Biblioteca:Omero, Iliade, Libro XX

Così dintorno a te, marzio Pelide,
gli Achei metteansi in punto appo le navi,
e i Troi del campo sul rïalto. A Temi
Zeus allor comandò che dalle molte
eminenze d'Olimpo a parlamento 5
convocasse gli Dei. Volò la Diva
d'ogni parte, e chiamolli alla stellata
magion di Zeus. Accorser tutti, e, tranne
il canuto Oceàn, nullo de' Fiumi
né delle Ninfe vi mancò, de' boschi 10
e de' prati e de' fonti abitatrici.
Giunti del grande adunator de' nembi
alle stanze, si assisero su tersi
troni che a Zeus con solerte cura
Efesto fabbricò. Prese ciascuno 15
cheto il suo posto; ma dal mar venuto
obbedïente ei pure il re Poseidone,
tra i maggiori sedendosi, la mente
di Zeus interrogò con questi accenti:
Perché di nuovo, fulminante Iddio, 20
chiami i numi a consiglio? Alfin decisa
de' Troiani vuoi forse e degli Achei
pronti a zuffa mortal l'ultima sorte?
Ben vedesti, o Poseidone, il mio pensiero,
Zeus rispose; del chiamarvi è questa 25
la cagion: benché presso al fato estremo
e gli uni e gli altri in cor mi stanno. Assiso
su le cime d'Olimpo io qui mi resto
l'ire mortali a contemplar tranquillo.
Voi sul campo scendete, e a cui v'aggrada 30
de' Teucri e degli Achei recate aita.
Se pugna Achille ei sol, nol sosterranno
nè pur tampoco i Teucri, essi che ieri
solo al vederlo ne tremaro. Ed oggi,
che d'ira egli arde per l'amico, io temo 35
non anzi il dì fatal Troia rovini.
Disse, e di guerra un fier desire accese
de' Celesti nel cor, che in due divisi
nel campo si calâr: verso le navi
Era e Palla Atena e coll'accorto 40
util Ermes s'avvïò Poseidone.
Li seguìa zoppicando, e truci intorno
gli occhi volgendo di sua forza altero
Efesto, ed il sottil stinco di sotto
gli barcollava. Alla troiana parte 45
n'andâr dell'elmo il crollator Gradivo,
l'intonso Febo colla madre e l'alma
cacciatrice sorella e Xanto e Afrodite
Dea del riso. Finché dalle mortali
turbe i numi fur lungi, orgoglio e festa 50
menavano gli Achei, perché comparso
dopo lungo riposo era il Pelide,
e corse ai Teucri un freddo orror per l'ossa
visto nell'armi lampeggiar, sembiante
al Dio tremendo delle stragi, Achille. 55
Ma quando le celesti alle terrene
armi fur miste, una ineffabil surse
di genti agitatrici aspra contesa.
Terribile Atena, or sull'estremo
fosso volando ed or sul rauco lido, 60
da questa parte orribilmente grida:
grida Ares dall'altra a tenebroso
turbin simìle, ed or dall'ardue cime
delle dardanie torri, ed or sul poggio
di Colone lunghesso il Simoenta 65
correndo, infiamma a tutta voce i Teucri.
Così l'un campo e l'altro inanimando
gli Dei beati gli azzuffâr, commisti
in conflitto crudel. Dall'alto allora
de' mortali e de' numi orrendamente 70
il gran padre tuonò: scosse di sotto
l'ampia terra e de' monti le superbe
cime Poseidone. Traballâr dell'Ida
le falde tutte e i gioghi e le troiane
rocche, e le navi degli Achei. Tremonne 75
Pluto il re de' sepolti e spaventato
diè un alto grido e si gittò dal trono,
temendo non gli squarci la terrena
volta sul capo il crollator Poseidone,
ed intromessa colaggiù la luce 80
agli Dei non discopra ed ai mortali
le sue squallide bolge, al guardo orrende
anco del ciel; cotanto era il fragore
che dal conflitto de' Celesti uscìa.
