Biblioteca:Apollodoro, Biblioteca, II, 8

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Quando Eracle era ormai assunto fra gli Dèi, i suoi figli, per sfuggire a Euristeo, si rifugiarono presso Ceice. Ma quando Euristeo chiese la loro estradizione e minacciò guerra, ebbero paura, lasciarono Trachine e fuggirono, attraversando tutta l'Ellade. Sempre inseguiti, arrivarono ad Atene, e lì si fermarono presso l'altare dei supplici, chiedendo protezione. Gli Ateniesi non li consegnarono a Euristeo, e fecero guerra contro di lui, durante la quale i suoi figli - Alessandro, Ifimedonte, Euribio, Mentore e Perimedo - restarono uccisi. Euristeo fuggì sul carro, Ilo lo inseguì, lo raggiunse presso le rocce Scironie e lo uccise. Poi gli mozzò la testa e la portò a Alcmena: e lei gli cavò gli occhi con uno spillone.
Morto Euristeo, gli Eraclidi tornarono in Peloponneso, e si impadronirono di tutte le città. Ma quando fu passato un anno dal loro ritorno, in tutto il Peloponneso scoppiò una terribile pestilenza. E un oracolo rivelò che la colpa era degli Eraclidi, perché erano tornati prima del tempo debito. Allora essi lasciarono il Peloponneso e si ritirarono a Maratona, dove si stabilirono. Prima della loro partenza dal Peloponneso, Tlepolemo aveva ucciso involontariamente Licimnio: stava infatti picchiando il suo servo, quando Licimnio cadde nel mezzo e si prese per sbaglio un colpo di bastone. Allora Tlepolemo andò in esilio e arrivò a Rodi, dove si stabilì. Illo, come gli aveva chiesto suo padre in punto di morte, sposò Iole, e cercò la maniera per far rientrare gli Eraclidi nel Peloponneso. Così, si recò a Delfi, e chiese al Dio come avrebbero potuto tornare: e il Dio rispose che dovevano aspettare il terzo raccolto. Illo pensò che «il terzo raccolto» alludesse a un periodo di tre anni; dunque aspettò tre anni, e poi tornò, con l'esercito ...... di Eracle nel Peloponneso, dove a quel tempo regnava Tisameno, figlio di Oreste. Vennero di nuovo a battaglia, i Peloponnesiaci vinsero, e Aristomaco morì. Quando i figli di Cleodeo giunsero alla maggiore età, di nuovo chiesero al Dio un oracolo sul loro ritorno. Ma il Dio ripeté lo stesso responso di prima, e Temeno se ne lamentò, dicendo che proprio per seguire tale responso aveva- no avuto tante disgrazie. Allora il Dio ribatté che loro stessi erano colpevoli della cattiva sorte, perché non avevano capito il responso: questo si riferiva al terzo raccolto non della terra, ma della generazione, e «stretto» significava l'ampio mare che si apre alla destra dell'Istmo. Saputo questo, Temeno preparò il suo esercito, e costruì delle navi in quella località della Locride che da allora si chiamò Naupatto. Mentre l'esercito stazionava a Naupatto, Aristodemo venne ucciso da un fulmine, e lasciò due figli gemelli, Euristene e Procle, avuti da Argia figlia di Autesione. Ma un'altra calamità si scagliò sull'esercito di Naupatto. Un giorno era apparso un vate, che cantava oracoli in preda alla follia profetica: e lo scambiarono per un mago inviato dai Peloponnesiaci a portare disgrazia all'esercito. Allora Ippote, figlio di Fila (figlio a sua volta di Antioco, nato da Eracle), lo colpì con la lancia e lo uccise. Per questo sacrilegio, la flotta navale andò distrutta, e l'esercito di terra fu prostrato dalla carestia e si sciolse. Temeno allora chiese all'oracolo del Dio come fronteggiare quella disgrazia, e il Dio rivelò che di tutto era causa l'assassinio del vate: quindi avrebbero dovuto bandire per dieci anni l'omicida, e prendere come capitano uno con tre occhi. Essi bandirono Ippote, e si misero a cercare un uomo con tre occhi: e lo identificarono in Ossilo, figlio di Andremone, che montava un cavallo e aveva un occhio solo (perché l'altro gli era stato portato via da un colpo di freccia). Ossilo aveva scontato l'esilio in Elide per un omicidio, e ora, passato un anno, tornava in Etolia. Secondo l'ordine dell'oracolo, affidarono a lui il comando. E si scontrarono con i nemici, li vinsero per terra e per mare, e uccisero Tisameno, il figlio di Oreste. Morirono anche Panfuo e Dimante, i figli di Egimio, loro alleati.
Dopo essersi impadroniti del Peloponneso, innalzarono tre altari a Zeus Patrio, vi compirono dei sacrifici, e poi si divisero le varie città. La prima a dover essere assegnata era Argo, la seconda Lacedemone, e la terza Messene. Fecero portare un'urna piena d'acqua, e decisero che ognuno doveva gettarvi dentro il suo sassolino di riconoscimento, per estrarre a sorte. Temeno e i due figli di Aristodemo - Procle e Euristene - vi gettarono dei sassi, ma Cresfonte, che voleva ottenere Messene, vi gettò una palla di terra. Questa nell'acqua si dissolse, e i due sassolini rimasero nascosti. il primo a essere estratto fu quello di Temeno, poi quello dei figli di Aristodemo: così Cresfonte pote avere Messene. E sugli altari del sacrificio trovarono questi segni: quelli che avevano avuto Argo un rospo, quelli che avevano avuto Lacedemone un serpente, e quelli che avevano avuto Messene una volpe. E di questi segni gli indovini dissero che chi aveva trovato il rospo era meglio che restasse in città (perché questo animale non ha la forza di camminare molto); chi aveva trovato il serpente, invece, sarebbe stato terribile nelle sue incursioni; e chi aveva trovato la volpe, infine, sarebbe stato un grande ingannatore.
Temeno, trascurando i diritti dei suoi figli, Agelao, Euripilo e Callia, favorì la figlia Irneto e suo marito Deifonte; allora essi pagarono un sicario perché uccidesse loro padre. L'assassinio fu compiuto, ma l'esercito stabilì che il regno andasse a Irneto e Deifonte. Anche Cresfonte regnava da poco tempo su Messene, quando venne ucciso dai suoi due figli. Polifonte, l'ultimo rimasto degli Eraclidi, salì sul trono, e volle sposare la vedova del sovrano assassinato, Merope, contro il suo desiderio: e fu ucciso anche lui. Merope, infatti, aveva un terzo figlio, di nome Epito, che veniva allevato presso il padre di lei. Quando fu cresciuto, rientrò di nascosto in città, uccise Polifonte e riconquistò il trono paterno.