Biblioteca:Cinque Canti, Canto III

I

D'ogni desir che tolga nostra mente
dal dritto corso et a traverso mande,
non credo che si trovi il più possente
né il più commun di quel de l'esser grande:
brama ognun d'esser primo, e molta gente
aver dietro e da lato, a cui commande;
né mai gli par che tanto gli altri avanzi,
che non disegni ancor salir più inanzi.

II

Se questa voglia in buona mente cade
(ch'in buona mente ha forza anco il desire),
l'uom studia che virtù gli apra le strade,
che sia guida e compagna al suo salire:
ma se cade in ria mente (ché son rade
che dir buone possiam senza mentire),
indi aspettar calunnie, insidie e morte,
et ogni mal si può di piggior sorte.

III

Gano, non gli bastando che maggiore
non avea alcuno in corte, eccetto Carlo,
era tanto insolente, che minore
lui vorria ancora, e avea disio di farlo;
et or che sopranatural favore
si sentia da colei che potea darlo,
oltra il desir avea speme e disegno
fra pochi giorni d'occupargli il regno.

IV

E pur che fosse il suo desir successo,
non saria dal fellon, senza rispetto
che tra gli primi suoi baroni messo
Carlo l'avea di luogo infimo e abietto,
stato ferro né tòsco pretermesso,
né scelerato alcun fatto né detto;
e mille al giorno, non che un tradimento,
ordito avria per conseguir suo intento.

V

Carlo tutto il successo de la guerra
narrò senza sospetto al Maganzese,
e gli mostrò ch'avria in poter la terra
prima ch'a mezo ancor fosse quel mese.
Questo nel petto il traditor non serra,
ma tosto a Cardoran lo fa palese;
e per un suo gli manda a dar consiglio
come possa schifar tanto periglio

VI

Da quella volpe il re boeme instrutto,
mandò un araldo in campo l'altro giorno,
che così disse a Carlo, essendo tutto
corso ad udir il populo d'intorno:
— Il mio signor, da la tua fama indutto,
o imperador d'ogni virtute adorno,
per crudeltà non pensa né avarizia
ch'abbi raccolto qui tanta milizia;

VII

né che tu metta il fin di tua vittoria
in averli la vita o il stato tolto,
ma solo in aver vinto; ché tal gloria
più che sua morte o che 'l suo aver val molto
acciò che il nome tuo ne la memoria
del mondo viva e mai non sia sepolto:
ché contra ogni ragion saresti degno,
come tu sei, se fessi altro disegno.

VIII

Ma tu non guardi fosse che l'effetto
tutto contrario appar a quel che brami:
tu brami d'esser glorioso detto,
e con l'effetto tuttavia t'infami.
Che tu sia entrato nel nostro distretto
con cento mille armati, gloria chiami;
ma quanto ella sia grande estimar déi,
che noi siamo a fatica un contra sei.

IX

Milziade e Temistocle converse
a parlar in suo onor tutte le genti,
perché con pochi armati, questi Xerse,
quel vinse Dario, in terra e in mar possenti.
Vincer pochi con molti, mai tenerse
non sentisti fra l'opere eccellenti.
S'in te è valor, pon giù il vantaggio, e poi
vien alla prova, e vincine, se puoi.

X

Da sol a sol la pugna t'offerisce,
da dieci a dieci, o voi da cento a cento,
il mio signor; e accresce e minuisce,
secondo che accettar tu sei contento:
con patto che se Dio lui favorisce,
sì che tu resti vinto o preso o spento,
che tu gli abbi a rifar e danni e spese,
e tornar col tuo campo in tuo paese;

XI

né chi la Francia e chi l'Imperio regge
fino a cento anni lo guerreggi mai:
ma se tu vinci lui, torrà ogni legge
ch'imporre a senno tuo tu gli vorrai.
Il buon pastor pon l'anima pel gregge:
essendo tu quel re di che fama hai,
la tua persona o di pochi altri arrisca,
acciò così gran popul non perisca. —

XII

Così disse lo araldo, né risposta
lo imperador gli diede allora alcuna;
ma da la moltitudine si scosta
e i consiglieri suoi seco raguna,
ché lor sentenzie sopra la proposta
de l'araldo udir vuol ad una ad una.
Il primo fu Turpin che consigliasse
che l'invito del Barbaro accettasse,

XIII

non già da sol a sol, ma in compagnia
di quattro o sei de' suoi guerrier più forti;
dei quali egli esser uno si offeria.
Così Namo et Uggier par che conforti;
e che fra dieci dì la pugna sia,
o quanto può che 'l termine più scorti:
perché, successo che lor sia ben questo,
possano volger poi l'animo al resto.

XIV

Era in quei cavallier tanta arroganza
pei fortunati antichi lor successi,
che tutti in quella impresa, con baldanza
di restar vincitor, si sarian messi.
Poi disse il suo parer quel di Maganza,
che la pugna accettar pur si dovessi;
ma non però venir a farla inante
che Rinaldo ci fosse o quel d'Anglante;

XV

che ci fosse Olivier con ambi i figli,
Ruggier et alcun altro dei famosi:
ché quando senza questi ella si pigli,
fòran di Carlo i casi perigliosi.
— Tenete voi sì privi di consigli
gli inimici, — dicea — che fosser osi
di domandar a par a par battaglia,
se non han gente ch'al contrasto vaglia?

