Biblioteca:Pindaro, Pitiche, X

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PER IPPOCLE DI TESSAGLIA VINCITORE NELLA DOPPIA CORSA DEI FANCIULLI A PITO

I
Strofe
Sparta felice! Tessaglia
beata! Su l’una e su l’altra
la stirpe d’Alcide
guerriero, da un padre discesa, ha lo scettro.
Ma che? Forse impronto m’esalto? No. Pito
mi chiama, e la rocca Pelinnia,
e i figli d’Aleva, che braman per Ippocle
si desti nell’agape, a gloria, la voce dei cori.

Antistrofe
Gode egli i premi; ed il grembo
parrasio, fra il popolo accolto,
a lui la vittoria
gridò tra i fanciulli, nel duplice corso.
O Apollo, gli eventi degli uomini han prospero,
se un Dio li sospinge, l’inizio
e il fine: tal gesta compiè per tua grazia;
ma pure per insita virtù su le tracce egli mosse
del padre, di Fricia, che, chiuso nell’armi
di Ares, due volte ebbe il serto
d’Olimpia; e sott’esse le balze
feraci di Cirra,
la corsa gli diede vittoria.
Prosegua Fortuna; e nei giorni
venturi, fiorisca magnanima ricchezza per essi.

II
Strofe
Parte non scarsa dei beni
che l’Ellade porge, ora godono:
deh, mai non tramuti
lor sorte l’invidia dei Superi È un Dio
chi cuore ha sereno: felice, e cantato
dai vati, è colui, che, vincendo
col pugno e col piede veloce, consegue
il premio supremo per possa e fiero animo; e vede.

Antistrofe
vivo tuttora, la Sorte
largire a un suo figlio fanciullo
i serti di Pito.
Il bronzeo cielo cosi non ascende;
ma d’ogni delizia concessa ai mortali
il limite estremo egli attinge.
Né a piedi, né sopra naviglio tu trovi
la via prodigiosa che ai ludi iperborei mena.
Un di’ fra quei popoli giunse, a banchetto^
con essi fu il duce Perseo.
Li colse che offrivano al Nume
insigni ecatombi
d’onàgri: ché assai Febo ha cari
i loro festini e le preci;
e l’irta mirando salacia dei bruti, sorride.

III
Strofe
Né dai loro usi è proscritta
la Musa: carole di vergini
lf sempre s’aggirano,
e grida di lire, di flauti strepiti.
Ed oro di lauri cingendo a le chiome,
banchettan con animo lieto:
né morbi né uggiosa vecchiezza la sacra
progenie contamina; e senza travagli né guerre.

Antistrofe
passan la vita, schivando
la Nemesi. Il figlio di Danae,
spirante prodezza
dal cuore, pervenne, guidandolo Atena,
fra questo consesso di genti beate;
e uccise la Gorgone; e il capo
chiomato di lucidi guizzi di serpi
— lapidea morte — fra genti isolane portò.

Epodo
«Nessuna fra l’opre dei Numi, si strana
mi sembra, che fede io le nieghi. —
Il remo trattieni, da prora
di sùbito l’àncora
affonda, e gli scogli a fior d’acqua
evita: ché il fiore degl’inni
su quest’argomento e su quello, come ape, si lancia.

IV
Strofe
Spero che quando gli Efiri
d’intorno al Penèo verseranno
la dolce mia voce,
mercè del mio canto, più fulgido Ippocle
sarà pei suoi serti, fra quanti ha compagni
negli anni, fra quanti provetti,
e dolce pensiero di tenere vergini.
Infiamman desiri diversi la mente degli uomini.

Antistrofe
Quello che alcuno desidera,
se a sorte lo trova, ghermisca
la brama fuggevole
che ai piedi si scorge: ché niuno l’evento
degli anni prevede. — Confido in Torace
che ospizio mi die’, che dei cantici
miei vago, aggiogava per me la quadriga
pìeria: che ama ed onora chi l’ama e l’onora.

Epodo
A chi su la pietra lo saggia, ben l’oro
rifolgora, e l’animo schietto.
E noi leveremo la lode
pei buoni fratelli
che alta la legge dei Tessali
mantengono; e pregio è dei buoni
secondo le leggi dei padri guidar le città.