Biblioteca:Pindaro, Pitiche, VIII

PER ARISTOMENE D’EGINA. VINCITORE NELLA LOTTA A PITO

I
Strofe
Tranquillità, di Diche
figlia, che floridi i regni
rendi, che tieni le somme
chiavi di guerre e consigli,
gradisci l’onore che in Pito,
vincendo alla gara, ti fece Aristomene.
Ogni opera mite tu compi
del pari, e gradisci,
se giunge opportuno, l’evento.

Antistrofe
Ma se la collera amara
figgesi alcuno nell’anima,
contro la forza dei tristi
aspra ti levi; e sprofondi
Superbia nei gorghi del pelago.
Non te Portinone, che in onta a Giustizia
ardi provocarti, conobbe.
Gratissimo è lucro
quand’esce da cose spontanee;

Epodo
ma purè i superbi, alla fine, guidò tracotanza a rovina.
Né seppe sfuggirla il cilicio
Tifone centocipile,
né il re dei Giganti;
e furon domati dal folgore,
dai dardi d’Apollo, che adesso benigno
mirò di Senarco il figliuolo da Cirra tornare, recinto
di fronda parnasia, di doria canzone.

II
Strofe
L’isola madre di leggi,
cadde, nel giuoco di sorte,
grazie al valor degli Eacidi,
presso alle Cariti: e celebre
sua fama è da tempi remoti:
ché molti ripeton nei carmi com’ella
fu madre d’eroi, vincitori
famosi di ludi,
e saldi al furor delle zuffe.

Antistrofe
Anche per uomini è insigne.
Ma non posso io tutti i lunghi
vanti affidare a le molli
voci e a le tinnule lire;
che tedio aduggiare potrebbe
le menti. Ma quello che ai pie’ mi si para,
ma l’ultima gesta, o fanciullo,
io voglio, a tuo premio,
su l’ali del canto levarla.

Epodo
Ché tu del german di tua madre Teogneto segui le tracce:
né lui svergognasti in Olimpia,
né macchi su l’Istmo
Clitomaco forte;
ma onore facesti alla patria
dei figli di Midilo. E a te la fatidica
sentenza s’addice che il figlio d’Oicleo pronunciava, veggendo
sottesse le mura di Tebe i suoi figli,

III
Strofe
quando gli epigoni vennero
d’Argo a la gesta seconda.
Disse, mentre essi pugnavano:
L’insito nobile ardire
rifulge dai padri nei figli.
Io veggo Alcmeone, scotendo sul clipeo
lucente un dragon maculato,
primiero lo veggo
piombar su le mura di Tebe.

Antistrofe
E più felice presagio
cinge chi tante alla prima
gesta pati pene, Adrasto
prode. Ma sorte contraria
in casa egli avrà: poi che solo
frai i Danai guerrieri, raccolte le ceneri
del morto suo figlio, per fato
dei Numi, ritorno
farà con incolumi schiere

Epodo
d’Abanto a le belle contrade». Suonarono d’Anfiarao
cosi le parole. Ed anch’io,
ben lieto, ricopro
di serti Alcmeone,
con l’inno lo allegro: ch’è mio
vicino, e custode di quanto io posseggo.
Mentre io l’umbilico sonoro del mondo cercavo, m’apparve,
e a me schiuse gl’insiti profetici doni.

IV
Strofe
Febo, che lunge saetti,
che ne le valli di Pito
abiti il tempio ospitale,
ora di gloria Aristomene
copristi: e già pria, ne la patria
il premio del pèntatlo conteso gli desti,
mercè de le nostre preghiere.
Adesso, o Signore,
con voto spontaneo ti prego.

Antisirofe
regga il tuo spirito armonico
tutto ch’io tenti ne l’arte.
Dice con schiere e con canti
dolci lo assiste. Lo sguardo
dei Numi immortali, o Senarco,
invoco a le vostre fortune. Se alcuno
conquista gran beni con poco
travaglio, sapiente
al volgo parrà degli sciocchi.

Epodo
e ch’abbia saputo di scaltre difese munir la sua vita.
Ma tanto non può sapienza
d’effimeri: è dono
del Nume, che questo
solleva, quel prostra. Conserva
misura. Compenso ti diede Megara.
tei die’ Maratona nel piano, e d’Era l’agone in Egina:
tre premi, Aristomene, con l’opra vincesti.

Strofe
E sopra quattro piombasti
corpi, e incombesti feroce.
Né, come a te, concedeva
Pito giocondo ritorno
ad essi; né giunti alle madri,
un riso di gioia soave li cinse:
per tramiti obliqui van trepidi,
schivando gli ostili,
feriti da sorte nemica.

Antistrofe
Ma quei che ottiene novella
gloria sovressa l’usata
prosperità, da l’eccelsa
speme dispiccasi a volo
su alate virtù, fiso a un bene
migliore dell’oro. Fortuna per gli uomini
in breve germoglia; e del pari,
se avverso volere
la scrolla, sfiorita al suol cade.

Epodo
Progenie d’un giorno! Che cosa noi siamo? Che cosa non
siamo?
È sogno d’un ombra il mortale.
Ma pure, se luce
gli piove dal Nume,
fulgore con vita soave
lo irradiano. O Egina, tu madre diletta.
il corso a quest’isola agevola, con Giove, col buon Telamone.
con Peleo, con Eaco possente ed Achille.