Contra Poseidone il re dell'arco Apollo, 85
contra Ares Atena, e contra Era
sta delle cacce e degli strali amante
la sorella di Febo alma Artemide:
contra il dator de' lucri e servatore
di ricchezze Ermes era Leto, 90
contra Efesto il vorticoso fiume
dai mortali Scamandro e dagli Dei
Xanto nomato. E questo era di numi
contro numi il certame e l'ordinanza.
Ma di scagliarsi fra le turbe in cerca 95
del Priàmide Ettore arde il Pelide,
ché innanzi a tutto gli comanda il core
di far la rabbia marzïal satolla
di quel sangue abborrito. Allor destando
le guerriere faville Apollo spinse 100
contro il tessalo eroe d'Anchise il figlio,
e presa la favella e la sembianza
del Prïameio Licaon gl'infuse
ardimento e valor con questi accenti:
Illustre duce Enea dove n'andaro 105
le fatte tra le tazze alte promesse
al re de' Teucri, che pur solo avresti
contro il Pelide Achille combattuto?
Priamide, e perché, contro mia voglia,
Enea rispose, ad affrontar mi sproni 110
quell'invitto guerrier? Gli stetti a fronte
pur altra volta, ed altra volta in fuga
la sua lancia dall'Ida mi sospinse,
quando, assaliti i nostri armenti, ei Pedaso
e Lirnesso atterrò. Zeus protesse 115
il mio ratto fuggir: senza il suo nume
m'avrìa domo il Pelide, esso e Atena
che il precorrendo lo spargea di luce,
e de' Teucri e de' Lelegi alla strage
la sua lancia animava. Alcun non sia 120
dunque che pugni col Pelide. Un Dio
sempre va seco che il difende, e dritto
vola sempre il suo telo, e non s'arresta
finché non passi del nemico il petto.
Se della guerra si librasse eguale 125
dai Sampiterni la bilancia, ei certo,
fosse tutto qual vantasi di ferro,
non avrìa meco agevolmente il meglio.
E tu pur prega i numi, o valoroso,
rispose Apollo, ché tu pure, è fama, 130
di Afrodite nascesti, ed ei di Diva
inferïor, ché quella a Zeus, e questa
al marin vecchio è figlia. Orsù dirizza
in lui l'invitto acciaro, e non lasciarti
per minacce fugar dure e superbe. 135
Fatto animoso a questi detti il duce,
processe di lucenti armi vestito
tra i guerrieri di fronte. E lui veduto
per le file avanzarsi arditamente
contro il Pelide, ai collegati numi 140
si volse Era e disse: Il cor volgete,
tu Poseidone e tu Pallade, al periglio
che ne sovrasta. Enea tutto nell'armi
folgorante s'avvìa contro il Pelide,
e Febo Apollo ve lo spinge. Or noi 145
o forziamlo a dar volta, o pur d'Achille
vada in aiuto alcun di noi, che forza
all'uopo gli ministri, onde s'avvegga
ch'egli ai Celesti più possenti è caro,
e che di Troia i difensor fann'opra 150
infruttuosa. Vi rammenti, o numi,
che noi tutti scendemmo a questa pugna
perché nullo da' Teucri egli riceva
questo dì nocumento. Abbiasi dopo
quella sorte che a lui filò la Parca 155
quando la madre il partorìo. Se istrutto
di ciò nol renda degli Dei la voce,
temerà nel veder venirsi incontro
fra l'armi un nume: perocché tremendi
son gli Eterni veduti alla scoperta. 160
Fuor di ragione non irarti, o Era,
ché ciò sconvienti, rispondea Poseidone.
Non sia che primi commettiam la pugna
noi che siamo i più forti. Alla vedetta
di qualche poggio dalla via remoto 165
assidiamci piuttosto, ed ai mortali
resti la cura del pugnar. Se poscia
cominceran la zuffa o Ares o Febo,
e rattenendo Achille impediranno
ch'egli entri nella mischia, e noi pur tosto 170
susciteremo allor l'aspro conflitto,
e presto, io spero, dal valor del nostro
braccio domati, per le vie d'Olimpo
ritorneranno all'immortal consesso.