XVI

Se non ci intervenisse la corona
di Francia, non avrei tanti riguardi;
benché, né senza ancor, di scelta buona
si de' mancar in tòrre i più gagliardi:
ma dovendo venirci il re in persona,
come a bastanza potremo esser tardi
a darli, con consiglio ben maturo,
compagnia con la qual sia più sicuro?

XVII

Io non vi contradico che valenti
cavallier qui non sian come coloro
che nominati v'ho per eccellenti;
ma non sappiàn così le prove loro.
Questo luogo non è da esperimenti
di chi sia, al paragon, di rame o d'oro:
vogliàn di quei che cento volte esperti,
de la virtute lor n'han fatti certi. —

XVIII

E seguitò mostrando, con ragioni
di più efficacia ch'io non so ridire,
che non doveano senza i dui campioni,
lumi di Francia, a tal pruova venire;
e la sua vinse l'altre opinioni,
che la pugna si avesse a diferire
fin che venisse a così gran bisogna
l'uno d'Italia e l'altro di Guascogna.

XIX

Queste parole et altre dicea Gano
per carità non già del suo signore;
ma di vietar che non gli andasse in mano
quella città studiava il traditore,
e tanto prolungar, che Cardorano
l'aiuto avesse che attendea di fuore:
in somma, il suo parer parve perfetto,
e fu per lo miglior di tutto eletto.

XX

Che dieci guerrier fossero, si prese
conclusion, pur come Gano volse;
e da' dieci di maggio al fin del mese
di giugno un lungo termine si tolse.
In questo mezo si levar le offese,
e quello assedio tanto si disciolse,
che Praga potea aver di molte cose
che fossino alla vita bisognose.

XXI

Nuove intanto venian de l'apparecchio
che l'Ungaro facea d'armata grossa;
ma sempre Gano a Carlo era all'orecchio,
che dicea: — Non temer che faccia mossa. —
Io lessi già in un libro molto vecchio,
né l'auttor par che sovvenir mi possa,
ch'Alcina a Gano un'erba al partir diede,
che chi ne mangia fa ch'ognun gli crede.

XXII

Quella mostrò nel monte Sina Dio
a Moise suo, sì che con essa poi
il popul duro fece umile e pio,
e ubidiente alli precetti suoi.
Poi la mostrò il demonio a Macon rio,
a perdizion degli Afri e degli Eoi:
la tenea in bocca predicando, e valse
ritrar chi udiva alle sue leggi false.

XXIII

Gano, avendo già in ordine l'orsoio,
di sì gran tela apparecchiò la trama;
e quel demon che d'uno in altro coio
si sa mutar, a sé da l'anel chiama.
— Vertunno, — disse — di disir mi moio
di fornir quel che da me Alcina brama;
e pensando la via, veggio esser forza
che d'alcun ch'io dirò tu pigli scorza. —

XXIV

E le parole seguitò, mostrando
che tramutar s'avea prima in Terigi:
Terigi che scudiero era d'Orlando,
venuto da fanciul ai suo' servigi;
e dopo in altre facce, e seminando
dovea gir sempre scandali e litigi.
Presa che di Terigi ebbe la forma,
di quanto avesse a far tolse la norma.

XXV

Di sua mano le lettere si scrisse
credenzial, come dettolli Gano;
che, con stupor vedendole, poi disse
Orlando, e Carlo, ch'eran di sua mano.
Postole il sigil sopra, dipartisse
Vertunno, e col signor di Mont'Albano,
ch'era a campo a Morlante, ritrovosse
prima che giunto al fin quel giorno fosse.

XXVI

Presso a Morlante avea Rinaldo, e sotto
il vicin monte, avuto aspra battaglia;
et in essa lo esercito avea rotto
de li nimici, e morto e messo a taglia.
Unuldo ne la terra era ridotto,
e Rinaldo gli avea fatto serraglia,
pien di speranza, in uno assalto o dui,
d'aver in suo poter la terra e lui.

XXVII

Veduto il viso et il parlar udito,
che di Terigi avean chiara sembianza,
Rinaldo fa carezze in infinito
al messaggier del conte di Maganza:
che sia d'Orlando, e quello avea sentito
per fama, gli dimanda con instanza;
come abbia a piè de l'Alpi, et indi appresso
Vercelli, in fuga il Longobardo messo.

XXVIII

Come presente alle battaglie stato
fosse il demonio, gli facea risposta;
e la lettera intanto, che portato
di credenza gli avea, gli ebbe in man posta.
Quel l'apre e legge; e lui per man pigliato,
da chi lo possa udir seco discosta.
Vertunno, prima ch'altro incominciasse,
di petto un'altra lettera si trasse.

