Biblioteca:Esiodo, Teogonia - 01 Proemio

Cominci il canto mio dalle Muse Eliconie, che sopra
l'eccelse d'Elicona santissime vette han soggiorno,
e con i molli pie' d'intorno alla cerula fonte
danzano, intorno all'ara del figlio possente di Crono.
Esse, poiché nel Permesso lavate han le tenere membra,
o d'Ippocrene nell'acque, oppur del santissimo Olmeo,
intreccian d'Elicona sui vertici sommi, carole
agili, grazïose: ch'è grande virtú nei lor piedi.
Di qui balzando poi, nascoste entro veli di nebbie,
muovon di notte, attorno spargendo la morbida voce,
per esaltar nell'inno l'Egioco Zeus, e Era
la venerabile Dea, che muove con sandali d'oro,
e la figliuola di Zeus signore dell'Egida, e Atena
Glaucopide, e Apollo, e Artemide vaga di frecce,
e Poseidone, il Dio che cinge, che scuote la terra
e Teti veneranda, Afrodite dagli occhi fulgenti,
Dione bella, ed Ebe dall'aurea ghirlanda, Leto,
Giapeto, Crono acuto pensiero, ed Eos e Selene
lucida, ed Elios grande, e Oceano immenso, con Gea,
con Nyx nera, e tutta la stirpe dei Numi immortali.
Quelle che il canto bello d'Esiodo ispirarono un giorno,
mentr'egli pasturava le greggi sul santo Elicona,
quelle medesime Dive narrarono a me ciò ch'io narro,
le Muse Olimpie, figlie di Zeus, dell'Egida sire.
«Pastori avvezzi ai campi, gran bíndoli, pance e null'altro,
favole molte sappiamo spacciar ch'ànno aspetto di vero;
ma poi, quando vogliamo, sappiamo narrare anche il vero».
Disser del sommo Zeus cosí le veridiche Figlie;
e a me diedero un ramo di florido alloro, stupendo,
ch'io ne tagliassi uno scettro, m'infusero in seno la voce
divina, ond'io potessi cantare il presente e il futuro,
mi disser di cantare la stirpe dei Numi immortali,
e loro stesse, sempre, del canto al principio e alla fine;
ma perché mai qui sto cianciando di rupi e di quercie?
Su', dalle Muse dunque comincia, che allegran di Zeus
l'eccelsa mente, quando intonano gl'inni in Olimpo,
e dicono le cose che furono e sono e saranno,
con le parole espresse. Dal labbro alle Dive, la voce
infaticabile scorre, soave. La casa di Zeus
è tutta un riso, allorché s'effonde la voce di giglio
di queste Dive: echeggia la vetta nevosa d'Olimpo,
echeggiano le case dei Superi. Ed esse, spargendo
l'ambrosia voce, prima l'origine cantan dei Numi,
cui generò da prima Gea con Urano profondo:
cosí nacquer gli Dei, che largiscono agli uomini i beni.
E Zeus cantan poi, degli uomini padre e dei Numi,
e quanto egli è piú forte dei Numi, quanto è piú possente.
Cantan degli uornini poi la progenie, poi dei Giganti.
Allietano cosí la mente di Zeus in Olimpo
le Olimpie Muse, figlie di Zeus, dell'Egida sire:
le generava nella Pieria al padre Cronide
Mnemosine, che quivi regnava sui colli di Eleutere:
ed esse dànno oblio nei mali, e riposo dai crucci.
Con lei Zeus dal sonno profondo s'uní nove notti,
salendo - e nulla i Numi ne seppero - il talamo sacro.
E quando un anno poi fu trascorso, e tornâr le stagioni,
furon distrutti mesi, compiuti molteplici giorni,
essa, non molto lungi dai picchi nevosi d'Olimpo,
nove fanciulle die' a luce, di mente concorde, che tutte
amano il canto, e scevro d'affanni hanno il cuore nel petto.
Intreccian quivi molli carole, quivi hanno le case;
e presso hanno soggiorno le Cariti e il soave Imero,
sempre in diletto. Ed esse, l'amabile voce effondendo,
cantan di tutti quanti le leggi, ed i santi costumi
dei Numi, alte accordando le voci dolcissime al canto.
Mossero allora all'Olimpo, levando l'ambrosie canzoni
liete di loro voci. D'intorno echeggiava a quell'inno
la negra terra, ed era soave dei piedi la romba,
mentre moveano al padre Cronide signore del cielo,
che regge il tuono in puguo, che regge la folgore ardente,
poscia che il padre Crono domò con la forza, e a ciascuno
degli Immortali assegnò, con equa ragione, gli onori.
Cosí cantâr le Muse che hanno soggiorno in Olimpo,
le nove figlie nate da Zeus signore possente,
Tersicore, Polinnia, Melpomene, Urania,Talia,
Euterpe, Erato, Clio, Calliope: è questa fra tutte
egregia, essa dei re venerandi mai sempre compagna.
Quello dei re nutriti da Zeus, cui rendono onore,
cui miran, quando nasce, le figlie di Zeus possente,
a cui versano sopra la lingua una dolce rugiada,
e le parole di bocca gli sgorgan piú dolci del miele,
guardano quello tutte le genti, quando esso le leggi
parte con equa giustizia: quand'egli securo favella,
súbito seda con saggia parola una rissa anche grave.
Per questo i saggi re ci sono: perché, quando incombe
dànno sui popoli, sanno con miti, con sagge parole,
in assemblea, di leggeri, parlando, rivolger le sorti.
Se fra le genti va, l'onorano al pari d'un Nume,
con reverenza grande: ch'ei muove fra tutti distinto.
Il sacro dono è questo che porgon le Muse ai mortali,
ché, per voler delle Muse, d'Apollo che lungi saetta,
cantori e citaristi divengono gli uomini in terra,
i re per volontà di Zeus, Beato il mortale
caro alle Muse: a lui fiorisce dai labbri la voce:
e, pur se alcuno ha cruccio nel cuore per lutto recente,
se di cordoglio ha pieno lo spirito, quando il cantore
ministro delle Muse, le gesta degli uomini antichi
canta, e i beati Celesti che reggon d'Olimpo le sedi,
súbito le sventure dimentica, piú non ricorda
i lutti; e delle Dive ben presto lo svagano i doni.
Salve, figlie di Zeus, l'amabile canto a me date;
e celebrate la stirpe dei Numi che vivono eterni,
che nacque da Gea, da Urano gremito di stelle,
e dalla buia Nyx: nutriti altri furon da Ponto.
E dite come prima Gea ebbe origine, e i Numi
nacquero, e i Fiumi, e il Mare che irato si gonfia, infinito,
e sfavillanti gli astri nell'alto, e l'amplissimo Cielo.
E come i Numi nacquer da loro, datori di beni,
e come fêr dei beni le parti, ed ottenner gli onori,
e come ebbero prima l'Olimpo dai molti recessi.
Ditemi questo, o Muse, che avete dimora in Olimpo,
sin dall'origine, dite chi primo di lor venne a luce.