Biblioteca:Ovidio, Heroides, 19. Ero a Leandro

Vieni, o Leandro, affinché io possa godere realmente di quell'augurio, che mi hai inviato a parole! È lungo per me ogni indugio che differisce le gioie d'amore. Perdonami se lo confesso: non sono paziente in amore! Bruciamo di un'uguale fiamma, ma le mie forze sono impari rispetto alle tue: suppongo che gli uomini abbiano un carattere più forte. Come il corpo, così l'animo nelle delicate fanciulle è debole: aggiungi solo un piccolo ritardo e morirò! Voi, ora con la caccia, ora coltivando la terra feconda, dedicate lungo tempo ad attività diverse. O vi trattiene il foro, o gli esercizi della rilucente palestra, o piegate con il morso il collo di un docile cavallo; ora catturate uccelli con il laccio, ora pesci con l'amo, e ingannate le ore più tarde con il vino davanti. Poiché io sono tenuta lontano da queste occupazioni, anche se fossi in preda ad una passione meno violenta, non mi resta altro da fare se non amare. Faccio ciò che mi resta e amo te, mio unico piacere, anche più di quanto mi possa essere ricambiato. Parlo di te sottovoce con la mia cara nutrice e non comprendo per quale motivo ritardi la tua traversata; oppure, scrutando il mare, ingiurio, quasi con le tue stesse parole, i flutti sconvolti da un vento odioso. Oppure, non appena le pesanti ondate hanno perso un po' della loro violenza, lamento che tu possa, ma non voglia venire; e mentre mi dolgo, dai miei occhi di innamorata sgorgano lacrime, che la vecchia confidente asciuga con mano tremante. Spesso guardo se sulla riva ci sono le tue impronte, come se la sabbia conservasse le orme impresse; e per avere tue notizie e per scriverti, chiedo se qualcuno è arrivato da Abido, o se qualcuno si rechi ad Abido. Perché raccontarti quante volte bacio le vesti che tu deponi qui, quando stai per entrare nelle acque dell'Ellesponto? Ma quando è tramontata la luce e l'ora della notte, a noi più favorevole, fa comparire le stelle lucenti, dopo aver cacciato il giorno, metto subito, sulla sommità della torre la luce di guardia, segnale e guida della via consueta e, dopo aver filato lo stame ritorto col fuso girevole, inganno le lunghe attese con lavori femminili. Mi chiedi di che cosa parlo, frattanto, in un tempo così lungo? Sulla mia bocca non c'è altro, se non il nome di Leandro: "O mia nutrice, pensi che il mio amore sia già uscito di casa, o tutti sono svegli ed egli teme i suoi? O pensi che ormai si sia tolto di dosso gli abiti e si stia spalmando il corpo di grasso olio?". Ella sembra annuire, non perché si preoccupi dei nostri baci, ma il sonno che si insinua fa muovere il suo capo di vecchia. E, dopo una piccola pausa, continuo: "Ormai certamente, è per mare e muove le braccia con regolarità, facendosi strada fra le acque". E quando ho terminato pochi fili ed il fuso tocca terra, le domando se puoi essere a metà dello stretto. E ora tendo lo sguardo, ora prego sottovoce che un vento propizio ti renda facile la traversata. Talore afferro con le orecchie dei suoni e ogni rumore credo che sia quello del tuo arrivo. Quando nell'illusione è così trascorsa per me la maggior parte della notte, il torpore si insinua furtivamente nei miei occhi stanchi. Forse tuo malgrado dormi comunque con me, o crudele, e sebbene tu non voglia venire di persona, vieni ugualmente. Infatti ora mi sembra di vederti nuotare già vicino, ora posare le tue braccia bagnate sulle mie spalle, ora di porgerti, come sono solita, indumenti per le tue membra grondanti, ora di scaldare il tuo petto stringendolo al mio ed inoltre molte altre cose che una bocca pudica deve tacere, cose che piace aver fatto, ma che, una volta fatte, si ha vergogna a raccontare. Me infelice! Questo piacere è breve ed irreale; perché tu sei solito andartene sempre con il sonno. Oh se potessimo finalmente unirci più stabilmente, noi amanti impazienti, e i nostri piaceri non mancassero di realizzarsi con certezza! Perché trascorro nel gelo tante notti, priva di te? Perché tante volte stai lontano da me, tu che ti attardi indolente? Il