XXIX

Poi disse: — Il cugin vostro mi commise
ch'io vi facessi legger questa appresso. —
Rinaldo mira le note precise,
che gli paion di man di Carlo istesso;
il qual Orlando di Boemia avise
d'esser pentito senza fin, che messo
così potente esercito abbia in mano
de l'audace signor di Mont'Albano:

XXX

però che, vinto Unuldo (come crede
che vincer debbia) e toltoli Guascogna,
egli d'Unuldo esser vorrà l'erede,
ché crescer stato a Mont'Alban agogna;
e la sospizion c'ha de la fede
di Rinaldo corrotta, non si sogna:
in somma, par che sia disposto Carlo,
per forza o per amor, quindi levarlo.

XXXI

Ma che prima tentar vuol per amore:
finger ch'al maggior uopo lo dimande
per un dei dieci il cui certo valore
abbatta a Cardoran l'orgoglio grande;
e vuol per questo che dia un successore
all'esercito c'ha da quelle bande;
e che disegna mai più non gli porre
governo in man, se gli può questo tòrre.

XXXII

Vuol ch'Orlando gli scriva ch'esso ancora
serà in questa battaglia un degli eletti,
e gl'insti che, rimossa ogni dimora,
veduto il successor venire, affretti.
Rinaldo, mentre legge, s'incolora
per ira in viso, e par che fuoco getti;
morde le labbia, or l'uno or l'altro; or geme,
e più che 'l mar quand'ha tempesta freme.

XXXIII

Letta la carta, il spirto gli soggiunge,
pur da parte d'Orlando: — Abbiate cura,
che se alla discoperta un dì vi giunge,
vi farà Carlo peggio che paura;
però che tuttavia Gano lo punge
che la corte di voi faccia sicura:
la qual, sì come dice egli, ogni volta
che voglia ve ne vien, sossopra è volta.

XXXIV

Al cugin vostro acerbamente duole
che 'l re tenga con voi questa maniera,
che cerchi, a instanza di chi mal vi vuole,
far parer vostra fé men che sincera;
e che più creda alle false parole
d'un traditor, ch'a tanta prova vera
che si vede di voi: ma dagli ingrati
son le più volte questi modi usati.

XXXV

Ché, quando l'avarizia gli ritiene
di render premio a chi di premio è degno,
studian far venir causa, e se non viene,
la fingon, per la quale abbiano sdegno;
e di esilio, di morte o d'altre pene,
in luogo di mercé, fanno disegno;
per far parer ch'un vostro error seguito
quel ben che far voleano abbia impedito.

XXXVI

Orlando, perché v'ama, e perché aspetta
il medesmo di sé fra pochi giorni,
che 'l re in prigion, Gano instigando, il metta
o gli dia bando o gli faccia altri scorni
(ché, come contra voi, così lo alletta
contra esso ancor), senza far più soggiorni
per me vi esorta a prender quel partito
ch'egli ha di tòr di sé già statuito:

XXXVII

che di quel mal che senza causa teme
facciate morir Carlo, come merta.
Prendete accordo con Unuldo, e insieme
con lui venite a fargli guerra aperta:
vegga se Gano, e se 'l suo iniquo seme,
contra il valor e la possanza certa
di Chiaramonte, e l'una e l'altra lancia
tanto onorata, può difender Francia. —

XXXVIII

E seguitò dicendoli che Orlando
prima favor occulto gli darebbe;
poscia in aiuto alla scoperta, quando
fosse il tempo, in persona li verrebbe.
Rinaldo avea grand'ira, et attizzando
il fraudolente spirto, sì l'accrebbe,
ch'allora allora pensò armar le schiere
e levar contra Carlo le bandiere;

XXXIX

poi diferì fin che arrivasse il messo
ch'alla pugna boemica il chiamasse,
e che sentisse commandarsi appresso
ch'in guardia altrui l'esercito lasciasse.
Quel che Gano gli avea quivi commesso,
Vertunno a fin con diligenzia trasse:
poi, con lettere nuove e nuovo aspetto,
venne a Marsiglia e fece un altro effetto.

XL

D'Arriguccio s'avea presa la faccia,
ch'era di Carlo un cavallaro antico:
egli scrive le lettere, egli spaccia
se stesso e chiude egli in la bolgia il plico:
l'insegna al petto e il corno al fianco allaccia,
e fu a Marsiglia in men ch'io non lo dico;
e le dettate lettere da Gano
pose a Ruggiero et alla moglie in mano.

XLI

Alla sorella di Ruggier, Marfisa,
mostrò che Carlo lo mandasse ancora,
come a tutti tre insieme, e poi divisa-
mente a ciascun da Carlo scritto fòra.
Sotto il nome del re Gano gli avisa
che navighi Ruggier senza dimora
ver' le colonne che Tirinzio fisse,
e sorga sopra la città d'Ulisse;

XLII

e Marfisa con gli altri da cavallo
si vada con Rinaldo a porre in schiera;
ché vinto Unuldo, come senza fallo
vederlo vinto in pochi giorni spera,
vuol ch'assalti Galizia e Portogallo;
né l'impresa esser può se non leggiera:
ché gli dà aiuto, passo e vettovaglia
Alfonso d'Aragon, re di Biscaglia.