Li precorse, ciò detto, il nume azzurro 175
verso l'alta bastìa che pel divino
Eracle un giorno con Atena i Teucri
innalzâr, perché a quella egli potesse
riparato schivar della vorace
orca l'assalto allor che furibonda 180
l'inseguisse dal lido alla pianura.
Qui co' numi alleati il Dio s'assise
d'impenetrabil nube circonfuso.
Sul ciglio anch'essi s'adagiâr dell'erto
Callicolon gli opposti numi intorno 185
a te, divino saettante Apollo,
e a Ares di cittadi atterratore.
Così di qua, di là deliberando
siedono i Divi, e niuna parte ardisce,
benché Zeus gli sproni, aprir la pugna. 190
E già tutto d'armati il campo è pieno,
e di lampi che manda il riforbito
bronzo de' cocchi e de' guerrieri, e suona
sotto il fervido piè de' concorrenti
eserciti la terra. Ed ecco in mezzo 195
affrontarsi di pugna desïosi
due fortissimi eroi, d'Anchise il figlio
ed Achille. Avanzossi Enea primiero
minacciando e crollando il poderoso
elmo, e proteso il forte scudo al petto, 200
la grand'asta vibrava. Ad incontrarlo
mosse il Pelide impetuoso, e parve
truculento lïone alla cui vita
denso stuol di garzoni, anzi l'intero
borgo si scaglia: incede egli da prima 205
sprezzatamente; ma se alcun de' forti
assalitor coll'asta il tocca, ei fiero
spalancando le fauci si rivolve
colla schiuma alle sanne; la gagliarda
alma in cor gli sospira, i fianchi e i lombi 210
flagella colla coda, e se medesmo
alla battaglia irrita: indi repente
con torvi sguardi avventasi ruggendo,
di dar morte già fermo o di morire:
tal la forza e il coraggio incontro al franco 215
Enea sospinser l'orgoglioso Achille,
e giunti a fronte, favellò primiero
il gran Pelide: Enea, perché tant'oltre
fuor della turba ti spingesti? Forse
meco agogni pugnar perché su i Teucri 220
di Priamo speri un dì stender lo scettro?
Ma s'egli avvegna ancor che tu m'uccida,
ei non porrallo alle tue mani, ei padre
di più figli, e d'età sano e di mente:
o forse i Teucri, se mi metti a morte, 225
un eletto poder bello di viti
ti statuiro e di fecondi solchi?
Ma dura impresa t'assumesti, io spero;
ch'altra volta, mi par, ti pose in fuga
questa mia lancia. Non rammenti il giorno 230
che soletto ti colsi, e con veloce
corso dall'Ida ti cacciai lontano
dalle tue mandre? Tu volavi, e, mai
non volgendo la fronte, entro Lirnesso
ti riparasti. Col favore io poi 235
di Zeus e Palla la città distrussi,
e ne predai le donne, e tolta loro
la cara libertà, meco le trassi.
Gli Dei quel giorno ti scampâr; non oggi
lo faranno, cred'io, come t'avvisi. 240
Va, ritìrati adunque, io te n'assenno,
rientra in turba, né mi star di fronte,
se il tuo peggio non vuoi, ché dopo il fatto
anche lo stolto dell'error si pente.
Me co' detti atterrir come fanciullo 245
indarno tenti, Enea rispose; anch'io
so dir minacce ed onte, e l'un dell'altro
i natali sappiamo, e per udita
i genitori; ché né tu conosci
per vista i miei, ned io li tuoi. Te prole 250
dell'egregio Peleo dice la fama,
e della bella equòrea Teti. Io nato
di Afrodite mi vanto, e generommi
il magnanimo Anchise. Oggi per certo
o gli uni o gli altri piangeranno il figlio. 255
Ché veruno di noi di puerili
ciance contento non vorrà, cred'io,
separarsi ed uscir di questo arringo.
Ma se più brami di mia stirpe udire
al mondo chiara, primamente Zeus 260
Dardano generò, che fondamento
pose qui poscia alle dardanie mura.
