Argonautiche

ARGONAUTICHE
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Titolo orig.: Τὰ Ἀργοναυτικά
Autore: Apollonio Rodio
Nazione: {{{nazione}}}
Sezione: Mitologia Greca
Anno: III sec. a.C.
Tipo: Fonti Antiche
Genere: Opere Epiche
Subgenere: {{{subgenere}}}
Lingua orig.: Greco antico
In Biblioteca: Si
Traduzione: Italiano

Le "Argonautiche" sono un poema epico in quattro canti conservati integralmente; esso tratta del viaggio di Giasone e dei suoi compagni sulla nave Argo fino alla Colchide, un paese barbaro sul Mar Egeo in cui è custodito il Vello d'oro, che l'eroe deve portare in Grecia. Ma l'epicentro artistico dell'opera è costituito dall'amore di Medea, figlia del re della Colchide, per Giasone: amore che la porta a rinunciare alla sua patria e a decretare la morte del fratello pur di aiutare l'amato, che effettivamente riesce a conquistare il Vello d'oro e a ritornare poi in patria assieme alla fanciulla.

STRUTTURA[modifica]

Apollonio Rodio rivoluziona il linguaggio dell'epica, sostituendo alla narrazione lineare omerica una narrazione episodica e digressiva. Attraverso gli "aitia" (narrazioni di fatti mitici che spiegano l'origine di toponomastica, culti e riti), egli crea una contaminazione tra passato mitico e presente storico. Inoltre, il tempo della narrazione è duplice: alla narrazione lenta e digressiva della prima parte, che racconta il viaggio di andata, segue quella lineare della vicenda di Giasone e Medea, attenta a cogliere la dimensione psicologica dei due protagonisti. Successivamente, il drammatico evolversi dei fatti e la fuga sono narrati con ritmi incalzanti e tempi sempre più serrati. Con la sua inclinazione alla drammatizzazione, Apollonio dà più importanza alla preparazione dell'azione che all'azione in sè; delle scene tipiche omeriche, invece, rimangono solo scorci o accenni, oppure ne vengono messi in rilievo aspetti non tradizionali. Frequentemente l'autore interviene in prima persona per incitare se stesso a tornare alla vicenda principale dopo una digressione troppo estesa, o per congedare un tema che non è lecito narrare, con un procedimento che ricorda Pindaro.

STILE[modifica]

La lingua di Apollonio può essere definita omerica per scelta di Apollonio stesso, visto l'utilizzo del genere epico, ma è comunque una lingua che dall'epica e dagli scritti precedenti vuole indubbiamente differenziarsi. Rispetto a Omero, il periodo risulta più complesso e l'ipotassi tende a prevalere nettamente sulla paratassi. Inoltre, Apollonio propone continue variationes alle formule omeriche, che talvolta vengono addirittura sostituite da sequenze descrittive. Completamente ignorato, invece, è lo stretto rapporto tra nome ed epiteto tipico dei poemi omerici: ancora una volta ad avere la meglio è l'utilizzo di espressioni sempre nuove e talvolta addirittura sorprendenti.

IL TESTO[modifica]