XLIII

Appresso scrive all'animosa figlia
del duca Amon che stia sicuramente:
che né da terra né da mar Marsiglia
ha da temer di peregrina gente.
Se false o vere son non si consiglia,
né si pensa alle lettere altrimente:
Ruggier va in Spagna, Marfisa a Morlante,
resta a guardar Marsiglia Bradamante.

XLIV

L'imperadore, intanto, che le frode
non sa di Gano, e solo in esso ha fede,
di tutti gli altri amici il parere ode,
ma solamente a quel di Gano crede;
né cavallier, se non che Gano lode,
a far quella battaglia non richiede:
con lui consiglia chi si debba porre
nei luoghi onde gli due s'aveano a tòrre.

XLV

Quando Gano ha risposto, ogn'altro chiude
la bocca, né si replica parola.
In luogo di Rinaldo egli conclude
che mandi Namo; e l'intenzion è sola
perché Rinaldo, a cui le voglie crude
l'ira facea, lo impichi per la gola;
ché pensarà che sol lo mandi Carlo
per levarli l'esercito e pigliarlo.

XLVI

Consiglia che si lassi Baldovino
a governar in Lombardia le squadre;
il qual fratel d'Orlando era uterino,
nato, com'ho già detto, d'una madre;
cortese cavalliero e paladino,
e degno a cui non fosse Gano padre,
per consiglio del qual Carlo lo elesse
ch'all'imperio fraterno succedesse.

XLVII

Gli dieci eletti alla battaglia fòro
Carlo, Orlando, Rinaldo, Uggier, Dudone,
Aquilante, Grifone, il padre loro,
e con Turpino il genero d'Amone.
Fatta la elezione di costoro,
si spacciaro in diversa regione
prima gli avisi, e poi quei che ordinati
in luogo fur dei capitan chiamati.

XLVIII

Namo fu il primo, il qual, correndo in posta,
insieme con l'aviso era venuto.
Già Rinaldo sua causa avea proposta,
e dimandato alla sua gente aiuto;
che tanto in suo favor s'era disposta,
che, dai maggiori al populo minuto,
tutti affatto volean prima morire
che Rinaldo lasciar così tradire.

XLIX

Tra Rinaldo et Unuldo già fatt'era
accordo et amicizia, ma coperta.
Allo arrivar del duca di Baviera
Rinaldo, che la fraude avea per certa,
di sdegno arse e di còlera sì fiera,
che tre volte la man pose a Fusberta,
con voglia di chiavargliela nel petto;
pur (non so già perché) gli ebbe rispetto.

L

Ma spesso nominandol traditore,
e Carlo ingrato, e minacciandol molto
che lo faria impiccar in disonore
di Carlo, lo raccolse con mal volto.
Namo, a cui poco noto era l'errore
in che Vertunno avea Rinaldo involto,
mirando ove da l'impeto era tratto,
stava maraviglioso e stupefatto:

LI

ma magnanimamente gli rispose
che, traditor nomandolo, mentia.
Rinaldo, se non ch'uno s'interpose,
alzò la mano e percosso lo avria:
prender lo fece, et in prigion lo pose;
e tolto ch'ebbe Unuldo in compagnia,
le ville, le cittadi e le castella
dal re per forza e per amor rubella.

LII

E dovunque ritrovi resistenza
o dà il guasto o saccheggia o mette a taglia:
gli dà tutta Guascogna ubidienza,
e poche terre aspettan la battaglia.
Gan da Pontier, che n'ebbe intelligenza,
ché del tutto Vertunno lo raguaglia,
con lieto cor, ma con dolente viso,
fu il primo che ne diede a Carlo aviso.

LIII

Gano gli diè l'aviso, e poi che 'l varco,
come bramato avea, vide patente
di potersi cacciar a dire incarco
et ignominia del nimico absente,
sciolse la crudel lingua, e non fu parco
a mandar fuor ciò che gli venne in mente:
dei falli di Rinaldo, poi che nacque,
che fece o puoté far, nessuno tacque.

LIV

Come si arruota e non ritruova loco
né in ciel né in terra un'agitata polve,
come nel vase acqua che bolle al foco,
di qua di là, di su di giù si volve:
così il pensier gira di Carlo, e poco
in questa parte o in quella si risolve.
Provision già fatta nulla giova;
tutta lasciar conviensi, e rifar nuova.

LV

Se padre, a cui sempre giocondo e bello
fu di mostrarsi al suo figliuol benigno,
se lo vedesse incontra alzar coltello,
fatto senza cagione empio e maligno;
più maraviglia non avria di quello
ch'ebbe Carlo, vedendo in corvo il cigno
Rinaldo esser mutato, e contra Francia
volta senza cagion la buona lancia.

LVI

Quel ch'averria a un nocchier che si trovasse
lontano in mar, e fremer l'onde intorno,
tornar di sopra, e andar le nubi basse
vedesse negre et oscurarsi il giorno;
che mentre a divietar s'apparecchiasse
di non aver da la fortuna scorno,
il governo perdesse, o simil cosa
alla salute sua più bisognosa;

LVII

quel ch'averrebbe a una cittade astretta
da nimici crudel, privi di fede,
che d'alcun fresco oltraggio far vendetta
abbian giurato e non aver mercede;
che, mentre la battaglia ultima aspetta
e all'ultima difesa si provede,
vegga la munizione arsa e distrutta,
in ch'avea posto sua speranza tutta;

LVIII

quel ch'averria a ciascun che già credesse
d'aver condotto un suo desir a segno,
dove col tempo la fatica avesse,
l'aver, posto, gli amici, ogni suo ingegno;
e cosa nascer sùbito vedesse
pensata meno, e romperli il disegno:
quel duol, quell'ira, quel dispetto grave
a Carlo vien, come l'aviso n'have.

