed è una specie di scoria sporca, simile a quella che vedi rimanere dopo aver purificato il ferro. Ma quando le pietre cadendo si ammucchiano e a poco a poco formano un alto cumulo, che s'innalza col vertice ristretto, qui la pietra brucia come in una fornace e tutta l'umidità, attaccata fino in fondo dal calore, evapora in alto attraverso i pori; perse le forze, si fonde come pietra pomice leggera e senza peso. Quel liquido comincia a ribollire sempre di più e infine ad avanzare sempre più simile ad un placido fiume e fa scorrere le sue onde lungo le pendici dei colli. Esse proseguono a poco a poco per dodici miglia; non c'è nessun ostacolo che le trattenga o che si opponga al tortuoso cammino del fuoco, nessun argine le ferma, vana è ogni lotta; di qui galleggiano selve e rocce, di qui la terra e il suolo stesso favoriscono l'attività e assumono l'aspetto di un fiume. Se per caso si è arrestato attardandosi nelle concave valli, si raddoppiano i flutti e crepita per le onde che stagnano, come quando vediamo il mare impetuoso per i turgidi flutti, e prima solleva piccole onde, poi superando le onde più avanti e agitandole, si diffonde per ampio tratto, poiché riversandole verso campi pianeggianti, li divora. ............................................................................

Le correnti si arrestano sulle rive e raffreddandosi induriscono, a poco a poco i fuochi si riuniscono e le masse perdono il loro aspetto infuocato. Allora, man mano che un blocco diventa duro, esala fumo e, tratto dal suo stesso peso, rotola con grande fragore e, precipitando, quando urta rumorosamente un corpo solido, l'impatto lo frantuma mentre riceve il colpo e, dove si è aperto, risplende di incandescente materia. ...........................................................................

I colpi fanno sfavillare uno sciame di scintille, sassi incandescenti (ecco vedi da lontano le scintille, ecco da lontano che scendono) cadono conservando il loro calore. L'impeto enorme li spinge tanto che talvolta hanno attraversato le rive del fiume Simeto: a stento si potrebbe liberarle di quei massi che le hanno unite solidificandosi; molto spesso si forma un cumulo alto venti piedi. Ma invano studiamo come fissare per ognuno cause sicure, se rimane salda nella tua mente la fallace diceria per cui tu credi che una materia diversa scorra sotto l'azione del fuoco e che le correnti laviche non si condensino per una loro proprietà, oppure che lo zolfo bruci commisto a viscoso bitume: che infatti anche la creta può fondersi bruciata la sua forza interiore, e la prova di ciò è costituita dai vasai; poi raffreddandosi ritorna ad essere dura e stringe i suoi pori. Ma una prova generica è di poco valore e vana è una causa che è dubbia: la verità per te si fonda su elementi sicuri. Come la natura del bronzo sonoro, anche quando è domato dal fuoco, rimane stabilmente la stessa, salva la sua forza interna, così in ambo i casi tu puoi riconoscere la presenza del bronzo, non diversamente fa quella pietra, sia che per caso scorra in liquide fiamme, sia che si trovi al sicuro da esse: conserva le sue caratteristiche e il fuoco non ne distrugge l'aspetto. Anzi lo stesso colore in superficie rifiuta una vena estranea, sia il colore sia la ben nota leggerezza sempre più friabile: uno e identico è l'aspetto del vulcano e dappertutto è terra. Tuttavia non nego che determinate pietre possano ardere e che, preso fuoco, si liquefanno all'interno: questa è la loro proprietà. Anzi i siciliani hanno chiamato rhytae questi medesimi sassi: anche con il nome stesso indicano che esse sono di natura fondibile. Tuttavia mai esse si liquefanno, sebbene una sostanza abbastanza succosa mantenga il calore all'interno, se non sono state intimamente unite ad un poro di pietra molare. Se uno poi si meraviglia che la durezza della pietra sia fondibile, pensi alle veritiere parole del tuo oscuro libretto, o Eraclito: "Niente è inattaccabile dal fuoco in cui dalla natura sono stati posti i germi di ogni cosa... O se questo è troppo straordinario, spesso i corpi più densi, simili ad un solido corpo, tuttavia li domiamo col fuoco. Non vedi che la forza del bronzo soccombe alle fiamme, il piombo non perde flessibilità e la stessa materia del ferro, sebbene durissima, tuttavia non viene vinta dal fuoco, e nelle fornaci costruite a volta le rocce aurifere, pur compatte, stillano le loro ricchezze? E forse in profondità giacciono alcune rocce sconosciute e soggette ad una simile sorte. Non c'è posto per la fantasia; gli occhi col tuo giudizio lo dimostreranno: quella pietra è dura, chiusa alle fiamme sbarra loro la strada se vuoi bruciarla con poco fuoco e all'aria aperta: orsù, rinchiudila in una fornace incandescente e ben chiusa: non può resistere e non può tener duro contro il crudele nemico: viene vinta, scioglie le proprie forze e in balia del fuoco si liquefà. D'altronde quali torture più efficaci ritieni si possano attuare con le nostre mani, quali incendi pensi che con i nostri mezzi possano essere alimentati cosi violenti quanto le fornaci di cui brucia l'Etna, sempre ricco di fuoco misterioso? Esso non arde con una certa moderazione per nostra utilità, ma è più simile al fuoco del cielo o di quel tipo di fiamma di cui è armato Giove stesso. A queste forze si aggiunge un vento violento che si sprigiona da gole ristrette, come quando i fabbri con il loro lavoro cercano di gareggiare con grezze masse, eccitando le fiamme, soffiano l'aria fuori dai tremuli mantici, suscitano folate di vento facendo pressione. Questa è l'attività nel complesso, cos1 brucia l'Etna famoso: la terra dai fori estrae le forze, il vento le spinge nel chiuso, la forza dell'incendio si sprigiona attraverso grandissimi massi.