mare, lo riconosco, non è ancora praticabile a nuoto; ma la notte scorsa spirava un vento più debole: perché l'hai lasciata trascorrere? Perché temevi quello che non sarebbe accaduto? Perché è andata sprecata una opportunità così favorevole e non l'hai subito afferrata? Anche se presto ti sarà data una analoga possibilità di venire, quella era certamente migliore, in quanto veniva prima. Ma l'aspetto del mare sconvolto - dirai - è mutato rapidamente; spesso però, quando ti affretti, arrivi in un tempo minore. Non avresti nulla di che lamentarti, credo, se fossi sorpreso qui dalla burrasca e nessuna tempesta potrebbe farti male, mentre mi tieni abbracciata. Allora certamente ascolterei con piacere il frastuono dei venti e pregherei che le acque non tornassero mai calme. Ma cosa è accaduto che ti ha reso più timoroso delle onde e ti fa aver paura di quel mare che prima sfidavi? Quando venivi, mi ricordo, il mare non era meno infuriato e minaccioso, o, almeno, non molto meno; quando ti gridavo: "Sii audace, ma a condizione che io, infelice, non debba piangere sul tuo coraggio!". Da dove viene questa nuova paura, dove è finita quell'audacia? Dov'è quel grande nuotatore che sfidava le onde? Ma no, è meglio che tu sia così piuttosto che come eri prima; fa' una traversata sicura sul mare tranquillo - purché tu sia lo stesso; purché ci amiamo così, come tu scrivi, e quella nostra fiamma non divenga fredda cenere. Io temo non tanto i venti che ritardano i miei desideri, quanto che il tuo amore vada errando come il vento e che io non sia più così importante per te; temo che i pericoli prevalgano sul motivo per affrontarli e di sembrarti una ricompensa inadeguata alla fatica. Talvolta ho paura di essere danneggiata dalla mia patria e, in quanto fanciulla tracia, di essere dichiarata indegna del letto di uno di Abido. Tutto potrei tollerare più facilmente, ma non che tu trascorra il tempo in ozio, sedotto da qualche rivale, che le braccia di un'altra si posino sul tuo collo ed un nuovo amore divenga la fine del nostro. Ah, vorrei morire, piuttosto che essere ferita da questo oltraggio! Che il mio destino si compia prima della tua colpa! E non lo dico perché tu mi abbia fatto presagire sofferenze future o perché insospettita da qualche recente diceria. Ma ho paura di tutto! Chi mai è sicuro in amore? E poi la distanza costringe chi è lontano a temere di più. Felici le donne alle quali l'esser presenti fa riconoscere le colpe reali e impedisce di temere quelle false. Tanto io sono turbata da offese immaginarie, quanto sono ingannata da quelle vere, ed entrambi gli errori mi infliggono pari lacerazioni. Oh, se tu arrivassi! O se almeno la causa del ritardo fosse il vento, o tuo padre e di certo non una donna! Se io venissi a sapere di una donna, credimi, morirei per il dolore; tradiscimi subito, se vuoi la mia morte. Ma tu non mi tradirai ed io sono in preda a vane paure; è la tempesta invidiosa che combatte perché tu non venga. Me infelice! Da che enormi ondate è battuta la spiaggia, e la luce del giorno è sparita, occultata da una nube fosca! Forse la madre pietosa di Elle è giunta al mare e piange la figlia annegata versando lacrime di pioggia; oppure la matrigna, trasformata in dea marina, sconvolge il mare che trae il nome dall'odiata figliastra? Questo luogo, com'è ora, non è propizio alle fanciulle delicate: in queste acque morì Elle, e da queste viene il mio danno. Ma proprio tu, Poseidone, per il ricordo delle tue passioni, non dovevi ostacolare con i venti nessun amore, se né Amimone, né Tiro, la più celebrata per la sua bellezza, sono invenzioni fantastiche di una tua colpa, né la rilucente Alcione e Calice, figlia di Ecateone e Medusa, quando i suoi capelli non erano ancora serpenti intrecciati, e la bionda Laodice e Celeno, accolta in cielo, e quelle di cui mi ricordo di aver letto i nomi. Di queste cantano certamente i poeti, o Poseidone, e di molte altre che unirono il loro morbido fianco al tuo. Perché dunque, avendo sperimentato tante volte la forza dell'amore, ci precludi