LIX

Or torna a Carlo il conte di Pontiero,
e gli dà un altro aviso di Marsiglia,
ch'indi sciolta l'armata avea Ruggiero
per uscir fuor del stretto di Siviglia,
né ad alcun avea detto il suo pensiero;
e certo, poi che questa strada piglia,
gli è manifesto che, voltando intorno,
si troverà sorto in Guascogna un giorno.

LX

E de la coniettura sua non erra:
perché Marfisa ad un medesmo punto
se n'era coi cavalli ita per terra,
et a Rinaldo avea potere aggiunto.
Or, se Carlo temea di questa guerra,
ché Rinaldo lo fa restar consunto;
quanto ha più da temer, se questi dui
di tal valor, si son messi con lui?

LXI

Gano con molta instanza lo conforta
che di Rinaldo tolga la sorella,
prima che di Provenza et Acquamorta
seco gli faccia ogni città rubella,
et al fratello apra quest'altra porta
d'entrar in Francia sin ne le budella;
ché ben deve pensar ch'ella il partito
piglierà del fratello e del marito.

LXII

E che mandasse sùbito a Ricardo,
ch'avea l'armata in punto, anco gli disse,
acciò che dal Fiamingo e dal Picardo
ne l'Atlantico mar ratto venisse;
et il rubello e truffator stendardo
di Ruggier inimico perseguisse,
che con tutte le navi s'avea, senza
sua commission, levato di Provenza;

LXIII

e che sùbito a Orlando paladino
con diligenza vada una staffetta
ad avisarlo, come avea il cugino
del perfido Aquitan preso la setta;
e ch'egli dia la gente a Balduino,
ripassi l'Alpi, e a Francia corra in fretta,
e con lui meni tutta quella schiera
che dianzi gli ha mandata di Baviera;

LXIV

e che tra via faccia cavalli e fanti,
quanti più può, da tutte le contrade;
non quelli sol che gli verranno inanti,
ma che constringa a darne ogni cittade,
altre mille, altre il doppio, altre non tanti,
come più e men avran la facultade:
e ch'egli dare il terzo gli volea
di questi che in Boemia seco avea.

LXV

Carlo pensava chi d'Orlando in vece,
e chi degli altri dui poner dovea
nella battaglia, che da diece a diece
dianzi promessa a Cardorano avea.
Come quel mulatiero, in somma, fece,
ch'avea il coltel perduto e non volea
che si stringesse il fodro vòto e secco,
e 'n luogo del coltel rimesse un stecco:

LXVI

così, in luogo d'Orlando e di Ruggiero
e di Rinaldo, fu da Carlo eletto
Ottone, Avolio e il frate Berlingiero:
ch'Avino infermo era già un mese in letto.
Gli dà consiglio il conte di Pontiero
che di Giudea si chiami Sansonetto,
per valer meglio, quando a tempo giugna,
che i tre figli di Namo in questa pugna.

LXVII

A danno lo dicea, non a profitto
di Carlo, il traditor; perché all'offesa
che di far in procinto ha il re d'Egitto ,
non sia in Ierusalem tanta difesa.
A Sansonetto fu sùbito scritto,
e dal corrier la via per Tracia presa,
il qual, mutando bestie, sì le punse,
ch'in pochi giorni a Palestina giunse.

LXVIII

Di tòr Marsiglia si proferse Gano,
senza che spada stringa o abbassi lancia:
vuol sol da Carlo una patente in mano
da poter commandar per tutta Francia.
Nulla propone il fraudolente in vano:
se giova o nuoce, Carlo non bilancia;
né vèntila altrimenti alcun suo detto,
ma sùbito lo vuol porre ad effetto.

LXIX

Di quanto avea ordinato il Maganzese
andò l'aviso all'Ungaro e al Boemme,
ne le Marche, in Sansogna si distese,
in Frisa, in Dazia, all'ultime maremme.
Gano de' suoi parenti seco prese,
seco tornati di Ierusalemme;
e quindi se n'andò per tòr la figlia
del duca Amon, con frode, di Marsiglia.

LXX

Di Baviera in Suevia, et indi, senza
indugio, per Borgogna e Uvernia sprona;
e molto declinando da Provenza,
sparge il rumor d'andar verso Baiona:
finge in un tratto di mutar sentenza,
e con molti pedoni entra in Narbona,
che per Francia in gran fretta e per la Magna
raccolti e tratti avea seco in campagna.

LXXI

Giunge in Narbona all'oscurar del giorno,
e, giunto, fa serrar tutte le porte,
e pon le guardie ai ponti e ai passi intorno,
che novella di sé fuor non si porte.
D'un corsar genoese (Oria od Adorno
fosse, non so) quivi trovò a gran sorte
quattro galee, con che predando gia
il mar di Spagna e quel di Barberia.