Perocché non ancora allor nel piano
sorgean le sacre ilìache torri, e il molto
suo popolo le idèe falde copriva. 265
Di Dardano fu nato il re d'ogni altro
più opulente Erittonio. A lui tre mila
di teneri puledri allegre madri
le convalli pascean. Innamorossi
Borea di loro, e di destrier morello 270
presa la forma alquante ne compresse,
che sei puledre e sei gli partoriro.
Queste talor ruzzando alla campagna
correan sul capo delle bionde ariste
senza pur sgretolarle; e se co' salti 275
prendean sul dorso a lascivir del mare,
su le spume volavano de' flutti
senza toccarli. D'Erittonio nacque
Tröe re de' Troiani, e poi di Troe
generosi tre figli Ilo ed Assaraco, 280
e il deïforme Ganimede, al tutto
de' mortali il più bello, e dagli Dei
rapito in cielo, perché fosse a Zeus
di coppa mescitor per sua beltade,
ed abitasse con gli Eterni. Ad Ilo 285
nacque l'alto figliuol Laomedonte;
Titone a questo e Priamo e Lampo e Clìzio
e l'alunno di Ares Icetaone:
Assaraco ebbe Capi, e Capi Anchise,
mio venitore, e Priamo il divo Ettore. 290
Ecco il sangue ch'io vanto. Il resto scende
tutto da Zeus che ne' petti umani
il valor cresce o scema a suo talento,
potentissimo iddio. Ma tregua omai
fra l'armi a borie fanciullesche. Entrambi 295
possiam d'ingiurie aver dovizia e tanta
che nave non potrìa di cento remi
levarne il pondo. De' mortai volubile
e la lingua, e ne piovono parole
d'ogni maniera in largo campo, e quale 300
dirai motto, cotal ti fia rimesso.
Ma perché d'onte tenzonar siccome
stizzose femminette che nel mezzo
della via si rabbuffano, col vero,
spinte dall'ira, affastellando il falso? 305
Me qui pronto a pugnar non distorrai
colle minacce dal cimento. Or via
alle prove dell'asta. - E così detto,
la ferrea lancia fulminò nel vasto
terribile brocchier che dell'acuta 310
cuspide al picchio rimugghiò. Turbossi
il Pelide, e dal petto colla forte
mano lo scudo allontanò, temendo
nol trafori la lunga ombrosa lancia
del magnanimo Enea. Di mente uscito 315
eragli, stolto! che mortal possanza
difficilmente doma armi divine.
Non ruppe la gagliarda asta troiana
il pavese achillèo, ché la rattenne
dell'aurea piastra l'immortal fattura, 320
e sol due falde ne forò di cinque
che Efesto v'avea l'una sull'altra
ribattute; di bronzo le due prime,
le due dentro di stagno, e tutta d'oro
la media che il crudel tronco represse. 325
Vibrò secondo la sua lunga trave
il Pelide, e colpì dell'inimico
l'orbicolar rotella all'orlo estremo,
ove sottil di rame era condotta
una falda, e sottile il sovrapposto 330
cuoio taurino. La pelìaca antenna
da parte a parte lo passò. La targa
rimbombò sotto il colpo: esterrefatto
rannicchiossi e scostò dalla persona
Enea lo scudo sollevato; e l'asta, 335
rotti i due cerchi che il cingean, sul dorso
trasvolò furïosa, e al suol si fisse.
Scansato il colpo, si ristette, e immenso
duol di paura gli abbuiò le luci,
sentita la vicina asta confitta. 340
Pronto il Pelide allor tratta la spada,
con terribile grido si disserra
contro il nemico. Era nel campo un sasso
d'enorme pondo che soverchio fôra
alle forze di due quai la presente 345
età produce. Diè di piglio Enea
a questo sasso, e agevolmente solo
l'agitando, si volse all'aggressore.
E nel vulcanio scudo o nell'elmetto
avventato l'avrìa, ma senza offesa, 350
e a lui per certo del Pelide il brando
togliea la vita, se di ciò per tempo
avvistosi Poseidone, ai circostanti
celesti non facea queste parole:
Duolmi, o numi, d'assai del generoso 355
Enea che domo dal Pelide all'Ade
irne tosto dovrà, dalle lusinghe
mal consigliato dell'arciero Apollo.
