Biblioteca:Esiodo, Teogonia - 36 Zeus stermina Tifone

Ora, poiché dal cielo scacciati ebbe Zeus i Titani,
l'immane Gea, unita d'amore col Tartaro, a luce
diede, mercé d'Afrodite, Tifone fortissimo: aveva
cento gagliarde mani, disposte ad ogni opera, e cento
infaticabili piedi di Nume gagliardo; e di serpe
aveva cento capi, d'orribile drago, e vibrava
cento livide lingue da tutte le orribili teste,
sotto le sopracciglia di fuoco: brillavano gli occhi,
ardevan fiamme , quando guardava, da tutte le teste.
E avevan tutte quante favella le orribili teste,
voci emettevan meravigliose, di tutte le specie.
Ora parlavan sí da intenderle i Numi: muggiti
alti mandavan poi di tauro, d'immenso vigore,
di fiera voce; poi di leone dall'animo crudo;
poscia sembravan guaiti di cuccioli, e a udirli stupivi:
eran boati poi, n'echeggiavano l'alpi sublimi.
E quel dí stesso avrebbe compiuta un'impresa fatale,
e avrebbe avuto impero sugli uomini tutti e sui Numi,
senza l'accorto consiglio del padre degli uomini e i Numi.
Emise un tuono secco, terribile; e intorno la Terra
diede un orrendo rimbombo, e il Cielo che immenso sovrasta,
e il Ponto, e le fluenti d'Oceano, e gli abissi terrestri;
e il grande Olimpo tutto tremò sotto i piedi immortali,
mentre moveva il Signore. Die' gemiti lunghi la Terra,
ed un incendio flagrò sul mar di viola, che acceso
fu dal baleno insieme, dal tuono, dall'orrido fuoco,
da folgori abbaglianti, da venti, da fiammee procelle.
Ed estuava tutta la Terra, col Cielo e col Mare,
e furïavano in giro su tutta la spiaggia i gran flutti,
sotto la spinta dei Numi, tutto era un tremuoto infinito.
Ade tremò, che impera sui morti distrutti, i Titani
che sono intorno a Crono tremaron nel Tartaro, quando
quella tremenda zuffa scoppiò, quel fragore incessante.
E Zeus, poi che armò l'ira sua, poi che l'armi ebbe prese,
il tuono col baleno, col folgore fumido ardente,
con un gran lancio un colpo scagliò dall'Olimpo; e le teste
intorno intorno tutte bruciò di quell'orrido mostro.
E quello, poi che fu domato, spezzato dai colpi,
piombò giú mutilato, die' gemiti lunghi la Terra.
Ed una vampa sprizzò dal Dio folgorato percosso
nelle selvose convalli dell'Etna tutto aspro di rupi.
E lungo tratto ardea per quel fiato divino la terra
dall'ampio dorso, e al pari si liquefaceva di stagno
quando lo scaldano dentro nei cavi crogiòli i garzoni,
oppur di ferro, ch'è fra tutti i metalli il piú duro,
quando in convalli montane lo doma col rabido fuoco
entro la terra divina, lo liquefa Efesto l'industre.
Cosí la terra al vampo del fuoco si liquefaceva.
E quindi, lo scagliò, furïoso, nel Tartaro immenso.