LXXII

Gano, dato a ciascun debiti premi,
sopra i navigli i suoi pedoni parte;
e, come biancheggiar vide gli estremi
termini d'oriente, indi si parte,
e va quanto più può con vele e remi:
ma tien l'astuto all'arrivar quest'arte,
che non si scuopre a vista di Marsiglia
prima che 'l sol non scenda oltra Siviglia.

LXXIII

La figliuola d'Amon, che non sa ancora
che Rinaldo rubel sia de l'Impero,
veduto il giglio che sì Francia onora,
la croce bianca e l'uccel bianco e il nero,
e poi Vertunno in su la prima prora,
ch'avea l'insegna e il viso di Ruggiero,
senza timor, senz'armi corse al lito,
credendosi ire in braccio al suo marito;

LXXIV

il qual sia, per alcun nuovo accidente,
tornato a lei con parte de l'armata:
non dal marito, ma dal fraudolente
Gano si ritrovò ch'era abbracciata.
Come chi còrre il fior volea, e il serpente
truova che 'l punge; così disarmata,
e senza poter farli altra difesa,
dagli nimici suoi si trovò presa.

LXXV

Si trovò presa ella e la rocca insieme,
ché non vi poté far difesa alcuna.
Il popul, che ciò sente e peggio teme,
chi qua chi là con l'armi si raguna;
il rumor s'ode, come il mar che freme
vòlto in furor da sùbita fortuna:
ma poi Gano parlandogli, e di Carlo
mostrando commission, fece acchetarlo.

LXXVI

Disegna il traditor che di vita esca
la sua inimica, innanzi ch'altri il viete;
poi muta voglia, non che gli n'incresca
né del sangue di lei non abbia sete;
ma spera poter meglio con tal ésca
Rinaldo e Ruggier trarre alla sua rete:
e tolti alcuni seco, con speranza
di me' guardarla, andò verso Maganza.

LXXVII

Dui scudier de la donna, ch'a tal guisa
trar la vedean, montar sùbito in sella
e l'uno andò a Rinaldo et a Marfisa
verso Guascogna a darne la novella;
l'altro Orlando trovar prima s'avisa,
che 'l campo non lontano avea da quella,
da quella strada, per la qual captiva
la sfortunata giovane veniva.

LXXVIII

Orlando avendo in commissione avuto
di dar altrui l'impresa de' Lombardi
et a' Franceschi accorrere in aiuto
contra Rinaldo e gli fratei gagliardi,
era già in ripa al Rodano venuto,
e fermati a Valenza avea i stendardi
dove da Carlo esercito aspettava,
altro n'avea et altro n'assoldava.

LXXIX

Venne il scudiero, e gli narrò la froda
ch'alla donna avea fatto il Conte iniquo,
e ch'in Maganza lungi da la proda
del fiume la traea per calle obliquo;
poi gli soggiunse: — Non patir che goda
d'aver quest'onta il tuo avversario antiquo
fatta al tuo sangue. Se ciò non ti preme,
come potranno in te gli altri aver speme?— —

LXXX

Di sdegno Orlando, ancor che giusto e pio,
fu per scoppiar, perché volea celarlo,
come di Gano il nuovo oltraggio udio;
e benché fa pensier di seguitarlo,
pur se ne scusa e mostrasi restio,
ché far non vuol sì grave ingiuria a Carlo,
per commission del qual sa ch'avea Gano
posto in Marsiglia e ne la donna mano.

LXXXI

Così risponde, e tuttavia dirizza
a far di ciò il contrario ogni disegno;
ché l'onta sì de la cugina attizza,
sì accresce il foco de l'antiquo sdegno,
che non truova per l'ira e per la stizza
loco che 'l tenga, e non può stare al segno:
a pena aspettar può che notte sia,
per pigliar dietro al traditor la via.

LXXXII

Né Brigliador né Vaglientino prese,
perché troppo ambi conosciuti furo;
ma di pel bigio un gran corsier ascese,
ch'avea il capo e le gambe e il crine oscuro:
lassò il quartiero e l'altro usato arnese,
e tutto si vestì d'un color puro:
partì la notte, e non fu chi sentisse,
se non Terigi sol, che si partisse.

LXXXIII

Gano per l'acque Sestie, indi pel monte
alla man destra avea preso il camino;
passò Druenza et Issara, ove il fonte
a men di quattro miglia era vicino:
ché nel paese entrar volea del conte
Macario di Losana, suo cugino;
e per terre di Svizzeri andar poi,
e per Lorena, a' Maganzesi suoi.

LXXXIV

Orlando venne accelerando il passo,
ch'ogni via sapea quivi o breve o lunga;
e come cacciator ch'attenda al passo
ch'a ferire il cingial nel spiedo giunga,
si mise fra dui monti dietro un sasso;
né molto Gano il suo venir prolunga,
che dinanzi e di dietro e d'ambi i lati
cinta la donna avea d'uomini armati.