Per ammirare imprese gloriose e templi che hanno richiesto lavoro e ricchezza di uomini, ricordo di antica sacralità, dopo aver attraversato mari e terre, corriamo attraverso luoghi vicini alla morte e avidi scoviamo false leggende antiche e ci fa piacere attraversare ogni popolo. Ora piace vedere le mura che circondano l'ogigia Tebe, le mura che i fratelli Anfione e Zeto, l'uno infaticabile, l'altro abile nel canto, .......................................................................... (riuscirono) a fondare, e felici riviviamo un'epoca a noi estranea. Ora siamo stupiti per le pietre sollecitate dal sacro canto, ora per le due colonne che sacre fumano da un unico fuoco e per i sette condottieri e la preda dell'abisso. Là attrae la nostra attenzione l'Eurota e la Sparta di Licurgo, e il numero di soldati consacrati alla guerra, schiera del suo capo. Ora qua viene ammirata la Cecropia Atene che gode di numerosi canti e il suo suolo che gode della vittoria di Minerva. O perfido Teseo, una volta ti usci di mente, mentre ritornavi qui, di innalzare prima le vele bianche per l'ansioso padre; sei motivo di canto per Atene anche tu, o Erigone, ormai astro famoso; Filomela evita le nostre dimore rifugiandosi in boschi canori, ma tu Procne, che sei sua sorella, vieni accolta ospite sotto i tetti; il crudele Tereo erra esule per i campi solitari. Ammiriamo le ceneri di Troia e Pergamo compianta dai cittadini sconfitti, e i Frigi, morti col loro Ettore; vediamo la piccola tomba del grande condottiero; qui c'è anche l'infaticabile Achille e giace Paride vinto, vendicatore del grande Ettore. Inoltre hanno tenuto ferma la nostra attenzione quadri greci e statue: ora Venere di Pafo coi capelli che stillano acqua marina, ora i piccoli figli che giocano presso la feroce donna di Colchide, ora i volti tristi intorno agli altari dove è posta una cerva e il padre velato, ora la vivente gloria di Mirone e ci attirano mille lavori d'artisti e una gran folla. Tu ritieni dover visitare queste cose e sei incerto se per terra o anche per mare? Vedi la grande opera prodotta dalla natura, tu non vedrai così grandiosi spettacoli prodotti dai mezzi umani, e specialmente se starai attento quando arde l'infuocato Sirio. Tuttavia una meravigliosa leggenda accompagna il vulcano, non meno famoso per la pietà del fuoco che per i danni. Una volta l'Etna vomitò fiamme dalle fenditure delle sue caverne e, come se le fornaci si fossero rovesciate fuori dal profondo, una grande onda incandescente ed impetuosa si riversò in lungo, come quando il cielo lampeggia per la furia di Giove e scaglia il dardo splendente nell'oscura caligine. Ardevano nei campi le messi e coi loro padroni iugeri fertili e coltivati e splendevano di rosse fiamme le selve e le colline; pensano che il terribile nemico abbia appena mosso il campo e quello ormai aveva oltrepassato le porte della vicina città. Allora, a seconda del coraggio e delle forze di ognuno, tentano di portar via e mettere le ricchezze al sicuro. Geme questo sotto il peso dell'oro, quello raccoglie le armi e stolto le pone in spalla; un altro, sfinito dalle rapine, è attardato dalle sue colpe, questo che è povero si affretta veloce con leggerissimo carico, e ciascuno fugge sotto il peso di ciò che gli è più caro. Ma il bottino non segue incolume il proprio padrone; il fuoco divora gli esitanti e da ogni parte brucia gli avari, insegue chi pensa di essere sfuggito e raggiunto gli arde il bottino: questo alimenta l'incendio che non risparmierà nessuno, o risparmierà solo i pii. Infatti due ottimi figli, Anfìnomo e il fratello, valenti in un uguale lavoro, quando ormai si udiva il crepitio delle fiamme nelle case vicine, si accorgono che il padre, lento a muoversi, e la madre, stanchi, ohimè per la vecchiaia, avevano adagiato le membra sulla soglia. Smettila, o avida schiera, di raccogliere bottini: per loro le uniche ricchezze sono la madre e il padre. Questa preda agguantano e si affrettano ad uscire in mezzo alle fiamme, perché proprio esse danno fiducia. O pietà, che sei la più grande ricchezza e a buon diritto la virtù più sicura per l'uomo! Le fiamme si vergognarono di toccare i giovani pii e indietreggiano dovunque quelli muovono i passi. Beato quel giorno! Illesa rimane quella terra! La furia dell'incendio domina a destra e infierisce a sinistra; ambedue avanzano trionfanti tra mille fiamme poste di traverso, ambedue al sicuro sotto il pietoso carico; là l'avido fuoco si arresta e si ritira intorno ai due giovani. Infine escono incolumi e portano con loro in salvo le loro divinità. Con ammirazione li cantano i vati, li ha messi in un posto a parte Dite sotto un nome famoso, l'infame destino non sfiora questi pietosi giovani: toccarono ad essi case sicure e i diritti degli uomini giusti.