Biblioteca:Pindaro, Nemee, IX

PER CROMIO D’ETNA VINCITORE SUL CARRO A SILICONE

I
Musa, rechiam da Sicione, da Febo, la pompa ed i cantici
d’Etna alle mura novelle rechiamo, e alla casa felice
di Cromio, là dove le porte
s’aprono agli ospiti, vinte. Di versi melliflui s’intrecci
l’inno: ché il cocchio dai saldi corsieri egli ascese, e a Latona
e ai gemini figli, di Pito
l’eccelsa concordi custodi, il canto annunziò trionfale.

II
Vige tal detto tra gli uomini: che mai non si dee col silenzio
I’opere buone sotterra nascondere; e il suono divino
dei versi, ai gran fatti s’addice.
Su, con tinniti di cetere, con voci di flauti, si esalti
l’alto fastigio dell’ippico certame che Adrasto per Febo
fondò su le rive de l’Asopo.
Ben io lo rammento; e fo adorno con inclite lodi l’eroe.

III
Argo ei fuggendo e la furia, fuggendo il superbo
Anfiarao, da la casa paterna qui giunse; ed eletto
sovrano, con feste e con gare
d’uomini saldi e di cocchi politi, die’ lustro a Sicione:
poi che prostrati da lotta civile, i figliuoli di Talao
non più regno avevano in Argo:
ché spesso il signor più possente pon fine all’antico diritto.

IV
Anfiarao s’ebbe sposa di poi la vezzosa Erifile,
suora d’Adrasto: fu pegno di pace; e allor furon supremi
signori dei Danai biondi.
E contro Tebe settemplice l’esercito mossero un giorno,
senza favore d’auspici. Né Zeus, scagliando la folgore,
quando essi furenti lasciarono
la patria, incorava l’impresa, bensi da la via li distolse.

V
Verso palese sciagura cosi s’affrettavan le schiere
con i corsieri ed i cocchi, con l’arme di bronzo; e sui rivi
d’Ismeno, mentre essi anelavano
il dolce ritorno, coi corpi il candido fumo fèr pingue.
Sette bruciavano roghi le giovani membra: il Cronide
ad Anfiarao sotto i piedi
la terra sprofonda col folgore, e lui coi cavalli inabissa.

VI
prima che, a tergo colpendolo con l’asta, l’onor suo guerresco
potesse macchiar Periclimeno. Ché quando nei cuori terrore
infondono i Numi, anche i figli
fuggon dei Numi. — Cronide, stia lunge, se tanto i miei voti
possono, questo cimento feroce di vita e di morte,
di lance sanguinee: concedi,
ti prego, durevole sorte, durevoli leggi agli Etnèi.

VII
Zeus, e di feste magnifiche partecipe il popolo sia:
ché di corsieri son vaghi qui gli uomini; e Palme dispregiano
ricchezze. Incredibile cosa!
Poi che buon nome ed onore spariscon, se il lucro li soffoca.
Ma se tra fanti e cavalli, tra zuffe di mare, pugnato
a lato di Cromio tu avessi,
avresti ben dato giudizio se rigido fosse il suo cuore:

VIII
ché solo Onor nelle pugne fu il Nume che il petto gli armava,
sf che le lance ed il lutto d’Enfalo tenesse lontani.
Ben pochi la nube di strage
presso a piombar, sanno provvidi, con opra di senno e di mano,
sopra i nemici stornare. Raccontan che ad Ettore gloria
fiori di Scamandro vicino
ai flutti: vicino alle rive scoscese rupestri d’Eloro,

IX
dove le genti designano il passo di Ares, la gloria
volse al figliuol d’Agesidamo. negli anni suoi primi, già gli
occhi.
lì quanto fra polve di campi,
e sui finitimi flutti negli anni seguenti compieva,
io canterò. Dei travagli che onesti l’uom giovine compie
si allegrano gli anni cadenti.
Conosci che diedero i Numi a te felicissima sorte:

X
che quando un uomo consegue con grande opulenza alta gloria,
lecito a lui, sacro a morte, non è muovere oltre, poggiare
le piante su vetta più eccelsa. —
Ama il simposio la pace. E il fior di vittorie novelle
levasi al morbido suono dei cantici. Acquista baldanza
la voce vicino al cratere,
profeta soave ai convivi. Di vino ora alcuno lo infonda,

XI
e de la vite il gagliardo figliuol ne le coppe d’argento
mesca, che un di le cavalle vincevano a Cromio; ed insieme
coi serti intrecciati ad Apollo
nella divina Sicione a lui li recaron. Concedi,
Zeus, che insiem con le Cariti io celebri tanta prodezza,
la gloria di tante vittorie;
e possa, lanciando i miei dardi, la mèta colpir de le Muse.