LXXXV

Lassò di molta turba andare inante
Orlando, prima che mutasse loco;
ma come vide giunger Bradamante,
parve bombarda a cui sia dato il foco:
con sì fiero e terribile sembiante
l'assalto cominciò, per durar poco:
la prima lancia a Gano il petto afferra,
e ferito aspramente il mette a terra.

LXXXVI

Passò lo scudo, la corazza e il petto;
e se l'asta allo scontro era più forte,
gli seria dietro apparso il ferro netto,
né data fòra mai più degna morte.
Pur giacer gli conviene a suo dispetto,
né quindi si può tòr, ch'altri nol porte:
Orlando il lassa in terra e più nol mira,
volta il cavallo e Durindana aggira.

LXXXVII

Le braccia ad altri, ad altri il capo taglia;
chi fin a' denti e chi più basso fende;
chi ne la gola e chi ne la inguinaglia,
chi forato nel petto in terra stende.
Non molto in lungo va quella battaglia,
ché tutta l'altra turba a fuggir prende:
gli caccia quasi Orlando meza lega,
indi ritorna e la cugina slega.

LXXXVIII

La quale, eccetto l'elmo, il scudo e il brando,
tutto il resto de l'armi ritenea:
ché Gano, per alzar sua gloria, quando
non più ch'una donzella presa avea,
pensò, avendola armata, ir dimostrando
che 'l medesimo onor se gli dovea
ch'ad Ercole e Teseo gli antiqui dènno
di quel ch'a Termodonte in Scizia fenno.

LXXXIX

Orlando, che non volse conosciuto
esser d'alcun, indi accusato a Carlo;
e per ciò con un scudo era venuto
d'un sol color, che fece in fretta farlo;
andò là dove Gano era caduto,
e prima l'elmo, senza salutarlo,
e dopo il scudo, la spada gli trasse,
e volse che la donna se n'armasse.

XC

Poi se n'andò fin che a Mattafellone,
il buon destrier di Gan, prese la briglia,
e ritornando fece ne l'arcione
salir d'Amon la liberata figlia;
né, per non dar di sé cognizione,
levò mai la visiera da le ciglia:
poi, senza dir parola, il freno volse,
e di lor vista in gran fretta si tolse.

XCI

Bradamante lo prega che 'l suo nome
le voglia dire, et ottener nol puote:
Orlando in fretta il destrier sprona, e come
corrier che vada a gara, lo percuote.
Va Bradamante a Gano, e per le chiome
gli leva il capo, e due e tre volte il scuote;
et alza il brando nudo ad ogni crollo,
con voglia di spiccar dal busto il collo.

XCII

Ma poi si avvide che, lasciandol vivo,
potria Marsiglia aver per questo mezo,
e gli faria bramar, d'ogn'agio privo,
che di sé fosse già polvere e lezo.
Come ladro il legò, non che cattivo,
e col capo scoperto al sole e al rezo,
per lunga strada or dietro sel condusse,
or cacciò innanzi a gran colpi di busse.

XCIII

Quella sera medesima veduto
le venne quel scudier del quale io dissi
ch'andò a Valenza a dimandare aiuto,
né parve a lui che Orlando lo esaudissi;
indi era dietro all'orme egli venuto
di Gano, per veder ciò che seguissi
de la sua donna, e per poter di quella
ai fratelli portar poi la novella.

XCIV

A costui diede la capezza in mano,
che pel collo, pei fianchi e per le braccia,
sopra un debol roncin l'iniquo Gano
traea legato a discoperta faccia.
Curar la piaga gli fe' da un villano,
che per bisogno in tal opre s'impaccia;
il qual, stridendo Gano per l'ambascia,
tutta l'empie di sal, e a pena fascia.

XCV

Il Maganzese al collo un cerchio d'oro
e preziose annella aveva in dito,
et alla spada un cinto di lavoro
molto ben fatto e tutto d'or guarnito;
e queste cose e l'altre che trovoro
di Gano aver del ricco e del polito,
la donna a Sinibaldo tutte diede,
ch'era di maggior don degna sua fede.

XCVI

A Sinibaldo, che così nomato
era il scudier, con l'altre anco concesse
la gemma in che Vertunno era incantato,
ma non sapendo quanto ella gli desse;
né sapendolo ancora a chi fu dato,
con l'altre annella in dito se lo messe;
stimòllo et ebbe in prezzo, ma minore
di quel ch'avria, sapendo il suo valore.

XCVII

Pel Delfinato, indi per Linguadoca
ne va, dove trovar spera il fratello,
ch'avea Guascogna, o ne restava poca,
omai ridotta al suo voler ribello.
Come la volpe che gallina od oca,
o lupo che ne porti via l'agnello
per macchie o luoghi ove in perpetuo adugge
l'ombra le pallide erbe, ascoso fugge;

XCVIII

ella così da le città si scosta
quanto più può, né dentro mura alloggia;
ma dove trovi alcuna casa posta
fuor de la gente, ivi si corca o appoggia:
il giorno mangia e dorme e sta riposta,
la notte al camin suo poi scende e poggia:
le par mill'anni ogni ora che 'l ribaldo
s'indugi a dar prigion al suo Rinaldo.