con una tempesta il cammino consueto? Calmati, o crudele, e vai a combattere in mare aperto; è solo uno stretto braccio di mare questo che separa le due terre. A te grande dio, si addice sballottare grandi navi o infuriare anche contro flotte intere; ma è vergognoso per il dio del mare incutere terrore ad un giovane nuotatore, questa è una gloria troppo piccola, anche per uno stagno qualunque. Certo egli è nobile e di illustre origine, ma non discende da Ulisse, del quale tu diffidi. Sii clemente e salva entrambi: è lui che nuota, ma nelle stesse acque stanno sospesi il corpo di Leandro e la mia speranza. Anche la lanterna ha scoppiettato - scrivo tenendola accanto -, ha scoppiettato e mi ha dato un segnale di buon augurio. Ecco la nutrice spruzza il vino sul fuoco bene augurante e dice: "Domani saremo di più", e lei stessa beve. Fai in modo che siamo di più, scivolando veloce sul mare domato, tu, che ho accolto nel più profondo del cuore! Ritorna al tuo accampamento, disertore del nostro reciproco amore. Perché il mio corpo deve giacere nel mezzo del letto? Non hai da temere. Afrodite stessa proteggerà colui che osa, e, nata dal mare, spianerà le vie marine. Anche a me spesso piace nuotare in mezzo alle onde; ma di solito questo stretto è più sicuro per gli uomini. Perché infatti mentre Frisso e la sorella erano trasportati qua sopra, solo la ragazza diede il nome alla distesa delle acque? Temi forse che ti manchi il tempo per il ritorno o di non essre in grado di sopportare il peso di una doppia fatica? Allora, partiti da rive opposte, riuniamoci in mezzo al mare e, all'incontro, scambiamoci baci a pelo d'acqua, e poi ciascuno torni di nuovo alla sua città: sarà poco, ma più di niente. Oh, se questo pudore, che ci costringe ad amarci di nascosto, o questo amore, timoroso di essere divulgato, volessero arrendersi! Ora questi sentimenti male assortiti, passione e ritegno, lottano; non so quale seguire: questo offre rispettabilità, quella piacere. Giasone di Pagase, una volta entrato in Colchide, portò via a bordo della sua nave veloce la fanciulla del Fasi; l'adultero dell'Ida, una volta giunto a Sparta, se ne tornò subito indietro con la sua preda. Ma tu, quanto spesso raggiungi l'oggetto del tuo amore, altrettanto spesso lo abbandoni e vieni a nuoto tante volte quante sarebbe faticoso anche per una nave. Tuttavia, o giovane vincitore delle acque rigonfie, fa' in modo di sfidare per me il mare, pur sempre temendolo. Sono state sommerse dal mare navi costruite con perizia: pensi che le tue braccia possano più dei remi? Ciò che tu desideri, Leandro, i marinai lo temono: nuotare; di solito questa è la loro sorte quando le navi fanno naufragio. Me infelice! Non voglio convincerti di ciò che ti spingo a fare; ti prego, cerca di essere più forte delle mie esortazioni, purché tu venga e circondi le mie spalle con le tue braccia stanche, tante volte agitate tra i flutti. Ma ogni volta che mi volgo verso le onde cupe, il mio cuore in ansia è bloccato da una sensazione di gelo. E non sono meno turbata da un sogno della notte scorsa, sebbene io l'abbia propiziato con i miei sacrifici. Sul far dell'aurora, quando ormai il lume sonnecchiava, nel periodo in cui di solito si fanno i sogni veritieri, dalle dita allentate dal sonno mi caddero i fili, e appoggiai il capo sul cuscino. A questo punto mi sembrò di distinguere con certezza un delfino che nuotava fra le onde increspate dal vento e, dopo che un'ondata lo sbatté sulla sabbia assetata, il mare e la vita abbandonarono contemporaneamente la povera bestia. Qualunque cosa significhi, ho paura; e tu non ridere dei miei sogni e non affidare le tue braccia al mare se non è calmo. E se non hai riguardo per te, abbi riguardo per la fanciulla amata, io, che mai sarò salva, se non sarai salvo anche tu. Tuttavia nelle onde infiacchite c'è speranza di una prossima pace: allora solca con il tuo petto ormai al sicuro le vie tranquille. Nel frattempo, poiché lo stretto non è attraversabile a nuoto, la lettera che ti invio addolcisca l'odiosa attesa.