Insensato! ché nulla incontro a morte
gli varrà questo Dio. Ma della colpa 360
altrui la pena perché dee patirla
quest'innocente, liberal di grati
doni mai sempre agl'Immortali? Or via
moviamo in suo soccorso, e s'impedisca
che il Pelide l'uccida, e che di Zeus 365
l'ire risvegli la sua morte. I fati
decretâr ch'egli viva, onde la stirpe
di Dardano non pera interamente,
di lui che Zeus innanzi a quanti figli
alvo mortal gli partorìo, dilesse: 370
perocché da gran tempo egli la gente
di Priamo abborre, e su i Troiani omai
d'Enea la forza regnerà con tutti
de' figli i figli e chi verrà da quelli.
Pensa tu teco stesso, o re Poseidone, 375
Era rispose, se sottrarre a morte
Enea si debba, o consentir, malgrado
la sua virtude, che lo domi Achille.
Quanto a Pallade e a me, presenti i numi,
noi giurammo solenne giuramento 380
di non mai da' Troiani la ruina
allontanar, no, s'anco tutta in cenere
Troia cadesse tra le fiamme achee.
Udito quel parlar, corse per mezzo
alla mischia e al fragor delle volanti 385
aste Poseidone, e giunto ove d'Enea
e dell'inclito Achille era la pugna,
una sùbita nube intorno agli occhi
del Pelide diffuse, e dallo scudo
del magnanimo Enea svelto il ferrato 390
frassino, al piede del rival lo pose.
Indi spinse di forza, e dalla terra
levò sublime Enea, che preso il volo
dalla mano del Dio, varcò d'un salto
molte file d'eroi, molte di cocchi, 395
e all'estremo arrivò del rio conflitto,
ove in procinto si mettean di pugna
de' Càuconi le schiere. Ivi davanti
gli si fece Poseidone, e così disse:
Sconsigliato! qual Dio contra il Pelide 400
ti sedusse a pugnar, contra un guerriero
di te più caro ai numi e più gagliardo?
S'altra volta lo scontri, ti ritira,
onde anzi tempo non andar sotterra.
Morto Achille, combatti audacemente, 405
ché nullo Acheo t'ucciderà. - Disparve
dopo questo precetto, e alle pupille
del Pelide sgombrò la portentosa
caligine: tornâr tutto ad un tempo
chiari al guardo gli obbietti, onde fremendo 410
nel magnanimo cor: Numi, diss'egli,
quale strano prodigio? Al suol giacente
veggo il mio telo, ma il guerrier non veggo
in cui bramoso di ferir lo spinsi.
Dunque è caro a' Celesti ei pur davvero 415
questo figlio d'Anchise! ed io stimava
falso il suo vanto. E ben si salvi. Andata
gli sarà, spero, di provarsi meco
in avvenir la voglia, assai felice
d'aver posta in sicuro oggi la vita. 420
Orsù, l'acheo valor riconfortato,
facciam degli altri Teucri esperimento.
Sì dicendo, saltò dentro alle file
e tutti rincuorò: Prestanti Achei,
non vogliate discosto or più tenervi 425
da' nemici: guerrier contra guerriero
scagliatevi, e pugnate ardimentosi.
Per forte ch'io mi sia, m'è dura impresa
sol con tutti azzuffarmi ed inseguirli.
Ares pure immortal Dio né Palla 430
a tanti armati reggerìan. Ma quanto
queste man, questi piedi e questo petto
potranno, io tutto vel consacro, e giuro
di non posarmi un sol momento. Io vado
a sfondar quelle file, e non fia lieto 435
chi la mia lancia scontrerà, mi penso.
Così gli sprona; e minaccioso anch'esso
Ettore i suoi conforta, e contro Achille
ir si promette: Del Pelide, o prodi,
non temete le borie: anch'io saprei 440
pur co' numi combattere a parole,
coll'asta, no, ch'ei son più forti assai.
Né tutti avran d'Achille i vanti effetto:
se l'un pieno gli andrà, l'altro gli fia
tronco nel mezzo. Ad incontrarlo io vado 445
s'anco la man di fuoco egli s'avesse,
sì, di fuoco la man, di ferro il polso.