XCIX

Come animal selvatico, ridotto
pur dianzi in gabbia o in luogo chiuso e forte,
corre di qua e di là, corre di sotto,
corre di sopra, e non trova le porte;
così Gano, vedendosi condotto
da' suoi nimici a manifesta morte,
cercava col pensier tutti gli modi
che lo potesson trar fuor di quei nodi.

C

Pur la guardia gli lascia un dì tant'agio,
che dà de l'esser suo notizia a un oste;
e gli promette trarlo di disagio
s'andar vuol a Baiona per le poste,
et al Lupo figliuol di Bertolagio
far che non sien le sue miserie ascoste:
ch'in costui spera, tosto che lo intenda,
ch'alli suoi casi alcun rimedio prenda.

CI

L'oste, più per speranza di guadagno
che per esser di mente sì pietosa,
salta a cavallo, e la sferza e 'l calcagno
adopra, e notte o dì poco riposa:
giunse, io non so s'io dica al Lupo o all'agno:
so ch'io l'ho da dir agno in una cosa:
ch'era di cor più timido che agnello,
nel resto lupo insidioso e fello.

CII

Tosto che 'l Lupo ha la novella udita,
senza far il suo cor noto a persona,
con cento cavallier de la più ardita
gente ch'avesse, uscì fuor di Baiona;
e verso dove avea la strada uscita
che facea Bradamante, in fretta sprona;
poi si nasconde in certe case guaste
ch'era tra via, ma ch'a celarlo baste.

CIII

L'oste quivi lasciando i Maganzesi,
andò per trovar Gano e Bradamante,
ché da l'insidie e dagli lacci tesi
non pigliassero via troppo distante.
Non molto andò che di lucenti arnesi
guarnito un cavallier si vide inante,
che cacciando il destrier più che di trotto,
parea da gran bisogno esser condotto.

CIV

Galoppandoli innanzi iva un valletto,
due damigelle poi, poi veniva esso:
le damigelle avean l'una l'elmetto,
la lancia e 'l scudo all'altra era commesso.
Prima che giunga ove lor possa il petto
vedere o 'l viso, o più si faccia appresso,
l'oste all'incontro la figlia d'Amone
vede venir col traditor prigione.

CV

Poi vide il cavallier da le donzelle,
tosto ch'a Bradamante fu vicino,
ire a 'bracciarla, et accoglienze belle
far l'una all'altra a capo umile e chino;
e poi ch'una o due volte iterar quelle,
volgersi e ritornar tutte a un camino:
e chi pur dianzi in tal fretta venia,
lasciar per Bradamante la sua via.

CVI

Quest'era l'animosa sua Marfisa,
la qual non si fermò, tosto ch'intese
de la cognata presa, et in che guisa;
e per ir in Maganza il camin prese,
certa di liberarla, pur ch'uccisa
già non l'avesse il Conte maganzese;
e se morta era, far quivi tai danni,
che desse al mondo da parlar mill'anni.

CVII

L'oste giunse tra lor e salutolle
cortesemente, e mostrò far l'usanza,
ché la sera albergar seco invitolle,
e finse che non lungi era la stanza;
poi, mal accorto, a Gano accennar volle,
e del vicino aiuto dar speranza:
ma dal scudier che Gano avea legato
fu il misero veduto et accusato.

CVIII

Marfisa, ch'avea l'ira e la man presta,
lo ciuffò ne la gola, e l'avria morto,
se non facea la cosa manifesta
ch'avea per Gano ordita, et il riporto;
pur gli travolse in tal modo la testa,
ch'andò poi, fin che visse, a capo torto.
Le chiome in fretta armar, ch'eran scoperte,
de le vicine insidie amendue certe.

CIX

Tolgon tra lor con ordine l'impresa,
che Bradamante non s'abbia a partire,
ma star del traditor alla difesa,
ch'alcun nol scioglia né faccia fuggire;
e che Marfisa attenda a fare offesa
a' Maganzesi, ucciderli e ferire.
Così ne van verso la casa rotta,
dove i nimici ascosi erano in frotta.

CX

L'altre donzelle e i dui scudier restaro,
ch'eran senz'armi, non troppo lontano;
Bradamante e Marfisa se n'andaro
verso gli aguati, avendo in mezo Gano.
Tosto che dritto il loco si trovaro,
saltò Marfisa con la lancia in mano
dentro alla porta, e messe un alto grido,
dicendo: — Traditor, tutti vi uccido. —

CXI

Come chi vespe o galavroni o pecchie
per follia va a turbar ne le lor cave,
se gli sente per gli occhi e per l'orecchie
armati di puntura aspera e grave;
così fa il grido de le mura vecchie
del rotto albergo uscir le genti prave
con un strepito d'armi e, da ogni parte,
tanto rumor ch'avria da temer Marte.

CXII

Marfisa, che dovunque apparia il caso
più periglioso divenia più ardita,
con la lancia mandò quattro all'occaso,
che trovò stretti insieme in su l'uscita;
e col troncon, ch'in man l'era rimaso,
solo in tre colpi a tre tolse la vita.
Ma tornate ad udir un'altra volta
quel che fe' poi ch'ebbe la spada tolta.