Biblioteca:Pindaro, Nemee, VII

PER SOGENE D’ EGINA. VINCITORE NEL PENTATLO A NEMEA

I
Strofe
llizia, che siedi vicina alle Parche dal senno profondo,
d’Era possente figliuola, che ai pargoli
dài vita, ora ascoltami: ché senza di te
né il dì né la tenebra notturna vedremmo,
né Tebe godremmo, la tua sorella dal fulgido aspetto.
Non anima uguale vigore ogni seno;
ma vario destino costringe i vari uomini.
Ed ora il figliuol di Tenone, Sogene, cui rese famoso
prodezza nel pèntatlo, ha onore di fama e di canti,

Antistrofe
poiché degli Eacidi nell’arce che suona di canti ha dimora.
E quelli onore largiscono ai cuori
esperti agli agoni. Chi amica ha Fortuna
nell’opere imprese, soave cagione
ai rivoli offri delie Muse. Ché l’alto valore, se d’inni
è privo, lo avvolgono tènebre fonde.
E solo una foggia di specchio conosco
al prode operar ; se Mnemosine dal fulgido velo consente
compenso ai travagli ne I’inclite fluenti del verso.

Epodo
Innanzi Ire giorni prevedon gli esperti
il vento; né lucro l’inganna o lusinga.
Povero e ricco, del pari pervengono al passo di morte:
ma, grazie al canto d’Omero
soave, la fama d’Odissea fu, penso,
più grande che non le sue gesta.

II
Strofe
Ché augusta pur essa la cosa non vera ti sembra, cui l’arte
su le sue penne levò. Poesia
con finti racconti rapisce gli spiriti;
e cieco han le turbe degli uomini il cuore.
Se il vero sapevano scorgere, sul brando funesto non mai
per l’armi d’Achille piombato sarebbe
Aiace, il più forte, se togli il Pelide,
fra quanti gli spiri di Zefiro condussero d’Ilio a la rocca,
perché Menelao chioma bionda s’avesse la sposa.

Antistrofe
Il flutto d’Averno s’avanza del pari su tutti: precipita
su chi l’attende, su chi non l’attende.
Ma all’uom sopravvive l’onore, se a lui
defunto alta fama concedono i Numi.
Però l’ampio sen della terra traverso, ed al grande umbilico
mi reco; ed a Pito giace or Neottolemo,
poi ch’ebbe riversa la rocca di Priamo,
per cui s’affannarono i Danai. Ed ei, navigando, mai più
a Sciro non giunse. Errabondi toccarono Efira.

Epodo
E sovra i Molossi regnò poco tempo.
Ma i suoi discendenti lo scettro regale
sempre serbarono. E al Nume di Pito egli mosse, e l’offerte
de le primizie d’ilio
recò. Per le carni qui surta contesa,
un uomo l’uccise di ferro.

III
Strofe
Di grave dolore percosso fu il cuore dei Delfi ospitali.
Ma si compieva la sorte fissata:
ché alcun degli Eacidi possenti doveva
nel bosco antichissimo, giacendo vicino
ai solidi muri dei tempio del Nume, presieder le pompe
eroiche, e le vittime opime, secondo
l’augurio di retta giustizia. Tre bastano
parole: ora è teste dell’opre veridico. O Egina, pei tuoi,
pei figli di Zeus asserire posso io con baldanza

Antistrofe
che dalle lor case si parte una strada maestra di fulgide
glorie. Ma è dolce riposo in ogni opera.
Perfino del miele, perfino dei fiori
soavi di Cipride può nascer fastidio.
Ciascun dei mortali ha diverso retaggio di vita: uno vale
in questo, altri in altro: che un uomo consegua
il be’ne universo, possibil non è:
tié dire ti posso a chi stabile tal sorte concesse la Parca.
A te concedea, Tearione, ricchezza opportuna;

Epodo
né, poi che ti diede l’ardire dell’opera,
ti volle negata la forza del senno.
Ospite io sono: tenendo da me lunge il biasimo oscuro,
come con rivi di linfe,
aspergo l’amico di gloria veridica,
che degna mercede è pei buoni.

IV
Strofe
Né farmi rimprovero, se fosse presente, verun degli Achei
ch’olire il mar Ionio dimoran, potrebbe.
E fede ho ne l’ospite, e levo securo
lo sguardo fra il popolo, fuggendo il soverchio,
dai pie’ violenza scacciando. Cosi l’avvenire s’avanzi
felice. Sentite da chi mi conosce
se io con malediche ciance, sia mai
uscito di tòno. Ti giuro, o Sogene, Eussenide giovane,
che. simile a strale di bronzo lanciando il mio verso,

Antistrofe
saprò non fallire la mèta. Dai ludi tornar tu valesti
òmero e forze non anche bagnati,
avanti che al sole restassero esposti.
Se grande il travaglio, maggiore fu il gaudio.
Or lascia che io per chi vinse — se mai troppo in alto la voce
sviai, non m’è grave di nuovo qui fletterla
or lascia che intrecci ghirlande. E tu, Musa,
veloce compagina l’oro col candido avorio, col fiore
di giglio rapito alle schiume roranti del mare.

Epodo
E a Zeus la mente volgendo, in Nemea
il murmure placido degl’inni famosi
fa’ che risuoni. Cantare si deve con dolce loquela
su questo piano, il Signore
dei Numi: ché quivi, raccontano, Eaco
dal grembo materno gli nacque:

V
Strofe
Eaco, che, vigile sopra la patria sua nobile, o Eracle,
ospite, amico, fratello è per te.
Se uom da un altr’uomo può trarre vantaggio,
direi che un vicino che t’ami leale
è gaudio supremo: e tal gaudio se possa anche dare un Celeste,
a te che i Giganti domasti, vicino
restando, volgendo pensieri d’affetto
al padre, abitare Sogène si piaccia, sovressa la ricca
santissima terra, che culla degli avi suoi fu.

Antistrofe
Poi ch’egli ha sua casa fra tuoi santuari, sf come fra i gioghi
della quadriga, dovunque si volga,
a dritta o a sinistra. Beato, a le d’Era
placare lo sposo conviene, e la vergine
ch’à cerulo il ciglio. Tal forza tu puoi tra gl’impervi travagli
infonder negli uomini, che n’escano salvi.
Cosi possa ad essi concedere vita
di forza durevol, beata, negli anni più floridi, e nella
serena vecchiezza; ed i figli dei figli abbian sempre

Epodo
l’onore che adesso segnò loro stirpe;
e il tempo futuro lo accresca. Non mai
dir si potrà che con folli parole io ferii Neottolemo.
Tre, quattro volle ripetere
le cose è da inetti: da balie che ai bimbi
ripetan la stessa canzone.