Da questo dire accesi, alto levaro
l'aste avverse i Troiani, e con immenso
romor le forze s'accozzâr. Si strinse 450
allora Apollo al teucro duce, e disse:
Ettore, non andar contro il Pelide
fuor di fila: ma tienti entro la schiera,
e dalla turba lo ricevi, e bada
che di brando o di stral non ti raggiunga. 455
Udì del Dio la voce, e sbigottito
nella turba de' suoi l'eroe s'immerse.
Ma di gran forza il cor vestito Achille
con gridi orrendi si balzò nel mezzo
de' Troiani, e prostese a prima giunta 460
di numerose genti un condottiero,
il prode Ifizïon che ad Otrintèo
guastator di città nell'opulento
popolo d'Ide sul nevoso Tmolo
Näide ninfa partorì. Venìa 465
costui di punta a furia. Il divo Achille
coll'asta a mezzo capo lo percosse,
e in due lo fésse. Rimbombando ei cadde,
ed orgoglioso il vincitor sovr'esso
esclamò: Tremendissimo Otrintìde, 470
eccoti a terra: e tu sepolcro umìle
in questa sabbia avrai, tu che superba
cuna sortisti alla gigèa palude
ne' paterni poderi appo il pescoso
Illo e dell'Ermo il vorticoso flutto. 475
Così l'oltraggia; della morte il buio
coprì gli occhi al meschino, e de' cavalli
l'ugna e li chiovi delle rote achee
il lasciâr nella calca infranto e pesto.
Ferì dopo costui Demoleonte, 480
d'Antenore figliuolo e valoroso
combattitore; lo ferì sul polso
della tempia, né valse alla difesa
la ferrea guancia del polito elmetto.
L'impetuosa punta spezzò l'osso, 485
sgominò le cervella, che di sangue
tutte insozzârsi, e così giacque il fiero.
Gittatosi dal carro, Ippodamante
dinanzi gli fuggìa. L'asta d'Achille
lo raggiunse nel tergo. L'infelice 490
esalava lo spirto, e mugolava
come tauro che a forza innanzi all'are
d'Elice è tratto da garzon robusti,
e ne gode Poseidone: a questa guisa
muggìa quell'alma feroce, e spirava. 495
S'avventò dopo questi a Polidoro.
Era costui di Priamo un figlio: il padre
gli avea difeso di pugnar, siccome
il minor de' suoi nati e il più diletto,
che tutti al corso li vincea. Di questa 500
sua virtute di piè con fanciullesca
demenza vanitoso egli tra' primi
combattenti correa senza consiglio,
finché morto vi cadde. Il colse a tergo
in quei trascorsi Achille ove la cinta 505
dall'auree fibbie s'annodava, e doppio
scontravasi l'usbergo. Il telo acuto
rïuscì di rimpetto all'ombilico:
ululò quel trafitto, e su i ginocchi
cascò: curvato colla man compresse 510
le intestina, e mortal nube lo cinse.
Come in quell'atto miserando il vide
il suo germano Ettore, una profonda
nube di duolo gl'ingombrò le luci,
né gli sofferse il cor di più ristarsi 515
dentro la turba; ma crollando immensa
una lancia, volò contro il Pelide
come fiamma ondeggiante. A quella vista
saltò di gioia Achille, e baldanzoso,
Ecco l'uom, disse, che nel cor m'aperse 520
sì gran piaga, colui che il mio m'uccise
caro compagno: or più non fuggiremo
l'un l'altro a lungo pei sentier di guerra.
Disse, e al divino Ettore bieco guatando,
gridò: T'accosta, ché al tuo fin se' giunto. 525
Non pensar, gli rispose imperturbato
l'eroe troiano, non pensar di darmi
per minacce terror come a fanciullo,
ché oprar so l'armi della lingua io pure,
e conosco tue forze, e mi confesso 530
men valente di te: ma in grembo ai numi
sta la vittoria, ed avvenir può forse
ch'io men prode dal sen l'alma ti svelga.
Affilata ha la punta anche il mio telo.
