Biblioteca:Pindaro, Olimpiche, X

AD AGESIDAMO DI LOCRI EPIZEFIRIA VINCITORE NELLA GARA PUGILE TRA GIOVINETTI IN OLIMPIA

I
Strofe
Additatemi il figlio d’Archestrato
che vinse in Olimpia, in qual punto
scritto è di mia mente: ché un canto soave gli debbo, ed oblio
men colse. Su, Musa, e tu, figlia
di Zeus, Verità, con la giusta
tua mano tien lungi l’accusa
ch’io sia frodolento con gli ospiti.

Antistrofe
Da lontano giungevano i giorni
futuri, e crescea la vergogna
del debito grande. Ma il frutto può sciogliere il biasmo, pur
grave.
Non vedi tu come l’ondare
dei flutti trascina i lapilli?
Cosi pagheremo la lode,
in guisa che grato ei ci resti.

Epodo
Lealtà fra le mura dei Locri Zefiri dimora. A Calliope
si volgono pure, ed a Marte
precinto di bronzo. La possa di Cigno
fe’ volger le piante perfino ad Alcide saldissimo.
Se vinse in Olimpia Agesidamo
fra i pugili, ad Ila
sia grato, si come
Patroclo ad Achille.
Chi tempera l’uomo d’innata virtù,
potrà, con l’aiuto del Nume, sospingerlo a gloria infinita.

II
Strofe
Senza stenti, ben pochi conseguono
la gloria, ch’è luce suprema
del viver. Di Zeus mi spinsero le Norme a cantare l’altissimo
agone, cui presso alla tomba
vetusta di Pelope, Alcide
fondò con sei are, quand’ebbe
ucciso il figliuol di Poseidone,

Antistrofe
l’impeccabile Cteato, ed Èurito,
per tórre ad Augèa reluttante,
a forza il dovuto salario. Sottessa Cleona, li attese
fra macchie imboscato, e li uccise.
Che quelli, i superbi Molfoni,
già pria. ne’ recessi appiattati
nell'Elide, avevano sconfitto

Epodo
le tirinzie sue schiere: né corse gran tempo, che il re degli
Epei,
Augèa, frodatore degli ospiti,
la patria opulenta sua rocca mirò
Ira furia di fiamme, tra colpi di ferro, piombare
in tramite cupo di strage.
Lottar coi più forti
possibile cosa
non è. Poi che vide,
pel poco suo senno, distrutta la patria,
soccombere anch’ei dovè, l’ultimo, all’orrido fato di morte.

III
Strofe
E il figliuolo gagliardo di Zeus,
in Pisa l’esercito tutto
sospinto, e le prede, a suo padre fe’ sacro quel bosco. De
l’Alti
il nitido giro segnò
coi limiti infissi; e nel mezzo
il luogo per l’epule pose,
d’Alfeo le fluenti onorando

Antistrofe
con i» dodici Numi sovrani.
E Cronio quel colle chiamò.
Ché già senza nome, mentre era sovrano Enomào, da tormente
di neve coperto sempre era.
E a questo primissimo rito
le Parche assisterono, e il Tempo,
ch’è giudice solo del vero.

Epodo
E col tempo, ben chiaro si vide qual dono fu il suo, dei trofei
di guerra, che offerse su Tare,
scegliendone il fiore: qual gaudio di festa
fondò quinquennale, insiem con la prima olimpiade,
coi premi dei ginnici ludi.
Chi primo ebbe dunque
il sùbito serto,
per forza di mani,
di piedi, di cocchi? Chi primo la lode
potè col trionfo, e la fama, con l’opra, rapir negli agoni?

IV
Strofe
Trionfò ne lo stadio, lanciandosi
a corso diritto, il figliuolo
Eone di Licimnio, venuto coi suoi da Midea. Ne la lotta
Echemo, e fe’ onore a Tegea.
Del pugile gioco la meta
Doricio Corinzio toccò.
E Samo, figliuol d’Alirozio.

Antistrofe
da Mantinea, con quattro cavalle.
Al segno pervenne di Frastore
il dardo. E rotando la mano, scagliò più lontano di tutti
Nicea la gran pietra: gli amici
levarono altissime grida.
Calava la sera; e la luna
raggiò la sua placida luce.

Epodo
E suonò tutto il sacro recinto di canti, di feste gioconde,
di riti d’encomio; ed anche ora,
seguendo l’origine prisca, diremo
la gioia dell’inclita vittoria; diremo il fragore
del tuono, ed il dardo vibrato
da flammea mano,
il rutilo folgore
rombante di Zeus,
che con la sua forza soggioga ogni forza:
e al suono d’armonici calami si mescano i cantici molli

V
Strofe
che già presso all acque di Dirce
suonarono. Or, come un figliuolo
legittimo è caro al mortale che va per la via che dilungasi
dagli anni più giovani, e il seno
gl’infiamma d’amor: che odiosa
all’uom presso a morte è ricchezza
che spetti ad erede straniero,

Antistrofe
cosi pure, chi compie, o Agesidamo,
belle opere, e all’Ade giù scende
ignoto a le Muse, con vano travaglio concesse a sue pene
efimero gaudio. Te il flauto
soave e l’armonica lira
cospergon di grazia. Le Pieridi
per te nutron celebre gloria.

Epodo
Di lor zelo partecipe anch’io, la nobile gente di Locri
cantai, cospargendo di miele
la loro cittade, che albergo è di prodi.
L’amabile figlio d’Archestrato lodai: che lo vidi
con valida man trionfare
vicino all’altura
d’Olimpia in quel giorno.
Bello era d’aspetto:
ed era negli anni che già Ganimede
schermian, col favor della diva di Cipro, dal fato di morte.