Disse, e l'asta scagliò: ma dal divino 535
petto d'Achille la svïò Atena
con levissimo soffio. Risospinta
dall'alito immortal, l'asta ritorno
fece ad Ettore, e al piè gli cadde. Allora
con orribile grido disserrossi 540
furibondo il Pelide, impazïente
di trucidarlo. Ma gliel tolse Apollo,
lieve impresa ad un Dio, tutto coprendo
di folta nebbia Ettore. Tre volte Achille
coll'asta l'assalì, tre volte un vano 545
fumo trafisse, e con furor venendo
il divino guerriero al quarto assalto,
minaccioso tuonò queste parole:
Cane troian, di nuovo ecco fuggisti
l'estremo fato che t'avea raggiunto, 550
e Febo ti scampò, quel Febo a cui
tra il sibilo dei dardi alzi le preci.
Ma s'altra volta mi darai nell'ugna,
e se a me pure assiste un qualche iddio,
ti finirò. Di quanti in man frattanto 555
mi verranno de' tuoi farò macello.
Così dicendo, a Drïope sospinse
sotto il mento la picca, e questi al piede
gli traboccò. Così lasciollo, e ratto
scagliandosi a Demùco, un grande e prode 560
di Filètore figlio, alle ginocchia
lo ferì, l'arrestò, poscia col brando
l'alma gli tolse. Dopo questi Dardano
e Laògono assalse, illustri figli
di Bïante, e travolti ambo dal cocchio 565
l'un di lancia atterrò, l'altro di spada.
Poi distese il troiano Alastorìde
che a' suoi ginocchi supplice cadendo
chiedea la vita in dono, ed ai conformi
suoi verd'anni pietà. Stolto! ché vano 570
il pregar non sapea, né quanto egli era
mite no, ma feroce. In umil atto
gli abbracciava i ginocchi, ed altro dire
volea pure il meschin; ma quegli il ferro
nell'èpate gl'immerse, che di fuori 575
riversossi, e di sangue un nero fiume
gli fe' lago nel seno. Venne manco
l'alma, e gli occhi coprì di morte il velo.
Indi Mulio investendo, entro un'orecchia
gli fisse il telo, e uscir per l'altra il fece. 580
Ad Echeclo d'Agenore un fendente
calò di spada al mezzo della testa,
e la spaccò; si tepefece il grande
acciar nel sangue, e la purpurea morte
e la Parca possente i rai gli chiuse. 585
Colse dopo di punta nella destra
Deucalïon là dove i nervi vanno
del cubito ad unirsi. Intormentito
nella mano il guerrier vedeasi innanzi
la morte, e passo non movea. Gli mena 590
un mandritto il Pelide alla cervice,
netto il capo gli mozza, e via coll'elmo
lungi il butta. Schizzâr dalle vertèbre
le midolle, e disteso il tronco giacque.
Rigmo poscia aggredì, Rigmo dai pingui 595
tracii campi venuto, e di Pirèo
generoso figliuol. Lo colse al ventre
il tessalico telo, e giù dal cocchio
lo scosse. Allor diè volta ai corridori
l'auriga Areitoo; ma del Pelide 600
l'asta il giunge alle spalle, e capovolto
tra i turbati cavalli lo precipita.
Quale infuria talor per le profonde
valli d'arido monte un vasto fuoco
che divora le selve, e in ogni lato 605
l'agita e spande di Garbino il soffio;
tale in sembianza d'un irato iddio
d'ogni parte si volve furibondo
il Pelide, ed insegue e uccide e rossa
fa di sangue la terra. E come quando 610
nella tonda e polita aia il villano
due tauri accoppia di ben larga fronte
di Cerere a trebbiar le bionde ariste,
fuor del guscio in un subito saltella
di sotto al piede de' mugghianti il grano: 615
del magnanimo Achille in questa forma
gl'immortali cornipedi sospinti
i cadaveri calcano e gli scudi.
L'orbe tutto del cocchio e tutto l'asse
gronda di sangue dalle zampe sparso 620
de' cavalli a gran sprazzi e dalle rote.
Desìo di gloria il cuor d'Achille infiamma,
e l'invitte sue mani tutte sozze
son di polve, di tabe e di sudore.